Il Vangelo di Pippo Delbono: amare è gridare “viva la libertà”

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Recensione dello spettacolo Vangelo, in scena al teatro Argentina dal 19 al 31 gennaio 2016

Pippo Delbono porta al teatro Argentina uno degli spettacoli più liberi, senza confini, delle ultime stagioni. Vangelo, una delle parole che nel corso dei secoli ha plasmato la nostra cultura, viene raccontata dall’artista ligure dal suo personale punto di vista. 

Ne scaturisce uno spettacolo che lascia la platea dell’Argentina senza fiato, paradossalmente, ci dirà a fine spettacolo Delbono, “non si è sentito nemmeno uno spettatore tossire, c’era il silenzio assoluto”. Un silenzio quasi religioso per una messa in scena che si agita magistralmente fra il sacro ed il profano. Libertà. questa è la parola chiave di Vangelo.

Una libertà che viene tutta dalla musica ed alla quale il pubblico del teatro di Roma non è poi così abituato, ma che dopo un inizio incerto è progressivamente penetrata fra la platea. Entrando in sala troviamo il sipario aperto e undici sedie disposte sul palco. Inizia la rappresentazione e su di esse si siede buona parte della compagnia. A mancare è proprio lui, Delbono, la sua irruzione arriva dal fondo della sala. Mentre legge i suoi testi, fra una poesia di Sant’Agostino, un’altra di Pasolini, viaggia fra il palco e la platea, dove sovente si siede per farsi spettatore della creazione che forse finora più gli appartiene. 

Vangelo è un omaggio a sua madre, alla richiesta che questa gli ha fatto più volte prima di morire, a lui, ateo e controcorrente: “fai almeno uno spettacolo sul Vangelo?”. E Delbono lo ha fatto, entrando in una zona d’ombra rivelatrice. Se inizialmente i diavoli presenti sulla scena lasciano spiazzati, dopo poco ci si rende conto che il messaggio è quello di voler dare l’idea di una visione libera dai vincoli, dagli schemi predisposti per cultura e formazione che ci portiamo dentro, quasi inconsciamente. Assistiamo ad una lettura (di alcuni passi tratti da Matteo, Luca, Giovanni e Marco) e un’interpretazione del Vangelo unica, che ne rivela i limiti ma soprattutto i pregi. Un testo ricco di insegnamenti che oggi non ricordiamo più. Rispetto verso l’altro, anche il più in difficoltà, il diverso, colui che ha sbagliato perché in fondo, chi almeno una volta nella vita non ha sbagliato? Voi siete pronti a scagliare la prima pietra?

Quella parola, Dio, così ostinatamente maschile, rivela dei confini concettuali da superare. Per quasi due ore, che scorrono via veloci, passano davanti ai nostri occhi immagini dell’inferno personale che ognuno di noi cova dentro di sé ma, sovra ogni altra cosa, proiettati sul muro posto come elemento scenico principale, alcuni frammenti video filmati direttamente da Delbono: un ospedale ed il suo degrado; un centro di rifugiati afghani; un mare nella notte che riflette la Luna. Quest’ultimo accompagna la testimonianza di uno di quei rifugiati, Safi Zakria, presente in sala. Il racconto che questi fa della sua fuga verso la libertà e della morte del suo migliore amico fra le onde, lottando per respirare, rimane uno dei momenti più toccanti dello spettacolo. Gli ultimi saranno i primi e di questi sarà il regno dei cieli. Sta scritto anche sul Vangelo, ma quanto siamo veramente disposti a fare per questi ultimi?

Forte sul palco è la presenza di alcuni dei membri storici della compagnia Delbono come Bobò, Nelson, Gianluca e Pepe. Quel muro, che talvolta proietta video, talaltra vede gli attori a esso legati come crocifissi o schiacciati su di esso quasi come a togliere il fiato.  

L’amore che Delbono trova nel vangelo è racchiuso nella richiesta che questi fa alla platea: le luci si accendo ad illuminare il pubblico e lui chiede solo di alzare le mani al cielo, farle ondeggiare e gridare “Viva la libertà”.  Questo è il suo spettacolo, un grido di libertà che vuole solo dimostrare come l’uomo sia capace di chiudersi entro delle gabbie poiché miope ed incapace di vedere, leggere e comprendere ciò che ha sotto gli occhi da sempre, come un Vangelo.

