Domenica, 20 Luglio 2025
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‘Candide’: uno spettacolo pirotecnico fra Trieste e Bologna

Recensione delle due ottime compagnie  di  ‘Candide’ , titolo di chiusura della Stagione del teatro Verdi di Trieste

 

La Stagione d’opera e balletto del teatro Verdi di Trieste si conclude con un titolo di rara rappresentazione: ‘ Candide’ di Bernstein, allestito in collaborazione con il Teatro Comunale di Bologna, dove con gli stessi interpreti andrà in scena dal 4  all’8 luglio.

Una prima osservazione riguarda l’interessante esperimento fatto dai due teatri:  in questo modo sono state unificate le prove, riducendo costi e tempi. Di fatto lo spettacolo viene smontato a Trieste e rimontato a Bologna, dove saranno sufficienti le prove d’orchestra e quelle generali.

Un modo di contenere i costi senza ridurre la qualità.

Una strategia intelligente, che peraltro raccoglie una idea lanciata oltre vent’anni anni fa dal Maestro Zecchillo, allora alfiere del Sindacato dei Cantanti Lirici,   ma che nessun teatro ci pare che abbia mai così ben fatta propria.

Meno felice, secondo noi, l’idea di proporre il testo in versione originale, perché tre ore abbondanti di musica, con una sequenza di battute e di temi importanti che si susseguono a raffica, tutte in inglese, appannano l’atmosfera brillante dell’allestimento e rendono la fruizione faticosa per il pubblico. 

Costringono gli spettatori a scegliere se guardare il palcoscenico o le scritte luminose.

Di fatto, ad optare fra spettacolo e testo e francamente è scelta dolorosa.

Si è capito che la scelta è legata ai detentori dei diritti della partitura, che sono piuttosto ferrei nel tutelarne l’identità e l’integralità.

Il rischio, però, è che per proteggere Bernstein, si trasformi un materiale vivo e pulsante in un pezzo archeologico.

Difendere non vuol dire, secondo noi, ibernare, ma tutelarne il senso.

Non a caso, nonostante la bellezza indiscutibile dell’insieme, non sono pochissimi coloro che hanno lasciato il teatro durante l’intervallo.

Un’ ulteriore osservazione ci viene spontanea pensando alla collocazione a fine stagione, visto che è noto che il titolo di giugno è quello meno partecipato anche fra gli abbonati, sedotti dal sole che accarezza le rive di una delle città più belle d’Europa.

Lo scorso anno era successo con : ‘ La porta divisoria ed ‘ Il castello del duca Barbablù’,  che però era dittico palesemente elitario, con il secondo titolo addirittura in ungherese.

Ma in quel caso era intuibile che si trattava di scelta non di botteghino ma d’immagine.

Ma questa volta si poteva andare oltre: unire qualità e presenze, magari coinvolgendo il mondo delle scuole, cui da molti anni il Verdi è attento e sensibile,  visto che certamente una proposta simile avrebbe potuto trovare trovato estimatori nei più giovani .

Ma a metà giugno le scuole sono chiuse e sono in corso gli esami di maturità e quindi questo bacino è precluso.

Un peccato, visto il gigantesco impegno profuso da tutti, in primis dalla direzione teatrale.

Fatta questa premessa, diciamo subito che lo spettacolo era bellissimo e ci sentiamo di invitare chi potesse vederlo a Bologna, a non perdere questa occasione preziosa.

Dal punto di vista visivo, la scena, fissa ma ben articolata ed intelligentemente flessibile, firmata da Mauro Tinti univa eleganza e funzionalità. Una aula universitaria, cui, di volta in volta, vengono aggiunti elementi che la trasformano in un campo di battaglia, in Venezia, nel mare, nelle stanza del castello,  nelle sale del casinò e così via, in un rincorrersi di  luoghi che altro non sono che la proiezione del percorso iniziatico  di Candide.

