Giovedì, 28 Marzo 2024
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Licia Amendola e Simone Guarany ci parlano dello spettacolo Caso mai, l’imprevedibile virtù della dignità in scena la teatro Cometa Off di Roma dal 24 al 29 maggio 2022

 

Caso mai è uno spettacolo che affronta la storia di due ragazzi che si trovano a dover affrontare la diagnosi di Sla. Come è nato lo spettacolo?

Simone Guarany. Diversi anni fa, mentre ero in vacanza a Tarquinia con mia madre, vidi una video intervista di un dottore che raccontava la sua esperienza con la Sla. La forza, la speranza e la voglia di vivere che dimostrava nonostante quella diagnosi mi avevano lasciato senza parole. Non riuscivo a capire come un uomo di quarant’anni, con una famiglia e nel pieno della carriera potesse essere felice di continuare a vivere anche se ormai a causa della malattia erano tre anni che poteva bere acqua solo tramite una cannuccia… Qualche mese dopo tornai a riflettere sull’argomento dopo aver visto il film “La teoria del tutto” che racconta la vita di Stephen Hawking. Decisi così di scrivere una storia che parlasse di questa tematica. Nel 2016 ci fu il debutto dello spettacolo che però poi è stato messo da parte. Oggi con Licia lo abbiamo ripreso ma modificandolo ed ampliandolo in maniera netta.

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Nato a Roma nel 1998, Luca Valentino intraprende il corso di laurea triennale in Fotografia e Video presso l’Accademia di Belle Arti di Roma concludendolo a pieni voti. Durante questo periodo si avvicina alle arti visive e performative: un incontro che gli fa scoprire una naturale inclinazione verso la recitazione e la composizione grafica. Dopo aver visionato alcune delle sue opere in occasione di altrettante esposizioni, lo abbiamo intervistato. 

 

Quando hai iniziato ad avere la percezione dell’arte come linguaggio per esprimerti?

Sin da bambino sono sempre stato abbastanza creativo e ho cercato dei miei metodi per esprimermi attraverso le mani, creando cose. Al contrario, ho sviluppato una consapevolezza sull’utilizzo dell’arte come medium di comunicazione al pari della parola piuttosto recentemente: avevo già iniziato a studiare fotografia e video durante il triennio presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e questo mi ha aiutato a capire cosa non volevo fare. A differenza di altre istituzioni, l’Accademia di Belle Arti ti dà una preparazione ampia: in questa maniera ho potuto avvicinarmi a diversi mezzi di espressione, comprendendo cosa mi interessava e cosa no. Ad esempio non ho intenzione di settorializzarmi e fare solo il fotografo o il videomaker: non mi interessa il mezzo per il mezzo, fare le foto per la fotografia. Mi piace modificare le cose: nonostante venga da una formazione che è quella delle arti visive, uso l’immagine come punto di partenza per qualcos’altro. Come dimostra un lavoro con i collage dal titolo F.F.F. - Fight.Flight.Freeze. iniziato nel 2018 e che ho esposto recentemente all’interno di uno spazio non convenzionale di Roma: l’Enoteca di Via Macerata/Bunker Art Room.

 

In cosa consiste? 

Mi sono reso conto che accostando due immagini diverse, non necessariamente attraverso una scelta ponderata, si può ottenere un nuovo significato. Sono una persona molto riflessiva, difficilmente mi lancio nelle cose e ciò, per un artista, può essere una pecca. Con l’utilizzo del collage ho imparato a farlo, perché mi ha permesso di affidarmi agli accostamenti inconsci senza dover necessariamente razionalizzare. Mi sono sentito più libero, dandomi la possibilità di sviluppare maggiormente l’intuito. 

 

Perché il titolo F.F.F. - Fight.Flight.Freeze.?

