
Negli scorsi giorni -dal 25 al 30 marzo- la Sala Orfeo del Teatro dell'Orologio (Roma) ha ospitato la recita de Il re muore, celebre opera di Teatro dell'Assurdo di Eugène Ionesco (1962); codesta “novella” intimamente metafisica, itinere di passaggi attorno a un fenomeno, appunto, la “morte del re”, si rivela metafora, d'una fine o d'un passaggio, pur comunque veicolata da questa figura regale che diverrà centrale anche per il pubblico, il quale, magia del teatro, condividerà il rispetto della sua giurisdizione e quindi il pathos che intride la corte in quel momento nefasto quanto ormai atteso.
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Napoli, 1878: Giovanni Passannante, cuoco lucano di umili origini, ultimogenito di dieci fratelli, con un coltello dalla lama di 12 centimetri, assale la carrozza reale che trasportava, per le vie del capoluogo campano, il nuovo Re d’Italia – incoronato a Gennaio dello stesso anno – Umberto I, la moglie Margherita, il figlio e futuro Re Vittorio Emanuele III e l’allora Presidente del Consiglio Benedetto Cairoli, con l’obiettivo, mosso da ideali anarchici e sentimenti antimonarchici, in nome di una maggior uguaglianza sociale, di attentare all’incolumità del sovrano.
