Sabato, 14 Giugno 2025
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‘Rigoletto’ stravince al Giuseppe Verdi di Trieste anche con la seconda compagnia

Recensione del secondo cast del ‘Rigoletto’ al teatro Giuseppe Verdi di Trieste

Se la prima compagnia di  ‘Rigoletto’ ha registrato un successo unanime, la seconda non è stata da meno. Anzi, per certi versi ha saputo essere ancora più sorprendente.

Rivedendo lo  spettacolo, non possiamo che riaffermare tutte le perplessità  relative al fin troppo  sgargiante allestimento,  con i fondali in gran parte occlusi alla vista dalle gallerie; ai costumi, pur firmati, apprendiamo da Facebook, da una fuoriclasse  della moda come Regina Schrecker ed alla regia firmata da Vivien Hewitt, regista dalla apprezzata carriera, che però in questa occasione ci è parsa  non aver offerto contributi  realmente significativi, rendendo l’aspetto visivo assolutamente secondario rispetto a quello musicale.

Daniel Oren ha saputo cesellare una direzione misurata, attenta, ricca di pathos, asciutta a trascinante.

Non ci sono stati quei gesti vistosi che tanto hanno caratterizzato la carriera del Maestro israeliano, a tutto vantaggio di una narrazione intensa, fortissima di spunti, che è riuscita ad esaltare le caratteristiche dei cantanti, grazie anche all’intesa che  da sempre lega questo direttore all’orchestra del teatro Verdi, che ha fornito una prova brillante e sicura.

Si conferma positivamente in crescita la resa  del coro, diretto dal Maestro Longo.

Le voci hanno offerto una prova convincente, a cominciare dai comprimari. Funzionale vocalmente e convincente scenicamente l’uscere del sempre affidabile Giuliano Pelizon.

Fra i cortigiani si distingue per resa scenica e sicurezza vocale il Conte di Ceprano di Dario Giorgelè . Al suo fianco la presenza lussuosa di Fabio Previati, artista dalla lunga e prestigiosa carriera, come riuscito Marullo .

Enzo Peroni convince come Matteo Borsa, mentre  Mirian Artico risulta più credibile come contessa, che come paggio.

Gabriele Sagona,  con il passare delle recite si conferma Monterone  di grande carisma, potente vocalmente  e suggestivo scenicamente.

Carlotta Vichi, è cantante dalle grandi potenzialità, sia dal punto di vista vocale che attoriale e speriamo di poterla ascoltare presto in ruoli di maggior peso.

Carlo Striuli ha quarant’anni di carriera, che se da un lato si sentono nella resa vocale, dall’altra gli permettono di costruire attorialmente uno Sparafucile che il pubblico dimostra di apprezzare.

Martina Belli ha figura sensuale  ed interessante voce solfurea, che la trasformano in una credibile Giovanna, nonostante delle forzature registiche che più che aiutarla sembrano stereotipare  il suo personaggio.

Sabina Puertolas, che in alcune repliche si alterna a Federica Guida, è presente anche in questa compagnia. La sua voce, certamente di notevole qualità, conferma un colore fin troppo maturo per Gilda, ma la sicurezza tecnica e l’omogeneità del registro, pur con qualche accettabile asperità, le consentono di cesellare una prova assolutamente positiva. Le tante difficoltà vocali sono superate in modo convincente  ma rimane la sensazione che se la scelta dei ruoli si orientasse verso parti più drammatiche, la cantante potrebbe  mettere ancora più in evidenza i tanti pregi di una  voce ricca di  colori  e di una interessante personalità.

Rispetto alla prima proposta, cambiavano tanto il tenore che il protagonista.

Ivan Ayon- Rivas possiede sia il fisico che la tempra vocale per essere un magnifico Duca di Mantova.

Già dalla prima aria sfoggia una tavolozza vastissima, dotata di interessanti colori scuri, oltre che di sfumature di smagliante purezza che gli consentono acuti svettanti e sicuri.

Il suo Duca non è figura scontata o monolitica, anche grazie ad una performance attoriale di spessore, che mette in evidenza i molteplici aspetti di questo ruolo.

Già da ‘Questa o quella’ capiamo che il personaggio è costruito con sapienza: le note svettano sicure, ma non hanno il sopravvento sull’interpretazione, che diventa ancora più interessante nel successivo ‘E’ il sol dell’anima’ che brilla per il lavoro attento su ogni singola parola fino ‘Adunque amiamoci’ per il quale  il tenore sfoggia una baldanza giovanile e virile molto convincente.

La scena del terzo quadro offre ad Ayon- Rivas la possibilità  di mettere in evidenza in ‘Ella mi fu rapita’ acuti potenti, magnificamente velati di rimpianto, una tavolozza ampia impiegata con commovente sensibilità ed alcuni gesti, pensiamo frutto del suo repertorio personale,  come quando abbraccia l’aria cercando la fanciulla che non sa dove sia, francamente commoventi.