Perché sintetizza le tre possibili reazioni allo stimolo della paura: combattere, scappare o rimanere paralizzato. È nato un po’ per caso, in linea con l’approccio che ho nei confronti del collage: avevo delle foto scattate da me da cui sono partito, ho iniziato con accostamenti liberi e dopo un po’ che facevo composizioni mi son reso conto che c’erano determinati elementi che tornavano e un’atmosfera cupa a cui si deve il titolo. Si tratta del secondo progetto partito da foto mie, da materiale prodotto da me: prima utilizzavo materiale d’archivio o magazine.

 

La tua più recente installazione ha un altro titolo molto suggestivo: All the Words you wasted.

Ci sto lavorando da tre, quattro mesi ed è stata esposta in occasione della Slow Love Exhibition (Vol. II) presso l’ExGarage di Roma, grazie alla quale mi sono spinto un po’ oltre i miei campi di competenza. Ero sempre partito dal video o dalla fotografia per arrivare a qualcos’altro mentre in questo caso ci sono moltissime prime volte: la prima volta che lavoro in termini di scultura e installazione, la prima volta che mi esprimo attraverso l’Arte Relazionale. Sono uscito dalla mia confort zone, coinvolgendo direttamente le persone e mi è piaciuto molto. L’opera è nata all’interno della Slow Love Exhibition (Vol. II), una collettiva realizzata insieme ad altri sei artisti che gira intorno a un unico oggetto: uno spartitraffico ritrovato a Circonvallazione Cornelia con su scritta una specie di poesia o di dichiarazione d’amore folle.  A partire da ciò ognuno ha portato avanti la propria riflessione e realizzato una creazione. Per All the Words you wasted, partendo da questa sorta di lettera sullo spartitraffico mi sono interrogato circa l’intensità dello sforzo di chi l’ha scritta nel proiettare al di fuori di sé - su un materiale - il proprio pensiero, un proprio frammento, la propria espressione, che ha donato potenzialmente a tutto il mondo. Si tratta di una lettera d’amore scritta per qualcuno in particolare ma non le è stata recapitata: è stata abbandonata così. Ho voluto, quindi, dare la stessa possibilità alle persone che ho coinvolto nel progetto: proiettare su un foglio di carta un frammento di sé, della propria memoria, quella lettera che non hanno mai inviato a patto di essere disposti a donarla al mondo tutto. Nei giorni dell’esposizione ho pensato di rendere completamente partecipativa l’installazione: ogni spettatore poteva leggere o portare via una delle lettere che la componevano con la richiesta, però, di scriverne una propria con cui rimpiazzarla. Una regola di scambio che, per fortuna, è stata rispettata relativamente: perché è stato bello vedere la gente che si appropriava dell’opera, interagendo con essa in base a come si sentiva e alla propria ispirazione. 

 

Un’esperienza forte?

Sì perché fino ad adesso avevo lavorato sul bidimensionale, a parete, l’osservatore aveva un ruolo passivo. Stavolta persino la realizzazione dell’opera è stata in qualche modo in mano a qualcun altro, alla gente. La sua riuscita, dunque, non dipende solo da te. E il risultato mi ha dato grandissima soddisfazione.

 

Un appagamento che porta a quali progetti futuri?

Adesso mi piacerebbe esporre il primo lavoro con il collage interamente realizzato con foto mie, ancora inedito anche se concluso un anno fa. Sto cercando un posto che faccia al caso mio. Si intitola Chrysalis e ha come tema, banalmente, il cambiamento. Una riflessione sul passaggio da uno stato a un altro: il bruco che diventa farfalla, nello stadio intermedio - quello della crisalide – cos’è? Noi lo classifichiamo come crisalide, perché è nella natura umana dare un nome alle cose, ma lui in realtà non è più bruco ma nemmeno ancora farfalla. Lo stadio di trasformazione è in un certo senso di non esistenza: non sei più ciò che eri ma nemmeno ciò che devi diventare. Forse, però, è quello il momento più importante dell’esistenza: perché quando un essere smette di cambiare non è più vivo mentre le cose esistono nel loro cambiamento. Da qui il nome del progetto, che comunque è uno studio sul corpo, pervaso da una tensione verso il mutamento, la stessa del bruco che deve diventare farfalla ma ancora non lo è. 

