Lunedì, 29 Aprile 2024
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Lumik Teatro, Michele Demaria e Ludovica Apollonj Ghetti: vogliamo ricreare un pubblico raccontando storie

La Compagnia Lumik Teatro nasce per iniziativa di Michele Demaria e Ludovica Apollonj Ghetti, attori giovani, ma già con una lunga esperienza maturata, fra l’altro, al cospetto di un mostro sacro come Gabriele Lavia. Il loro primo spettacolo, Ciccioni con la gonna di Nicky Silver ha vinto nel Giugno scorso il Festival Inventaria alle Carrozzerie N.O.T.. La loro seconda produzione, Cervus di Aaron Mark, ha recentemente debuttato al Teatro Biblioteca Quarticciolo.

 

Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto a dar vita ad un progetto vostro?

MD. Per la fatica di vivere da scritturati. Il teatro non è un’attività che si sceglie perché faccia comodo. Non rende, è difficile, faticoso. È frustrante quindi vedere che si perde la necessità primaria, far vedere gli spettacoli al pubblico. La produzione non può essere il fine del teatro. Quando ti rendi conto che la macchina funziona eliminando quello che il suo fine ultimo, vuol dire che c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Fino a pochi anni fa si facevano anche 120-150 repliche l’anno, adesso sei fortunato se se ne fanno 30.

LAG. La riforma Franceschini ostacola di fatto la circuitazione degli spettacoli, in quanto questi devono essere fatti all’80% nella sede di produzione, mentre il teatro italiano è legato tradizionalmente alla tournée. All’estero gli spettacoli restano in cartellone per mesi e vengono replicati per anni. Questo in Italia non succede, è nella nostra cultura, una peculiarità del nostro teatro.

MD. Lavorando quindi meno giorni e avendo tempo libero, abbiamo provato a ricominciare da zero, ovvero trovare una storia e raccontarla. Non c’è una fattibilità economica dietro. Un progetto del genere richiede investimenti in proprio. Con la prossima tournée riusciremo a permetterci altre repliche dei nostri spettacoli. Il premio è trovare il pieno divertimento nel lavorare, a partire dalla ricerca di nuove drammaturgie che possano interessare il pubblico.

 

Perché nei vostri primi spettacoli avete attinto alla drammaturgia americana?

MD. Innanzitutto per un limite linguistico, che ci consente solo di accedere alla letteratura anglofona. Non credo però che in diversi contesti manchino possibilità.

LAG. Di certo, grazie alla maggior parte dei film o alle serie TV, è quello che la gente ora è abituata a vedere, risponde di più al gusto delle persone. La gente ormai va poco a teatro, che è ritenuta un’attività noiosa e distante. Ma non è così: Medea è attualissima, le grandi tematiche sono eterne. La nostra idea è di riavvicinare comunque il pubblico al teatro classico, utilizzando testi moderni. Ciccioni con la gonna è in effetti una tragedia greca mascherata in un testo sorprendente.

MD. La nostra idea è di essere popolari, perché crediamo che l’arte deve essere fatta per le persone. Io personalmente credo che in tutto il ‘900 ci sia stato uno scollamento progressivo sempre maggiore fra l’evoluzione del pensiero e la possibilità di fruizione del pubblico. Un certo intellettualismo, pur appassionante, come l’ambiente culturale in cui mi sono formato e che ho amato alla follia, credo non giovi all’arte. Pensare avanti, proporre, ma essere da un’altra parte mi ha un po’ annoiato. Oggi sento di voler tornare ad essere veramente popolari. Pur senza rinunciare a fare cose “importanti”, perché un’altra cosa che non ci piace è il teatro innocuo, digestivo: il teatro deve essere comunque specchio.

LAG. Un testo può avere diversi piani di lettura. Non bisogna abbassare la proposta, ma renderla leggibile a più livelli. Sono rammaricata, vedendo uno spettacolo, nel rendermi conto di non aver capito nulla, pur avendo, per il mio lavoro, strumenti di decodifica in più. O nel vedere il pubblico che dorme in sala o che applaude perché usa così.

 

Ci sono comunque limiti nella produzione italiana di testi?

LAG. All’estero c’è tanto movimento. Pubblicano tantissimo teatro. Molte compagnie italiane lavorano con testi originali, ma non è possibile accedervi, perché non vengono pubblicati. Nonostante ci sia una produzione, esistano realtà come il Premio Hystrio, non c’è interesse editoriale. Le eccezioni sono pochissime: Lucia Calamaro, Fausto Paravidino, Stefano Massini. Un giovane drammaturgo di talento, come Pier Lorenzo Pisano, è stato pubblicato in Francia, ma non in Italia.