Per quel che riguarda i costumi, Danilo Coppola cesella una serie infinita di soluzioni, ironiche, disincantate ma al tempo stesso ricche di rimandi raffinati, di citazioni eleganti, molto pratiche, visti i tantissimi cambi, ma mai scontate.

Coppola non cade nella trappola di inventare il figurino senza tenere presente l’interprete e riesce ad immaginare soluzioni differenti per i due cast.

Evita le omologazioni a colpi di parrucca ed imbottiture  e riesce a plasmare i personaggi nella fisicità degli interpreti, esaltandone caratteristiche e pregi.

Riesce ad essere grottesco, come prevede la partitura, ma mai volgare .

Non ci sono eccessi, anche se tutto deve necessariamente essere forzato e la qualità del lavoro del costumista diventa un tassello importante per la costruzione psicologica dei ruoli.

La storia è molto difficile da raccontare e sicuramente grandissima parte del successo,  meritatissimo, è dovuto alla regia di Renato Zanella, che si dimostra, più che regista  e coreografo, vero, autentico, grande uomo di teatro.

La dedizione tributata a questo lavoro la si vede anche semplicemente notando che è stato in sala fino all’ultima delle repliche triestine.

Ha seguito, osservato, annotato, corretto, smussato. Di ogni cantante ha colto potenzialità e limiti ed ha saputo esaltare le prime, nascondere i secondi e cesellando per ogni interprete la giusta versione del personaggio, senza che nessuno fosse penalizzato.

La sua è stata  una operazione teatrale potente, forte, opulenta nei rimandi, senza essere mai pesante od autoreferenziale.

La narrazione, cui era difficile non appassionarsi, era articolata su più livelli ed ognuno degli spettatori poteva scegliere quello che gli era più consono: c’era la storia buffa, con la morale alla fine; c’era il gioco disincantato e cinico di chi guarda alla vicenda pregustando già il finale; si poteva lavorare di rimandi letterari e filosofici; si poteva viaggiare alla ricerca di citazioni cinematografiche e di costume .

Le masse sono state mosse con bravura. Sia i coristi che il gruppo dei cantanti, ma non è il coreografo che ha il sopravvento sul regista: ogni passo, ogni spostamento, ha una specifica ragione narrativa.

La dittatura impone di ballare, per esempio, ed i movimenti si fanno pesanti man mano che la vicenda si dipana, a raccontare il montare dell’insofferenza verso i potenti; le grandi conquiste sono di tutta la società, ed ecco che  tutti coloro che sono sul palcoscenico si muovono all’unisono. Non perché cerchino una coreografia, ma perché vogliono descrivere il piacere della Gioia condivisa, senza divisioni sociali ed economiche.

C’è anche spazio per la danza classica, in questo affollato ma mai caotico allestimento, affidata ad un gruppo di otto artisti coreutici, dalla tecnica solidissima e dalla grande musicalità, guidati dalla prima ballerina Lavinia Comelli, dal forte carisma.

Insomma una magnifica  regia, complessa ma scorrevole, articolata ma semplice da seguire, ricca ma non eccessiva, dotta ma non presuntuosa, alla quale il pubblico alla fine tributa entusiastici applausi.

Per quel che concerne il  versante musicale, diciamo subito  che è stata notevolissima la prova del coro, ben diretto dal Maestro Longo.

Ci sono momenti di grande imponenza, come la chiusura del primo atto, ed ancor più il finale dello spettacolo, che dimostrano il ritrovato smalto  e la rotondità di suono di un tempo, che il pubblico ha festeggiato gioiosamente ad ognuna delle repliche cui abbiamo assistito.

Kevin Rhodes, è Maestro dalla forte personalità, dotato di  mano sicura e fortemente in  sintonia con le atmosfere di Bernstein.

I momenti orchestrali sono trascinanti, intensi, anche grazie alla resa di un’ orchestra del Verdi in stato di grazia in tutte le sue sezioni.

Di bellezza struggente i passaggi a cappella, come il quartetto del primo atto, nei quali l’equilibrio delle voci  è attento e ben costruito.