 

La tensione mi pare di capire sia un tema a te caro.

Sì, la tensione irrisolta è alla base della mia poetica: la si ritrova nei miei collage, nell’installazione, nei cortometraggi o nelle videoinstallazioni che ho realizzato. Ed è bene che tale rimanga: nel momento in cui venisse risolta svanirebbe tutto. Per me non c’è mai piena calma, mai pieno raggiungimento. Come un fachiro, ho bisogno dei chiodi sotto di me.  

 

 

Cristian Pandolfino

14 maggio 2022

 

Immagine 

Luca Valentino – All the Words you wasted (2022)

Carta (lettere), supporto per risma di fogli, penne, 150 x 50 cm (raggio x altezza, variabili)

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Francesco Saponaro ci parla della rassegna “L’eredità Scarpetta”, in scena al teatro Trianon Viviani di Napoli, diretto da Marisa Laurito. La rassegna, composta da due spettacoli, debutterà il 6 maggio con “Titina la magnifica” e proseguirà con “La donna è mobile” di Vincenzo Scarpetta a partire dal 13 maggio.

 

Perchè è importate la figura di Titina?

L’attenzione su Titina dovrebbe sempre essere alta, non solo perchè è stata un’esponente fondamentale della famiglia De Filippo ma perchè incarna la figura della donna che in anticipo sui tempi ha cercato la strada di indipendenza dal resto della famiglia, in un periodo storico in cui la società era decisamente declinata al maschile. Anche Marisa Laurito che è direttrice artistica del Trianon Viviani ha pensato che sarebbe stato doveroso dedicare uno spettacolo a questa figura.

 

Quali sono gli aspetti che conosciamo meno di Titina e che emergono dallo spettacolo?

Lo spettacolo lo abbiamo scritto partendo dalla biografia di suo figlio Augusto Carloni “Titina De Filippo. Vita di una donna di teatro”. Ci sono molte cose che non si conoscono della sua arte, molti la ricordano come la  Filumena ma è stata anche una grande sceneggiatrice, una penna ineguagliabile. Negli ultimi anni della sua vita, quando si è dovuta allontanare dalla scena per una malattia cardiaca, si è poi dedicata alla pittura con grandi risultati. Proprio dalla sua tecnica di collage pittorico abbiamo preso spunto per costruire la struttura dello spettacolo. È stata una donna, una madre, una sorella, una persona semplice che ha fatto della sua vita un vera e propria opera d’arte, anticipando, come detto in precedenza, i tempi. Con Domenico Ingenito, che ha scritto con me lo spettacolo,  siamo riusciti a inserire anche aspetti del suo privato, dal rapporto con i fratelli a quello con il marito Pietro Carloni.

 

Secondo spettacolo della rassegna è “La donna è mobile” perchè la scelta di questa pièce?

Si tratta di una commedia-parodia musicale di Vincenzo Scarpetta, fratello maggiore di Titina. E' uno spettacolo  pirotecnico ricco di interventi musicali dove il repertorio dell’operetta, famosa fra fine ‘800 inizio ‘900, tocca anche note avanguardistiche grazie ad una scrittura scenica che oscilla fra tradizione e innovazione. Uno spettacolo veramente importante dal punto di vista della scrittura. Titina fra l’altro lavorò allo spettacolo quando era giovanissima. Portare in scena uno spettacolo come questo è importante perché come diceva Eduardo De Filippo la tradizione è la vita che continua e se la usiamo come un trampolino voleremo più alti. Ciò è fondamentale per costruire percorsi futuri nell’ambito teatrale. Inoltre il cast dello spettacolo è veramente stellare, la protagonista Antonella Stefanucci è affiancata da un grande Edoardo Sorgente. Sul palco ci saranno quattordici attori e un nutrito corpo musicale accompagnerà la messa in scena.

