Lunedì, 17 Novembre 2025
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Titus al teatro Quirino: “Vediamolo questo dolore”, urla Tito dinanzi a una violenza senza fine

Recensione dello spettacolo Titus - Why don’t you stop the show?, in scena al Teatro Quirino dal 30 settembre al 12 ottobre 2025

 

In scena al “Teatro Quirino”  per la regia di Davide Sacco la prima opera scritta dal bardo, forse la tragedia più cruenta e scandalosa; accantonata a partire dalla chiusura dei teatri nel 1642 per decisione di Giacomo I, naturalmente rifiutata durante il rigido periodo vittoriano nell’Ottocento, e rivalutata nel Novecento. Si può considerare la tragedia di Shakespeare che racchiude tutti i temi che l’autore sviscererà nelle opere successive e che in questa invece appaiono condensati e saturi. Ed è questa la stessa sensazione che abbiamo avuto nel vedere questa rappresentazione del “Titus. La saturazione dei sensi in cui ci siamo spesso imbattuti e i vari tentativi di aver bisogno di “prendere aria”, rispetto a una messa in scena seppure potente e di grade forza emotiva.

Siamo nella Roma imperiale e per la prima e unica volta Shakespeare utilizza Roma come modello politico chiaramente negativo. Tito Andronico, amatissimo generale romano, torna vincitore dalla guerra contro i Goti e reca con sè, prigionieri, la regina vinta Tamora e i suoi figli, a uno dei quali Tito dà morte nella prima scena. Da quel momento, Tamora vive per vendicare la morte di suo figlio. A Roma c'è da assegnare il ruolo di imperatore cui concorrono i fratelli Saturnino e Bassanio. Anche Tito viene acclamato possibile imperatore, ma egli, stanco e saggio, si fa grande elettore di Saturnino, dandogli pure in moglie la figlia Lavinia. Ma Lavinia è già segretamente promessa a Bassanio che la rapisce e la nega al fratello neo-imperatore. Saturnino in tutta risposta sposa Tamora, pur riconciliandosi con il fratello e la mancata sposa. Ne scaturisce una girandola di sangue e vendette ordite in primo luogo da Tamora e il suo servo-amante nero Aron. I superstiti figli di Tamora uccidono Bassanio, violentano Lavinia tagliandole poi mani e lingua, e infine fanno ricadere sui figli di Tito la colpa della morte del fratello dell'imperatore. Al termine della tragedia, Tito risponde a questi orrori uccidendo gli altri figli di Tamora dandone poi in pasto i resti, in una delle scene più celebri e raccapriccianti del teatro shakespeariano. Insomma, Roma e' il luogo del sangue e delle vendette, della politica che non rispetta i vinti e della giustizia che non premia i saggi.

Le scene, di Fabiana di Marco sono davvero una cornice che regala una profonda forza a questa messa in scena.  Il palcoscenico diviso in due livelli, uniti da una sorta di ponte metallico. Un livello superiore quello del potere, nel quale però si compionoanche le perversioni più atroci di una sovranità perdetta; e un livello basso, che decresce fino balla platea che si sfonda nei primi posti lasciando spazio alle sedute a terra tipiche del teatro elisabettiano. E’ nella zona più bassa della scena, a diretto contatto con il pubblico che non a caso si sviluppa forse una delle scene più drammatiche della commedia, uno stupro ripetuto e una successiva evirazione degli arti e della lingua della povera figlia di Tito. Il pubblico è lì, ad un passo, eppure non interviene, non salva, resta attonito dinanzi a tanta violenza.  E forse il sottotitolo di questa messa in scena “Why don’t you stop the show?”, ci richiama proprio a questo, un monito a non abituarci all’orrore, a fermarsi prima che la violenza diventi troppo atroce. Francesco Montanari è un Tito potente, mai sopra le righe nella recitazione, seppure una messa in scena del genere prevedeva a nostro parere proprio questo rischio, è autentico, commovente, sincero in un dolore che sembra provare allo stesso modo del suo personaggio. Il teatro è oramai la cifra di Montanari, non sbaglia davvero un colpo. Marianella Bargilli è una Tamora elegante e cattivissima, come solo una donna arrabbiata riesce ad essere quando ferita così profondamente. Ci sono poi le interpretazioni dei giovani Beatrice Coppolino, in Lavinia, dilaniata nel corpo che si trasfigura facendosi lamento straziante e di  Guglielmo Poggi, un Saturnino che diventa una caricatura di eccessi, fragile e divorato dalla sua brama di potere, che esercita senza nessun senso di responsabilità. La messa in scena funziona, sicuramente c’è tutto il “lato oscuro” di Sacco che ci regala con una generalità senza pregiudizi, né remore. C’è il messaggio potente di fermarsi dinanzi alle violenze più efferate, prima che sia troppo tardi, prima che ci si abitui. Ci sembra però che quell’effetto di saturazione della violenza in cui lo spettatore si trova a stare, possa far perdere dinanzi ad un “troppo” il senso di riflessione che invece ci sarebbe piaciuto portarci senza il filtro dell’ eccesso. “Vediamolo questo dolore” come afferma Tito in un brano struggente, ma tocchiamolo,  sentiamolo anche!

 

 

Barbara Chiappa

13 ottobre 2025

 

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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