Venerdì, 29 Marzo 2024
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Maskio bianco etero: la crisi della civiltà occidentale vista attraverso il prototipo del maschio bianco etero

Recensione dello spettacolo Maskio bianco etero, andato in scena al Teatro Ivelise il 24 novembre 2019, con Leonardo Paoli; regia di Massimo Stinco

 

Nella suggestiva location del Teatro Ivelise, un tempo una chiesa rinascimentale, viene rappresentata la vita spericolata di Kennedy Marr, in una trasposizione teatrale del romanzo di John Niven, Maskio Bianco Etero. E già da qui si avverte qualcosa che stride tra una scena che inevitabilmente richiama ad una remota sacralità e il profano di una parabola esistenziale tutta giocata sugli eccessi. Kennedy è uno scrittore e sceneggiatore all’apice di un successo che gli ha fruttato guadagni smisurati. Ha scelto di vivere a Los Angeles, allontanandosi dai luoghi d’origine in Inghilterra.

Vive sperperando tra donne, alcool, cocaina e bella vita tutto il denaro che possiede. È un erotomane a cui non basta il compulsivo sesso occasionale, ma necessita anche di quello virtuale, con più videochiamate hard contemporaneamente per raggiungere un orgasmo. Questa vita sempre al limite, condotta sulla superficie, lo anestetizza e lo porta a non sentire più se stesso. Neanche il suo psichiatra riesce a fargli contattare la sua parte più profonda, più fragile, per cui Kennedy non ha autentiche relazioni intime con nessuno che lo circonda, neanche con sua figlia Robin di 16 anni, né con la sua ex moglie con i suoi familiari inglesi. Il vuoto nascosto sotto la patina della vita di successo è avvilente, si prova quasi pena per il protagonista creato da Niven e caratterizzato dal regista Massimo Stinco che, con il suo lavoro sul personaggio, lo ha reso sicuramente più umano e simpatico di quello di Niven. Il talentuoso Leonardo Paoli, infatti, infonde una nota di leggerezza ed ironia ad una personalità non sempre gradevole, a tratti quasi fastidiosa, dimostrando abilità sia nell’interpretazione, che nel canto e nel ballo. A far ritornare umano Kennedy, comunque, ci penseranno i debiti, la morte della madre che non sente da anni, il ritorno in Inghilterra nei luoghi natii. Ma anche nel dolore, rimane un narcisista che ha difficoltà a sentire fino in fondo le sue emozioni, i suoi sentimenti. La paura di morire o di non poter più stare fisicamente con una donna, lo troverà fragile ed impreparato, dimostrando ancora una volta l’inconsistenza di una vita condotta solo sulla superficie.

L’adattamento teatrale di Stinco si rivela una riproposizione fedele del testo originario di Niven, mantenendo intatti i monologhi e i dialoghi, senza tradirne quindi lo spirito originario. La drammaturgia viene ritmata dalle musiche degli AC/DC e vivacizzata dalla dinamicità di Leonardo Paoli, che entra ed esce dai diversi ruoli accompagnandosi con il ballo e il canto. Più che la parola, protagonista sembra il corpo muscoloso e scolpito di Paoli che viene sempre esibito in primo piano, giungendo a scene di nudo integrale in linea con gli eccessi del personaggio. Convincente la sua interpretazione che conferisce cedibilità e simpatia ad un personaggio di per sé non originalissimo e ben riuscito. Altrettanto adeguati gli interpreti secondari che ruotano attorno al protagonista: Valeria Salonia,  Alberto Bucco e Fabiana Bolignano. Uno spettacolo divertente ma dal retrogusto amaro che lascia addosso tutto il vuoto e il disorientamento di una società narcisista che ha completamente abbandonato la dimensione umana e relazionale.  

 

Mena Zarrelli

27 novembre 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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