 

Il suo è un modo di raccontare quell’epoca teatrale facendo attenzione alla tradizione. Cosa ne pensa di altri tipi di rappresentazioni, come ad esempio quella di Antonio Latella e della sua versione del “Natale in casa Cupiello”? 

Siamo in un’epoca in cui lo scandalo fa più scena del racconto. Io parto dalla partitura che è scritta e cerco di dargli vita senza mettermi contro l’autore. Adotto un piano narrativo fedele all’autore e cerco di incendiare di vita quella che è la promessa di teatro che era prevista inizialmente. Apprezzo comunque anche certi tipi di rottura come quello proposto da Latella, a patto che questa rispetti sempre l’autore, quindi partire da un testo e attraverso la scena creare una vitalità diversa che non sia contraria agli intenti originari. Mi sento un artigiano della scena e allo stesso tempo un tranviere che deve portare in viaggio lo spettatore cercando di far scoprire le bellezze che stanno intorno. 

Enrico Ferdinandi

6 maggio 2022

 

Informazioni

Venerdì 6 e sabato 7, ore 21 – domenica 8 maggio, ore 18

Titina la magnifica drammaturgia di Domenico Ingenito e Francesco Saponaro tratta dal libro Titina De Filippo. Vita di una donna di teatro di Augusto Carloni regia e spazio scenico Francesco Saponaro con Antonella Stefanucci, Edoardo Sorgente produzione teatro Trianon Viviani

 

 

Venerdì 13 e sabato 14, ore 21 – domenica 15 maggio, ore 18

La donna è mobile commedia di Vincenzo Scarpetta regia e spazio scenico Francesco Saponaro arrangiamenti e direzione musicale Mariano Bellopede con Luigi Bignone, Giuseppe Brunetti, Viviana Cangiano, Salvatore Caruso, Elisabetta D’Acunzo, Tony Laudadio, Ivana Maione, Davide Mazzella, Biagio Musella, Serena Pisa, Marcello Romolo, Luca Saccoia, Ivano Schiavi, Federica Totaro Mariano Bellopede, pianoforte | Arcangelo Michele Caso, violoncello e plettri | Giuseppe Di Maio, clarinetto produzione teatro Trianon Viviani

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Angelo Savelli ci parla de Il principio di Archimede, di Josep Maria Mirò, del quale ha curato la traduzione e la regia. Lo spettacolo sarà in scena al teatro di Rifredi di Firenze dal 31 marzo al 10 aprile 2022

 

Come sta andando questa ripresa teatrale per il teatro di Rifredi?

Per noi, come per altri, la ripresa non è stata facile. La nostra programmazione punta su spettacoli che sicuramente attirano meno rispetto ad altri nei quali il personaggio “famoso” fa da richiamo per il pubblico. In un momento storico come quello che stiamo vivendo è normale che le persone siano più lontane dal teatro e da spettacoli più introspettivi come quelli che proponiamo noi.

Continuiamo comunque il nostro lavoro, il teatro di Rifredi ha da sempre ha una vocazione per l’innovazione, da tutti i punti di vista e nella ricerca di nuovi autori. Ci fa piacere ad esempio vedere in questi giorni in scena al teatro Grassi di Milano lo spettacolo Zoo di Sergio Blanco, che ha mosso i primi passi proprio da noi. Siamo ancora su questa strada e speriamo che il pubblico, che avevamo conquistato anno dopo anno prima dell’emergenza causata dalla Covid-19, possa tornare a sedere sulle nostre poltrone. Chissà che magari proprio grazie a Il Principio di Archimede si possa riallacciare questo rapporto fra il nostro teatro e quel pubblico che ci ha seguito fino a due anni fa sempre più numeroso.

 

Prima di entrare nei dettagli dello spettacolo una domanda sull’allestimento scenografico. La platea farà in qualche modo parte della scena e si troverà ai due lati del palcoscenico, in che modo questa scelta valorizza la pièce? 

