Nell’arco dei lunghi mesi che vanno da settembre a giugno dell’anno successivo, in cui si svolge il laboratorio di logoteatroterapia, accadono sovente cose straordinarie. La storia che segue è una di queste.
Carlotta (nome di fantasia) è un’adolescente di 13 anni affetta da problematiche uditive, linguistiche e socio-pragmatiche. Gli anni di reclusione dovuta al Covid e lunghi periodi di degenza in ospedale hanno ulteriormente inficiato quello che sarebbe stato il naturale sviluppo del linguaggio e della comprensione dei vari contesti. Il risultato è una ragazzina bellissima, agile come una gazzella, con grandi doti nello sport ma che dispone di un vocabolario ridottissimo e altrettanto esigue capacità di comprensione e produzione del linguaggio sia verbale che non verbale. Non è difficile afferrare che il suo pressoché totale disinteresse verso qualsivoglia attività sia uno scudo protettivo che ha dovuto costruirsi per difendersi in qualche modo dagli insuccessi. Di conseguenza devo sforzarmi, ogni singola volta, di andare oltre, di far leva sui suoi punti di forza, di credere nella sua intelligenza e offrirle sempre nuovi strumenti e possibilità.
Carlotta viene inserita suo malgrado nel laboratorio di logoteatroterapia. Non fa mistero del suo totale rifiuto verso il teatro, ovvero nei confronti di una qualsiasi attività che la porti a mettersi in gioco e a uscire dalla zona comfort. Ogni settimana la accolgo con grandi sorrisi, battute scherzose. Utilizzo tutte le strategie di coinvolgimento che ho strutturato negli anni e che hanno dato frutto nelle più disparate situazioni. A volte riesco a scalfire la corazza, altre volte no. Ogni settimana mi sembra di dover ricominciare da capo, eppure so bene quanto il teatro e le attività specifiche di logoteatroterapia siano proprio ciò che le serve per avvicinarsi e comprendere almeno in parte la realtà che la circonda, nella quale giocoforza è costretta a condurre la sua esistenza.
Inizio con un lavoro specifico sulle emozioni, subito messe in pratica nelle più varie situazioni affinché ogni area trattata abbia un immediato risvolto pratico e concreto. Drammatizziamo insieme l’invidia, la frustrazione, la delusione e tante altre ancora. Sollecito Carlotta a guardarsi attorno, a raccontarmi cosa accade nella sua classe, a provare a dare un nome a ciò che sente e quando afferma di non provare mai le emozioni testé citate, la invito a osservare almeno i suoi compagni di classe. Pian piano qualcosa si attiva, inizia a raccontarmi piccoli episodi e a un tratto ha finalmente il coraggio di svelarmi di non aver compreso la reazione di una compagna nei confronti di un amico.
Andiamo avanti, cerco di arrivare al linguaggio espressivo, al compimento della frase corretta, quando giunge il momento tanto atteso della messinscena finale. Naturalmente Carlotta afferma di non avere alcun desiderio di salire sul palco ma quando le rimando che secondo me è più che in grado di farlo, sceglie addirittura la parte della protagonista della sua scena. Le spiego con dovizia di particolari che in tal caso avrà una gran quantità di battute da imparare a memoria, ma Carlotta, per una volta, afferma che si impegnerà e imparerà tutto. Non mi sembra vero.
A questo punto scrivo il testo drammaturgico inserendo numerosi elementi propri del linguaggio spontaneo: le frasi lasciate in sospeso, le interiezioni, i modi di dire, le forme verbali complesse, le frasi ipotetiche e tanto altro ancora. Carlotta, con grande fatica, di settimana in settimana si sforza di immagazzinare nella memoria a lungo termine tutto quel bagaglio verbale che le sembra una montagna da scalare. “Piano piano” le continuo a ripetere. “Un pezzettino al giorno. Ce la faremo, vedrai”.
Il linguaggio spontaneo non ha avuto la possibilità di sorgere naturalmente in lei, di nascere da dentro nel naturale sviluppo delle tappe evolutive alle quali ogni bambino avrebbe pieno diritto. Pertanto questa è la mia occasione per donarle (anche se con un po’ di fretta) da fuori, dall’esterno, la possibilità di incamerare tutti gli elementi propri del linguaggio verbale, paraverbale e non verbale. Naturalmente infatti, le varie scene che la vedono recitare sono corredate di prosodia, esclamazioni, azioni, gesti, sguardi, espressioni, movimenti, prossemica e relazione con gli altri attori. Carlotta non ne è consapevole ma memorizzare questo enorme e complesso bagaglio di informazioni (verbali, emotive, cinestetiche, relazionali) avrà certamente l’ulteriore risultato di essere un magazzino al quale accedere tutte le volte che ne avrà necessità. Lei e le persone che la circondano sono convinti che si stia impegnando tanto per fare una bella performance sulle tavole del palcoscenico. In realtà tutto questo lavoro continuerà a renderla più efficace nelle conversazioni per molto, molto tempo di là da venire.
Giunge finalmente il grande giorno dello spettacolo, nel quale non solo Carlotta ma tutti i giovanissimi attori hanno affrontato le proprie difficoltà e faticato tanto per compiere anche solo un piccolo passo nel miglioramento delle proprie competenze. Ma una considerevole parte del pubblico, dei miei colleghi e dei genitori, resta enormemente stupita dinanzi alla sicurezza, la presenza scenica, la memoria di Carlotta e giungono sia alla sottoscritta ma soprattutto a lei enormi congratulazioni e sinceri apprezzamenti per il lavoro svolto.
Quanto sono lontani quei giorni in cui anche solo strapparle un sorriso sembrava un’impresa titanica. Mentre la saluto e le auguro buone vacanze, Carlotta mi guarda con occhi che finalmente brillano e postura che rimanda la gioia di avercela fatta. “Grazie di non aver mollato mai” le dico. “Grazie a te”, mi risponde.
E non servono altre parole.
Cecilia Moreschi
14 luglio 2025