 

Enrico Ferdinandi

21 gennaio 2016

 

Informazioni

 

Opera contemporanea
uno spettacolo di Pippo Delbono

con Gianluca Ballarè, Bobò, Margherita Clemente, Pippo Delbono

Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Alma Prica

Pepe Robledo, Grazia Spinella, Nina Violic, Safi Zakria, Mirta Zecevic
e con la partecipazione nel film dei rifugiati del Centro di Accoglienza PIAM di Asti 

immagini e film di Pippo Delbono

musiche originali per orchestra e coro polifonico Enzo Avitabile

scene Claude Santerre

costumi Antonella Cannarozzi

disegno luci Fabio Sajiz

Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Nazionale Croato di Zagabria

Co-produzione Théâtre Vidy Lausanne, Maison de la Culture d'Amiens - Centre de Création et
de Production Theatre de Liège in collaborazione con Cinémathèque suisse- Lausanne, Teatro Comunale di Bologna

 

 

Chi è Pippo Delbono?

Pippo Delbono nasce a Varazze, provincia di Savona,nel 1959. Il suo primo incontro col teatro avviene nei primi anni '70 quando in parallelo alla scuola media frequenta anche la scuola di Teatro di Savona dove incontra l'attore argentino Pepe Robledo esule dal suo paese. Con lui stringe un forte  legame e sul principio degli anni '80 si trasferiscono insieme in Danimarca dove Delbono si unisce al Gruppo Farfa diretto da Iben Nagel Rasmussen, attrice secessionaria dell'Odin Teatret.

Ritornato in Italia intorno al 1986 inizia a lavorare al suo primo spettacolo tutto suo, Il tempo degli assassini che, dopo una tournée attraverso teatri, carceri e villaggi sudamericani, debutta sui palcoscenici italiani nel 1987. In questo stesso anno incontra Pina Bausch che lo inviterà a partecipare a un lavoro del suo Wuppertaler Tanztheater. Nell'89 scrive e va in scena con Morire di Musica, un'opera profondamente poetica pervasa dal minimalismo e caratterizzata da un'allestimento scenico fatto di tante barchette di carta. Seguirà nel 1990 Il Muro, suo primo spettacolo dove recitazione e danza convivono e si compenetrano nella stessa scena. Nel '92 darà vita a una sua personalissima visone del Riccardo V di Shakespeare e nel '95 omaggerà Pasolini con La Rabbia dando inizio a qualcosa che avrà pieno compimento in Barboni col quale vincerà il Premio speciale Ubu 1997.

Seguiranno due allestimenti performativi che volevano indagare le profondità dei grandi spazi: Itaca e Her bijit, quest'ultima realizzata per la Biennale di Venezia.

Nel '98 e nel '99 andrà in scena prima con Guerra poi con Esodo, due lavori dove il medium espressivo ha così tanti punti di contatto che quasi possiamo consideralo un dittico.

Apre il nuovo millennio con Il Silenzio dove mette in scena le voci delle vittime nel terremoto del Belice del 1968, mentre due anni dopo, nel 2002 fonde e sposa sullo stesso palco la musica di Frank Zappa con il testamento poetico di Sarah Kane.

Nel 2004 è la volta di Urlo che debutta al Festival di Avignone e che vede la partecipazione di Umberto Orsini, Giovanna Marini e la banda della Scuola Popolare di Musica di Testaccio.

Nel 2006 è regista e attore nel film autobiografico Grido col quale vince il premio di miglior attore protagonista al Sulmonacinema Film Festival e nell'agosto dello stesso anno maestro per lo stage La danza del corpo e delle parole all'interno Progetto Thierry Salmon.

Nel 2007 lavorando su un progetto inedito di Frank Zappa debutta a Spoleto con la sua prima regia di opera lirica, Ombra Maestra.

Seguiranno quattro anni di apparente silenzio che porteranno nel 2011 alla messa in scena dello spettacolo incentrato su musica e danza Dopo la Battaglia dove troveranno un punto d'incontro il violinista Alexander Bălănescu, dell'étoile dell'Opéra di Parigi Marie-Agnès Gillot, i 150 anni dell'unita d'Italia e la voce di Alda Merini che parla della sua esperienza in manicomio.

 

Erika Cofone