MD. Se cerchi un nuovo testo, dove puoi reperirlo? Lo puoi fare occasionalmente, in contesti ristretti, come qualche rassegna. Per scegliere i due testi che abbiamo portato in scena, ricercando nella produzione americana, abbiamo avuto la possibilità di leggere 70 drammaturgie.

 

Nei testi che avete proposto c’è un tessuto narrativo importante.

MD. Noi siamo attori e forse egoisticamente pensiamo che il teatro sia degli attori. Ma alla fine, sebbene ci sia un grandissimo lavoro dietro, il nostro compito è portare al pubblico delle storie. Noi vogliamo raccontare.

LAG   Noi siamo al servizio delle storie, che scegliamo di rappresentare. Non ci interessa la performance, che si dica che siamo stati bravi. Se qualcuno, assistendo ad uno spettacolo, si sofferma sugli aspetti tecnici, vuol dire che c’è qualcosa nella storia che non va.

MD. Il narcisismo non ci interessa. C’è piuttosto il desiderio di ritrovare le motivazioni primarie che ci hanno spinto a fare questo lavoro e il senso stesso del teatro. Di comprendere perché, se c’è da 2.500 anni, sia così importante. La sua funzione, la sua necessità, perché serva questo specchio. Noi vogliamo continuare ad indagare questo mistero.

 

Cosa vi ha fatto scegliere “Cervus”?

MD. Nell’accezione di popolare, credo ci sia un fattore di divertimento che aiuta. La commedia nera offre la possibilità di indagare l’oscuro attraverso la risata, il paradosso. La cosa che ci ha interessato è analizzare dei rapporti umani in modo anche disturbante, in maniera anche profonda, però conservando la possibilità di ridere, portando le situazioni all’eccesso. Ci è piaciuta poi la semplicità, tutto sommato, di questo racconto. Si parla di un rapporto di coppia, qualcosa in cui tutti si possono riconoscere. Il teatro però offre la possibilità di esplorare, ciò che nella vita comune semplicemente accade. C’è un dramma nel confrontarsi con l’altro. Il cervo è riversare nell’alterità una proiezione di sé. Ma, venendo da ben tre Pirandello con Gabriele Lavia, aggiungo: cos’è l’altro? cosa sono io? Il nostro lavoro è affrontare questo problema.

 

A quale pubblico vi rivolgete?

MD. Esiste il pubblico? C’è gente che va a teatro, ma è un pubblico? Io vedo la noia, l’indifferenza nei confronti delle proposte che vengono fatte. C’è l’esigenza di ricreare un pubblico, lo abbiamo preso per strada negli ultimi 40 anni di stravaganze incomprensibili e noiose. Il teatro off in tanti posti del mondo non è un teatro stravagante, è un teatro fatto con meno soldi. Ma è sempre il cercare di raccontare una storia, sennò il pubblico che ti abbandona.

LAG. Non ci interessa il teatro pedagogico, moraleggiante. Non abbiamo lezioni da dare. Vogliamo riproporre una possibilità di turbamento, che il pubblico non resti indifferente uscendo dalla sala. Personalmente mi piacerebbe semplicemente ricreare una fiducia, che la gente abbia davvero voglia di ritornare a teatro.

MD. Che il pubblico veda Edipo Re o Medea, roba di questa potenza e non sia turbatoe è qualcosa che mi sconcerta. Sembra che oggi in Italia il teatro non serva più, colpa anche momenti storici in cui si è propagandato che la cultura non sia necessaria. Ma il teatro ha anche una funzione civile. Un uomo più consapevole, un uomo che ragiona su sé stesso è anche un uomo migliore nella società. Ricreare un pubblico è anche ricreare dei cittadini migliori.

 

In questo progressiva disaffezione del pubblico verso il teatro, che ruolo hanno avuto altre forme di espressione come il cinema o la televisione?

LAG. Il teatro non è sostituibile. È l’unica forma d’arte in cui è necessario esserci. Si può fare solo se c’è un attore e uno spettatore. Richiede uno scomodamento dello spettatore.

MD. In realtà non sono affatto nemici. La grande possibilità di vedere produzioni di qualità ha reso il pubblico più esigente e quindi costringe ad alzare il livello dell’offerta.

 

 

 

 

Valter Chiappa

28 ottobre 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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