L’ultimo atto permette al giovane cantante peruviano di sfoggiare tutta la sua esuberanza vocale già con una pirotecnica ‘La donna è mobile’, seguita da una intensissima ‘Bella figlia dell’amore’, che un piccolo appannamento di una mezza voce, rende ancora più suggestiva.

Potente anche il contributo offerto nel quartetto, che Oren dirige ottenendo un raffinato equilibrio di struggente impatto poetico.

Youngjun Park era chiamato a subentrare ad Amartuvshin Enkhbat, meritatamente celebrato da stampa ed appassionati.

Diciamo subito che il baritono coreano ha saputo non far rimpiangere il collega mongolo, grazie ad una interpretazione intensa,  senza eccessi, priva di forzature, ma soprattutto connotata da una grande personalità.

Il suo è un uomo provato, che interiorizza delusioni e dolori, dilaniato dentro, autenticamente ferito dall’esistenza.

Park non ricorre mai a quei gesti ad effetto, che regalano l’applauso facile, ma interrompono il pathos narrativo ed anche questo dimostra come in questi anni la sua crescita sia stata esponenziale: la sua voce  è omogenea in tutto il registro, sicura negli acuti, potenti e pieni, suggestiva nel canto a fior di labbra, salda nelle mezze voci, supportata da una recitazione magnetica, mai scontata ed assolutamente poetica.

Una prova attoriale preziosa ed una resa vocale smagliante,  che esplode nella sua forza già  dopo la ‘Maledizion’, quando l’angoscia prende forma in un canto coinvolgente, che si fa ancora più drammatico in ‘Quel vecchio maledivami’, nel quale le note paiono plasmate nella paura. Quando Rigoletto intona ‘Pari siamo’ sembra cercare dei toni che lo convincano di essere stato costretto a beffeggiare Monterone. Rendendo così palese la sua bontà di fondo, la sua repulsione per un mondo che detesta, ma che è anche l’unico nel quale poteva trovare posto.

‘Deh non parlare al misero’ è duetto di autentica poesia, nel quale il baritono commuove  anche con struggenti passaggi a fior di labbra.

La scena con i cortigiani è intonata con misura, senza abusare dei pur  grandi mezzi vocali. Il suo buffone è un uomo umile, provato, che anche nel momento della rabbia non esplode con moti sguaiati, ma mantiene un atteggiamento controllato, quasi fosse rassegnato ad una sorte impietosa.

 ‘Cortigiani vil razza dannata’ è interpretata in modo magistrale ed il successivo ‘Piangi, fanciulla piangi’, è cantata scavando il significato profondo di ogni parola. Pare che Rigoletto chieda al dolore di farsi lacrima e di passare dal cuore della figlia  al suo, come a voler tergere la vita della fanciulla dallo strazio dell’abuso patito.

‘Vendetta, tremenda vendetta’, bissata come ogni sera, manca di quella spinta esteriore che la tradizione le associa, ma sembra una sorta di riflessione a voce alta, una presa di coscienza intensa e sofferta, descritta con eleganza, voce piena, acuti potenti e fiati lunghissimi.

Deflagrante  il crescendo narrativo conclusivo, con una vendetta che si trasforma in profonda disillusione, poi in paura, fino al dolore più intenso, con l’acuto, lunghissimo ma senza forzature od  effetti strappa-applausi , di ‘la Maledizione’ che sembra una implacabile pugnalata che strappa speranze e sogni.

Un’ondata oceanica e meritatissima di applausi premia la grandissima qualità della prova offerta dal baritono, ma va sottolineato che la sala  tributa ovazioni a tutti gli altri interpreti, in particolare a Ivan Ayon- Rivas, Sabina Puertolas e soprattutto al Maestro Oren, da sempre beniamino del pubblico triestino.

Un successo indiscutibile, che premia il lavoro della direzione del teatro, che sta cercando di riportare il Verdi ai fasti di un passato luminoso, che sembrano non essere più così irraggiungibili.

 

Gianluca Macovez

27 maggio 2025

 

informazioni

Trieste, Teatro Verdi, 25 maggio 2025

Teatro Giuseppe  Verdi, Trieste

Stagione Lirica e di balletto 2024-2025

RIGOLETTO

Musica di Giuseppe Verdi

Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo

 

Maestro Concertatore e Direttore DANIEL OREN

Regia VIVIEN HEWITT

Maestro del Coro PAOLO LONGO

Allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

 

Personaggi e interpreti

Rigoletto  YOUNGJUN PARK

Gilda SABINA PUÉRTOLAS

Il Duca di Mantova IVÁN AYÓN-RIVAS

Maddalena MARTINA BELLI

Sparafucile CARLO STRIULI

Giovanna CARLOTTA VICHI

Monterone GABRIELE SAGONA

La Contessa di Ceprano / Un paggio della Duchessa MIRIAM ARTIACO

Matteo Borsa ENZO PERONI

Marullo FABIO PREVIATI

Il Conte di Ceprano DARIO GIORGELÈ

Un usciere di corte GIULIANO PELIZON

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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