In qualche momento forse la passione ha il sopravvento e delle voci risultano coperte. Ma va anche detto  che non sappiamo se sia effettivamente sovrabbondanza sonora o piuttosto una momentanea e scusabile carenza vocale. In ogni caso non è un problema, perché si tratta di peccato veniale all’interno di uno spettacolo splendente.

Tantissimi gli interpreti: i personaggi solistici coinvolti sono  48 !

Due i cast, almeno per le parti principali, con cantanti che interpretavano fino a quattro ruoli. Personalità  ed interpretazioni differenti ma, lo diciamo senza esitazioni, tutti sono stati all’altezza delle richieste, con alcuni punti di eccellenza. 

Bravissimi gli artisti del coro ‘promossi’ a ruoli solistici, a riaffermare ancora una volta quanto la politica di valorizzazione degli organici debba essere una delle vie per una saggia azione culturale.

Dax Velenich  è stato un mercante dalla voce sicura e dalla buona resa scenica.

Francesco Cortinovis ha unito ad una fisicità  appropriata una vocalità ampia ed omogenea. Armando Badia ha costruito un rigattiere dalle sfumature interessanti, sicuro nella resa e solido nell’emissione.

Rustem Eminov si è fatto  notare per il colore  della voce e la ieraticità dei modi.  Gianluca di Canito è stato un appropriato ammaestratore di orsi. Si tratta di ruoli brevi, non particolarmente arditi nella scrittura, ma complessi sia perché richiedono una notevole sintonia nei pezzi d’insieme, sia perché questi cantanti, finito il pezzo solistico, che prevedeva un buon impatto scenico, rientravano nelle fila del coro amalgamandosi perfettamente nel gruppo.

Tutti loro sono stati bravi ed affidabili.

Positiva, anche scenicamente,  la resa di Zhibin Zhng; piacevole ed interessante la doppia prova di Giulio Iermini, prima inquisitore e poi Re Stanislau, che si è distinto per una fisicità importante, gestita con modi appropriati, unita ad una buona resa vocale.

Xin Zhang, chiamato a caratterizzazioni non prive di difficoltà, ha saputo essere credibile sia come Sultano che come Truffatore.

Yuri Guerra può contare su una voce importante, ricca di colori e su una fisicità flessuosa  e prestante. Ha costruito delle figure di forte impatto, dal croupier uomo/donna ad un Inquisitore che pare una strega. Sarebbe stato facile scivolare nell’eccesso , ma è un rischio evitato con garbo e  senso del teatro.

Saverio Pugliese, interprete affidabile dalla interessante personalità scenica,  ha saputo dare voce a ben quattro ruoli

Paquette  è stata interpretata, nel corso delle recite,  da Aloisa Aisemberg e  da Eleonora Filipponi.

La Aisemberg è cantante dalla tecnica appropriata, vocalmente accattivante, piacevole scenicamente .  Interprete attenta e misurata, non cade nelle trappole delle facili forzature e consegna al pubblico una serva intelligente e disincantata.

La Filipponi è attrice pirotecnica, capace di una espressività facciale trascinante e di una gestualità magnetica.

Possiede una voce è ampia per estensione, ricchissima di colori e sfumature e possiede note basse ambrate, piene, di grande suggestione.

La sua Paquette è carismatica, divertente, ironica, buffa, ma mai di cattivo gusto, mai banale e  mai scontata. Impagabili momenti come l’apparizione quale Madonna, ma anche molto intensi alcuni passaggi vocali nei quali riesce a tingere di rimpianto le note più cupe.

Nel ruolo della Old Lady si alternavano una cantante di grande esperienza ed una giovane promessa della lirica.

Entrambe sono state credibili  ed all’altezza della situazione.

Madelyn Renè ha portato sul palcoscenico la sua  voce graffiata da una carriera impegnativa che l’ha portata nei principali teatri del mondo, unita all’ l’intelligenza dell’attrice arguta .

Grandissima la sua  padronanza del palcoscenico.