Si tratta di una scelta fondamentale. Ho voluto lasciare l'impianto scenografico così come Josep Maria Mirò l’aveva pensato in origine. Ho scoperto questo spettacolo a Barcellona e fin da subito ho pensato che funzionasse molto bene, è una scelta giusta perchè l’intera scena si svolge all’interno di una piscina, siamo davanti ad una storia intima, che riguarda il privato delle persone in un luogo dove la privacy è fondamentale. Per il pubblico trovarsi così vicino all’azione, poter vedere chi è seduto dall’altra parte del palco, rispecchiarsi nell’altro, ma anche poter vedere o non vedere ciò che viene visto dall’altra parte valorizza lo spettacolo. Palco e platea diventano una vera propria agorà, una piazza pubblica dove progressivamente viene persa l’intimità.

 

Lo spettacolo ruota intorno ad una notizia da verificare: un istruttore di nuoto sarebbe stato visto baciare un suo allievo. Presto, proprio come avviene quotidianamente nella cronaca nostrana, la notizia diventa di dominio pubblico e si perde il controllo della situazione. Cosa vuole far emergere lo spettacolo: quanto i social possono influenzare negativamente un fatto come quello raccontato?

Il tema della violenza sui minori è forse quello che più di tutti accende le nostre paure, quando questa paura si riversa sui social network allora l’amplificazione mediatica può prendere strade impreviste. Un piccolo fatto diventa subito di tutti. Lo spettatore per tutto lo spettacolo si farà un’opinione sua, personale, data da ciò che viene raccontato dalle parti in causa. L’istruttore passa nel giro di poco da personaggio tremendo a vittima e di nuovo in mostro… la storia non viene raccontata in maniera lineare ma con dei continui flash back che rendono il tutto ancora più intricato e fa prendere alla verità percorsi imprevedibili. Si tratta di una storia che si svolge nell’arco di due, tre ore ma che grazie alla condivisione sui social diventa molto più veloce di quello che è in realtà.

Prima dell’arrivo dei social i tempi erano più dilatati, c’era la possibilità di dare conferma o rettifica su una notizia, oggi invece, come avviene nello spettacolo questa possibilità manca, basta scriverlo su un social e la gogna mediatica comincerà il suo lavoro ben prima che venga chiarito il vero andamento dei fatti. Una macchina che è in grado di produrre senza verifica delle fonti una valanga di insulti, che alimenta un odio che spesso non ha senso di esistere. Questo Josep Maria Mirò lo aveva visto già dieci anni fa, quando lo spettacolo ha debuttato e i social stavo cominciando a produrre questo tipo di meccanismo che oggi è all’ordine del giorno.

 

È stato fatto un grande lavoro psicologico sui personaggi…

Sì, è stato fondamentale, la ricaduta sociale collettiva di questi movimenti psicologici dei personaggi è il vero fulcro dello spettacolo. Le loro reazioni sono come dei sassi lanciati in uno stagno che producono onde che inevitabilmente vanno a modificare tutta la situazione, comprese le reazioni che la platea ha durante lo spettacolo.

 

Alla fine della messa in scena cosa rimane del concetto di verità?

Lo spettacolo gioca sempre sull’ambiguità, sulla contraddizione. Si tratta di terreno nebbioso dove i social passano come un carro armato eliminando ogni nuance, appiattendo tutto e lasciando affiorare solo ciò che è eclatante, ciò che prende i sentimenti. Alla fine la verità non sarà svelata ma ogni spettatore costruirà la sua personale verità in base all’idea che si sarà fatto durante lo spettacolo.

 

 

Enrico Ferdinandi

1 aprile 2022

 

Informazioni

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE

di Josep Maria Miró

traduzione e regia Angelo Savelli

con Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini, Samuele Picchi

scene di Federico Biancalani | luci Alfredo Piras

spettacolo a posti limitati

Firenze, Teatro di Rifredi

da giovedì 31 marzo a domenica 10 aprile

(feriali ore 21.00; festivi ore 16.30; lunedì 4 aprile riposo)

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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