Tutti i professionisti dell’età evolutiva o genitori che, giocoforza, vengono in contatto con compagni di scuola, sport o semplici amici dei propri rampolli hanno di certo conosciuto qualche bambino o adolescente il quale si comporta con estrema rigidità esprimendo al contempo una scarsissima gamma di emozioni.
Non bisogna ricorrere per forza a disturbi conclamati o alla neurodiversità per incontrare individui similari. È sufficiente anche un basso livello socioculturale, povertà di numero di esperienze all’aria aperta e insieme a gruppi dei pari, numero di ore eccessivo davanti a schermi di tablet o smartphone e spesso il risultato può essere questo. Un individuo che si relaziona mettendo in campo sempre le stesse modalità comunicativo-relazionali, incurante dei diversi ruoli, degli ambienti, delle regole sociali.
Prendiamo ora la celeberrima scoperta dei neuroni specchio, a opera del neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e del suo team di ricercatori di Parma. Una considerevole parte di neuroni presenti in diverse aree del nostro cervello si attiva sia quando compiamo un’azione o proviamo un’emozione in prima persona, che quando osserviamo un altra persona fare lo stesso. L’interconnessione di varie aree cerebrali con proprietà “specchio” ha fatto sì che che da un certo punto in poi si parlasse di “sistema mirror” in quanto si tratta di un vero e proprio network di cellule cerebrali che scaricano, comunicano, creano sinapsi quando vedono un’azione compiuta da un altro. E tutto questo aumenta quando l’individuo che osserva ha già un certo grado di conoscenza ed esperienza dell’azione osservata, ad esempio se si tratta di qualcuno che ha studiato danza e assiste a un musical comodamente seduto in una delle poltrone in platea. Al momento delle coreografie, la sua attività cerebrale sarà decisamente più consistente dell’amico accanto che ha trascorso la sua adolescenza giocando a basket.
La scoperta dei neuroni specchio è avvenuta negli anni ‘90 e ha aperto immense e ancora in parte inesplorate possibilità. Innumerevoli sono le sperimentazioni a essa seguite, che sempre più ci identificano come esseri sociali, in grado di comprenderci l’un l’altro. L’apprendimento di nuove abilità e lo sviluppo dell’empatia finalmente godono di dati e ricerche scientifiche a dimostrare quanto precise, raffinate e puntuali attività neuronali costituiscano la base dell’imitazione e della comprensione altrui. Tali attività possono essere continuamente allenate e ampliate, anche in età adulta. I neuroni nascono, fioriscono e creano sinapsi in continuazione. Il sistema mirror è presente in moltissime aree del nostro cervello, da quelle più prettamente motorie alle parti più antiche e responsabili delle risposte emotive. E se esso ci permette di comprendere quel che sta facendo un’altra persona perché il suo agire o sentire si rispecchia in noi, perché non utilizzare tale facoltà anche al contrario, per il benessere di tutti? Come? Facilissimo. Col teatro.
Alcuni dei partecipanti al laboratorio di Logoteatroterapia, per i più svariati motivi, spesso si comportano e agiscono esattamente come gli individui descritti all’inizio di questo contributo. E la rigidità comportamentale che li accompagna, potrebbe cristallizzarsi sempre più, offrendo di contro non pochi problemi nelle interazioni sociali, se non intervenisse la disciplina sopra citata a stimolare tutti a mettersi in gioco e, nella finzione recitativa, interpretare personaggi diversissimi dalla realtà di ciascuno, che vivono avventure e provano emozioni con le quali magari i nostri non sono mai venuti in contatto. Io sono sempre presente accanto, in quella “zona di sviluppo prossimale” tanto cara a Vygotskij che permette al bambino o al ragazzo di imparare grazie alla presenza dell’adulto accanto a lui. Sostengo i nostri piccoli e grandi attori mostrando loro la strada e restando vicino finché l’apprendimento della recitazione del nuovo personaggio si è stabilizzato, e l’attore o l’attrice in erba non hanno più bisogno del mio aiuto.
Ma a cosa serve dunque questa gamma recitativa che si amplia sempre più? A creare nuove esperienze, ad ampliare il ventaglio delle possibilità, a sperimentare nuovi schemi motori, linguistici e comportamentali in quell’essere umano. Di conseguenza, quando egli/ella sarà di fronte a una determinata persona, dovrebbe essere maggiormente in grado di comprendere ciò che fa o quel che prova, in quanto l’osservazione fa sì che gli/le si rispecchi dentro un’azione o un sentimento che lui/lei stesso/a ha provato almeno una volta.
Solo il teatro permette questo “magazzino” di esperienze, modi di fare, azioni ed emozioni differenti dalle proprie. Se io ho provato almeno una volta a recitare la parte dell’imperatore nella versione in rima di Gianni Rodari della fiaba I vestiti dell’imperatore forse sarò in grado di riconoscere un personaggio vanesio, egocentrico e superficiale una volta che me lo troverò davanti in carne e ossa, e saprò regolarmi di conseguenza.
Perché il sistema mirror possa attivarsi, facilitando l’esistenza di ciascuno di noi, l’individuo deve disporre di una gamma più o meno ampia di esperienze, il più possibile viscerali, profonde e intense, che lo abbiano coinvolto in maniera totale. Cosa, se non il teatro, ci può regalare tutto ciò?
Cecilia Moreschi
7 maggio 2025