Costruisce un personaggio credibile e divertente, disincantato, quasi metateatrale ed alla fine la sua diviene figura prepotentemente centrale della narrazione. 

Stupisce in positivo Benedetta Mazzetto, voce giovane ed importante. Scenicamente riesce ad essere credibile come Old Lady,  grazie alla severità dell’espressione, all’abilità nei movimenti e le note basse di grande potenza espressiva che le consentono di tratteggiare dei momenti di grande suggestione, soprattutto nelle arie solistiche.

David Astorga  e Raffaele Fio si alternavano nella terna: Governatore, Vanderdendur e  Ragotskyi.

Il primo punta ad una divertente caratterizzazione, giocando con la figura paciosa ma mostrando una  vocalità interessante, anche se non sembra  questo il titolo per metterla nella giusta evidenza. 

Raffaele Fio è meno caricaturale scenicamente. Dotato di una voce bella per colori, si distingue per impostazione  ed eleganza.

Il ruolo di Cunegonde , parte decisamente complessa, trovava nei due soprani coinvolti delle interpreti differenti ma entrambe suggestive

Tetiana Zhuravel balla e canta con sicurezza, grazie ad una sicura tecnica, che le permette di muoversi con ritmo sostenuto durante la sua grande aria e di non mancare neanche una nota.

L’estensione è molto ampia ed anche se qualche suono risulta un po’ aspro la prova è superata a pieni voti.

Francesca Benitez ha una voce piccola, ma che  ‘corre’ bene nella sala. La sua è una prova pirotecnica, passando in modo convincente e subitaneo da atmosfere drammatiche a passaggi di grande agilità. 

La Zhuravel cesella una Cunegonde più espansiva, la Benitez più narrativa, ma entrambe credibili  ed all’altezza delle richieste di un ruolo decisamente ostico nella stesura musicale.

 

Le parti  di Maximilian, del Capitano e dello Zar Ivan sono interpretate da Felix Kemp e Michele Patti. Entrambi assolvono con bravura la parte musicale. Molto diversa la resa scenica, pur funzionando entrambe.

Kemp  trova la giusta connotazione lavorando su un piano di grande garbo ed eleganza. Aristocratico come Maximilian, severo quale Capitano , abbastanza autorevole come Zar Ivan.

Patti è dotato di una fisicità importante, verrebbe da dire dirompente, che mette in risalto soprattutto nel momento in cui viene scambiato per una fanciulla e quando appare, potentissimo e carismatico, nelle vesti di Gesù nella processione. Bravissimo a gestire il palcoscenico, offre una importante prova vocale, grazie ad una voce  impostata con tecnica sicura sia quando canta, notevole come capitano alla fine del primo atto, che nei tanti passaggi recitati, in cui riesce a far gustare una tavolozza di colori realmente notevole.

Bruno Taddia è un intenso  Voltaire,  un credibile Dott. Pangloss ,  un godibile  Martin ed un divertente  Cacambo. 

Vero mattatore , si conferma dotato   di brillantissima capacità scenica, di ritmi comici notevolissimi, di una tavolozza di espressioni e di colori  amplissima.

Riesce ad inserirsi nelle  dinamiche narrative  con garbo e misura. Sempre presente senza prevaricare mai.

Le arie sono eseguite con eleganza, senza spingere, rendendo la bellezza musicale della pagina senza cadere nella trappola dell’ostentazione.

Una grande prova d’interprete che  merita di essere segnalata.

A lui si alterna Valdis Jansons. Figura elegante e misurata nella gestualità, risulta credibile e piacevole, anche se in alcuni momenti la voce viene sovrastata dall’orchestra ed il centro sembra perdere tenuta . Certo non ha il carisma e la comunicatività del collega, ma questo non gli impedisce di assolvere in maniera positiva al ruolo e di raccoglie ampi consensi alla fine della serata.

Infine Candide: un  ruolo onerosissimo sia scenicamente che vocalmente. Deve mettere in campo un ventaglio di espressioni, colori, sfumature. Deve recitare, ma anche cantare le pagine più liriche dello spettacolo, affrontare  la difficile stesura compositiva, reggere il peso  dell’orchestra.

