Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Biennale di Venezia. Viva arte viva: lo è davvero?

Reportage dalla 57 Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia (Giardini e Arsenale)

13 Maggio – 26 Novembre 2017

 

La 57° edizione della Biennale d’Arte di Venezia, presieduta da Paolo Baratta e curata da Christine Macel è intitolata Viva arte viva: ospita 86 nazioni e 120 artisti, di cui 103 presenti per la prima volta e si pone come obiettivo quello di avere il dialogo e lo scambio al centro della propria indagine. Si ispira all’uomo ed è fatta per l’uomo, che ha nell’arte l’ultimo baluardo all’individualismo e all’indifferenza. Concetti non nuovissimi in realtà, ma che sono chiaramente la base per la lettura delle opere scelte, quasi tutte ispirate da questioni sollevate a partire dagli anni ’60 e che, pur non risultando innovative, provano a dare nuovo slancio a concetti che sono ormai consolidati nella nostra società.

La mostra offre un percorso espositivo che si snoda attraverso nove capitoli: due primi universi nel Padiglione centrale ai Giardini e sette altri che si sviluppano dall’Arsenale fino al Giardino delle vergini. Ognuno di questi nove capitoli costituisce un Trans-padiglione, che va oltre la nazionalità, riprendendo comunque la storica suddivisione della Biennale. La curatrice ha scelto infatti un percorso che si sviluppa attraverso il rapporto tra le opere degli artisti, senza seguire un vero e proprio tema conduttore unico. Partendo dal Padiglione centrale (Giardini) si hanno i primi due capitoli della mostra, il Padiglione degli artisti e dei libri e il Padiglione delle gioie e delle paure.

Il primo è il segno distintivo di tutta un’esposizione in cui l’arte e chi la fa vengono messi al centro. L’artista è indagato nella sua pratica, nella sua scelta consapevole di attività non produttiva, rivalutando e andando a considerare il tempo libero non più nella sua accezione negativa, ma come tempo dedicato a sé (così come insegnato dall’otium romano). Si approfondisce, inoltre, il rapporto che questi ha con il mondo dei libri: nell’epoca descritta come post-internet, i legami con il testo scritto non sembrano essere allentati ma anzi arricchiti. In questo senso emblematiche sono le presenze di Franz West, Genh Jianyi e di Ciprian Muresan.

Dall’indagine sull’individuo-artista, l’esperienza del visitatore si snoda attraverso un viaggio che va dall’interiore verso l’infinito: si ha cosi il secondo padiglione, detto delle Gioie e delle paure, che indaga il rapporto del soggetto con la propria esistenza. Gli altri sette capitoli (Arsenale) iniziano con il Padiglione dello spazio comune, riunendo chi con la sua opera si interroga sul concetto di comunità, utile a superare l’individualismo imperante nella nostra epoca. Si prosegue con il Padiglione della terra, che pone l’accento sul ruolo dell’ecologia e su come l’uomo debba curare ciò che gli è stato donato.

Il Padiglione delle tradizioni prova a mettere in discussione tutte quelle certezze date dalla modernità, ridiscutendo anche la presunta superiorità dell’uomo; il Padiglione degli sciamani raggruppa tutti quegli artisti animati da una visone interiore, che vedono nell’arte sia un’azione estetica che una pratica curativa; il Padiglione dionisiaco mette in risalto il ruolo della donna nell’arte, andando anche a ribaltare la visione tradizionale del femminile nella nostra società; il Padiglione dei colori e quello del Tempo e dell’infinito chiudono questo viaggio verso l’altro da noi, il primo visto come un’esperienza extracorporea e il secondo analizzando il ruolo dell’arte nella metafisica.

“Padiglione dei Colori” – Baoli, Hicks Sheila, USA, 2017.

“Padiglione della Terra” – Untitled, Makhacheva Taus, Russia, 2017.

“Padiglione delle Tradizone” – Translated Vases , Yee Sookyung, Corea, 2017.

Nella splendida cornice dei Giardini si trova, invece, la canonica divisione della Biennale in padiglioni nazionali. 86 partecipazioni, tra cui per la prima volta Antigua, Barbuta, Kiribati e Nigeria.

Come per i nove Trans-padiglioni, anche qui le nazioni ospitate hanno seguito le indicazioni della Marcel, andando a scegliere artisti che hanno fatto delle loro opere un’indagine sull’uomo e sul ruolo dell’arte come deterrente alla deriva individualistica dell’epoca post-internet.

Purtroppo le idee nuove non sono molte. Girando tra i vari padiglioni si ha come l’idea di un immenso déjà vu, di qualcosa di già visto. Ma dalle dichiarazioni dei responsabili, forse l’intento era proprio questo: rianalizzare concetti considerati cristallizzati, per dare nuova linfa a idee che non hanno espresso tutto il loro potenziale.

Tra i padiglioni più interessanti c’è sicuramente quello tedesco, Faust, curato da Anne Imhof e vincitore del Leone d’Oro. Composto quasi esclusivamente da vetro ospita il team dell’artista che riproduce una sorta di fortino controllato da guardie e doberman, dove l’osservatore è allo stesso tempo osservato, controllore e controllato. Merita una menzione anche il padiglione della Russia, Theatrum orbis di Semyon Mikhailovsky, una critica al mondo contemporaneo e alle passate convinzioni di origine marxista. Di grande impatto visivo è il padiglione coreano Counterbalance the stone and the mountain di Lee Daehyung, che contiene le opere di Cody Choi e Lee Wan: si è accolti da un entrata in stile Hollywood, come a richiamare la troppa influenza del mondo occidentale sulla cultura coreana.

Padiglione Corea – The Venetian Rhapsody, Cody Choi, Corea, 2017.

Il padiglione Italia è stato affidato a Cecilia Alemanni e presenta le opere di Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelia Husni-Bey: il tema è Il mondo magico. Per declinare quel potere trasformativo che ha l’immaginazione, vivendo il mondo in tutta la sua ricchezza e molteplicità, l’artista si pone di fronte al visitatore come guida e creatore di nuovi realtà possibili: a farla da padrone è la trasformazione della materia in tutte le sue forme, da quelle architettoniche a quelle dei simboli della cristianità (i crocefissi). Le opere si presentano sicuramente di forte impatto visivo, ma mancano un po’ di innovazione, si è come fermi agli anni ’60, alle sperimentazione dei primi avanguardisti italiani sulla materia.

Infine, per tutta la durata della Biennale anche la città di Venezia è stata animata da eventi paralleli: di particolare interesse è la retrospettiva dedicata a Jan Fabre, Glass and bone sculptures 1977 – 2017. La mostra ripercorre gran parte della sua produzione che, attraverso la scelta di utilizzare il vetro e le ossa, innesca una riflessione filosofica sulla vita e sulla morte, sul rapporto che si ha nel guardare le cose e il rapporto tra passato, presente e futuro.

 

 

Marco Baldari

8 novembre 2017

 

 

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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