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Lacci: Fuga, ritorno e rassegnazione. Tutt’intorno la famiglia. Al centro l’uomo

Recensione dello spettacolo Lacci, in scena al teatro Eliseo dal 30 gennaio al 11 febbraio 2018

 

Lacci, scritto da Domenico Starnone, diretto da Armando Pugliese, ora in scena al Teatro Eliseo di Roma fino all’11 febbraio, vive attraverso l’elaborazione di queste tre fasi, si compie seguendo il filo – logico o meno - di una famiglia contemporanea e si esaurisce lì, dove l’essere umano mette a nudo tutti i suoi limiti.
Continua, dunque il sodalizio vincente tra Domenico Starnone e Silvio Orlando che bissano il successo de La scuola e dal Piccolo Eliseo, tornano a Roma, con la versione teatrale del romanzo dello stesso Starnone, (che ne ha compiuto il riadattamento per le scene).

Lacci apparentemente è la classica storia di un sofferto e drammatico naufragio familiare. Il preludio, ovviamente, è la fine di un amore che, tra strascichi di rabbia e disillusione, sembra esser giunto al suo fallimentare “canto del cigno”, un canto che si trasforma in lamento e in disperato tentativo di ritagliarsi un po’ di felicità personale. Ma poi arrivano i lacci: sono loro, infatti, a dare una svolta a quel declino, a cambiare le carte fino a quel momento disposte su un tavolo scivoloso e pendente verso il tracollo. Sono i lacci che tengono legato Aldo (Silvio Orlando) alla sua famiglia e che fanno compiere al primo un insperato ritorno dopo quattro lunghi anni. Ma il ritorno, per Aldo, altro non è che il fallimento dei suoi ultimi sprazzi di illusione, i lacci altro non sono che il suggello della sua infelicità.

Da una parte Aldo con i suoi capricci tipici da “crisi di mezz’età” anticipata, preso da se stesso e dalle sue futili ambizioni di successo e di vana gloria. Dall’altra Vanda (Vanessa Scalera) protagonista della prima scena emotivamente pregnante, caratterizzata da un mix di rabbia, impotenza, livore, disperazione e accuse. Quasi come riemersa dalla coscienza del marito Aldo, Vanda sotto forma di ricordo epistolare, legge la corrispondenza avuta con il marito quando egli lasciò la famiglia. Il gioco di luci ed ombre che calcano il palco, mettendo in risalto il ricordo di lei – fisicamente sul palco – e lasciando al buio la sagoma di lui, seduto ed ingobbito, ormai anziano, sulla sedia di un grande salone di un interno borghese, regala allo spettatore il senso del racconto, iniziandolo verso quello che sarà una discesa negli intricati lacci logori di una famiglia esplosa, fatta a pezzi, ricostruita svogliatamente e infine implosa.

Cinque sono i momenti attraverso i quali il regista Pugliese ha pensato di rendere l’intricata complessità psicologica e dialettica del testo. Essi, come tirati da fili invisibili, quasi strattonati avanti e indietro, si alternano attraverso la storia di Aldo e Vanda, del loro amico di vecchia data Nadar (Roberto Nobile) e dei loro due figli (Sergio Romano e Maria Laura Rondanini), uniti insieme da un’idea: «Il contenuto del romanzo – spiega Pugliese in un’intervista - mi ha suggerito l’idea di una sinfonia del dolore perché questa storia ci parla di un carico di sofferenza che da una generazione si proietta su quella successiva con il suo bagaglio di errori, infingimenti, viltà, abbandoni, dolore appunto».

Sono i due protagonisti, anzi i due attori, Orlando e Scalera, che rendono la storia intera, elogio alla mediocrità contemporanea e racconto di meschinità, rabbia, vendette psicologiche e serpeggianti tormenti familiari mai sopiti, un dramma intenso e al contempo godibile.
Scarna, bianca, quasi di gesso, con forme accennate e senza dettagli definiti è la scenografia, che ben si adatta alle emozioni che gravano sulla storia e che vengono fuori dalle vicende descritte e messe in scena. Scarna, con forme consunte e disunite, con segni profondi che rigano i volti e gli animi induriti dei protagonisti: questa è, invece, la scenografia del testo di Starnone che con Lacci porta in scena, in un clima tra il pirandelliano e l’ibseniano (seppur nella rilettura ribaltata dei ruoli), il dramma familiare contemporaneo.

 


Federico Cirillo

5 febbraio 2018

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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