 Enrico Casari supera a tesa alta le difficoltà musicali e si dimostra attore raffinato. Arriva a fine lavoro stanco visivamente ma impeccabile  vocalmente ,  consegnando  una interpretazione che viene premiata da applausi convinti sia durante lo spettacolo che alla conclusione.  Il suo Candide è ironico, ingenuo, disincantato, ottimista, triste, fiducioso. Per ogni situazione la giusta sfumatura.

Il canto è pieno, con acuti sicuri, il centro solido e quei fiati oceanici che Bernstein richiede per questa parte così difficile sono pienamente soddisfatti.

Marco Miglietta sembrava ancora un po’ intimidito dal ruolo, che comunque porta a termine correttamente.

Il suo ‘My world is dust now’ è cantato con bel trasporto lirico e la sua voce è ben impostata. Se riuscirà a calibrare bene il peso degli interventi d’insieme e a distribuire meglio le energie, in modo da arrivare  alla fine meno affaticato, sicuramente il suo Candide risulterà ancora più convincente di quanto già sia.

L’opera si apre in un’aula , dominata dalla scritta WESTFALIA UNIVERSITA’ . Durante lo spettacolo le lettere si staccano una alla volta ed alla fina la frase diventa: W LA VERITA’.

Ed in effetti quello che è emerso è proprio la verità di un lavoro fatto con passione, competenza, bravura.  Nel quale ognuno ha saputo assolvere con professionalità autentica il proprio ruolo.

Non a caso, alla fine il pubblico presente ha tributato ovazioni, lunghe, entusiastiche a tutti.

Un successo vero, che stigmatizza una stagione decisamente importante.

 

 

Gianluca Macovez

26 giugno 2025

 

 

informazioni

Trieste, Teatro Verdi, 15  e 22  giugno 2025

STAGIONE LIRICA E DI BALLETTO 2024-25

CANDIDE

di Leonard Bernstein

Maestro Concertatore e Direttore       KEVIN RHODES

Regia e coreografie                             RENATO ZANELLA

Scene                                                   MAURO TINTI

Costumi                                                DANILO COPPOLA

Maestro del Coro                                 PAOLO LONGO

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna

Personaggi e interpreti

Candide                      

 ENRICO CASARI (13, 15, 21/VI)/MARCO MIGLIETTA (14, 19, 22/VI)

Maximilian/Capitain/Tsar Ivan  

FELIX KEMP (13, 15, 21/VI)/MICHELE PATTI (14, 19, 22/VI)

Cunegonde    

TETIANA ZHURAVEL ( 13, 15, 21/VI)/ FRANCESCA BENITEZ (14, 19, 22/VI)

Voltaire/Dott. Pangloss/ Martin/Cacambo  

BRUNO TADDIA (13, 15, 21/VI)/ VALDIS JANSONS(14, 19, 22/VI)

The Old Lady  

MADELYN RENÉE (13, 15, 21/VI) /BENEDETTA MAZZETTO (14, 19, 22/VI)

The Governor/Vanderdendur/Ragotski

DAVID ASTORGA (13, 15, 21/VI) / RAFFAELE FEO (14, 19, 22/VI)

Paquette

ALOISA AISEMBERG(13, 15, 21/VI) / ELEONORA FILIPPONI (14, 19, 22/VI)

Inquisitor I/Charles Edward/Father Bernardo/First Jesuit

SAVERIO PUGLIESE

Inquisitor II/Croupier

YURI GUERRA

Inquisitor III/King Stanislau

GIULIO IERMINI

Sultan Achmet/Crook

XIN ZHANG

Hermann Augustus

ZHIBIN ZHNG

Cosmetic Merchant

DAX VELENICH

Alchemist

FRANCESCO CORTINOVIS

Junkman

ARMANDO BADIA

Bear Keeper

GIANLUCA DI CANITO

Doctor

RUSTEM EMINOV

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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