Domenica, 28 Aprile 2024
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Délire: contraddizioni e allegri arrovellamenti a Torpignattara

Recensione dello spettacolo Délire andato in scena al Teatro Studio Uno dal 3 al 6 dicembre

Da Delirio a due di Ionesco alla riscrittura di Antonio Sinisi il passo è breve. Sul palco dello Studio Uno va in scena Délire, un riuscito lavoro artistico, nonché primo spettacolo recitato assieme dall’eccellente coppia Di Somma-Turco. 

Una scena semplice, minimale e spoglia, composta da una serie di disegni, alcuni che pendono a mezz’aria sorretti da fili, altri, invece, attaccati alla parete del fondale. Sono l’armadio, il materasso del letto, sono gli oggetti di una stanza. Al centro una finestra, anch’essa disegnata, è strumento di visione, ritaglio che connette il dentro col fuori. Oggetti finti, disegnati e sospesi, scelti perchè “volevo ricreare l'immobile invece del troppo mobile” dirà il regista. Il raccolto spazio dello Studio uno si presta bene a rappresentare la stanza dove verrà svolta l’intera azione scenica, un’azione che si muove fra parole e sottofondi musicali, rumori, passi (suoni ripresi dalle manifestazioni di Atene).

 

Tutti elementi visivi e uditivi innescati per circondare di dubbi: “non vorrei che la gente uscisse da Délire con una risposta in tasca, piuttosto con un’ infinità di perché” afferma Antonio Sinisi, che si mette in gioco riconsegnandoci l’opera di uno dei più grandi esponenti del teatro dell’assurdo. “Ho pensato al testo di Ionesco perché volevo lavorare su un testo integrale e non sull'assemblaggio di testi, come faccio sempre. E poi mi interessava lavorare su un testo "sommerso" e gettarlo e ritrasformarlo nel qui ed ora.” Passare da un testo già entrato nella storia letteraria e teatrale a un arrangiamento implica sempre un movimento delicato.

Trasportare e ricostruire fedelmente o adattare e personalizzare mantenendo e non snaturando il senso, sono tutte azioni che richiedono un certo calibro artistico,  e Sinisi riesce a ripercorre il testo con saggia leggerezza, donando i contorni giusti della riflessione e un taglio ironico al tutto. In scena viene portato un racconto di incomprensioni, incomunicabilità e accanimenti vissuti da una coppia che pare essere in totale disaccordo su tutto (dallo strano e capriccioso interrogativo che chiede se la tartaruga e la chiocciola sono la stessa bestia a quelli che sono i problemi quotidiani, le discussioni sul modo d’essere, le difficoltà caratteriali, le azioni mancate, le disillusioni, i rimorsi che diventano frustrazioni e anche le moine e i pretesti un po’ vuoti per attaccar briga). Intanto fuori c’è un mondo che  combatte, impegnato in una guerra senza nome. Mentre il mondo viene violentato da quest’anonima, ma sicuramente solita e marcia guerra, i due sono sospesi in una loro dimensione che viene, però, scossa dall’urgenza del dramma reale. Fuori la guerra, dentro casa gli amanti, fuori i problemi del mondo, dentro quelli di coppia, ma quelli di fuori sono anche problemi che sconvolgono l’interno, e i problemi interni, personali e propri non sono forse la rappresentazione di un mondo contorto, controverso, polemico, violento e  insoddisfatto?                                                

Avvengono, dunque, due conflitti contemporaneamente, che si risolvono nella formula dell’anticommedia. Qui i personaggi si muovono con tratti impostati e anche caricaturali, una Eleonora Turco bella, sensuale e rancorosa affronta un Alessandro Di Somma immedesimato, testardo e un po’ sbruffone. Fra loro passa una frizione che vorrebbe sciogliersi, provocazioni e tensione che implica anche un’evidente linea erotica (d'altronde vi è spesso una marcatura sessuale nelle situazioni di contrasto e scontro).

I due amanti, poi, sono coppia sul palco così come nella vita. Il loro è un intreccio nato a teatro, “l’ho vista la prima volta sul palcoscenico, e quell'immagine che ho di lei al lume di una candela è qualcosa che  porto sempre con me” ci confessa Di Somma. Il loro è un percorso artistico che continua, i due gestiscono infatti lo Studio uno, cantiere di teatro in un angolo di Torpignattara, dunque l’esibirsi nello spazio che monitorano è un po’ come onorare ancor di più il teatro recitandoci dentro. Dalla vita al teatro comunque è palese il calibro artistico di entrambi e la complicità del duo, che oltre ad essere una coppia sono una squadra, per usare le parole di Eleonora. La loro compattezza si ritrova in questo espediente sfizioso e godibile, dove vi sono variazioni continue soprattutto di frequenza, di intensità, di velocità. “Le due figure in scena, a volte ripetitive e meccaniche, a volte fluide sembrano attraversare la storia del genere umano con tutte (o quasi!) le sue sfumature. Non solo un lavoro fatto di solo testo ma composto dal gioco di azione-reazione dei due corpi sulla scena palesemente “finta”, addirittura disegnata, avvolta da suoni futuristici.”

Per quanto reso leggero e piacevole gli inneschi creati suggeriscono qualcosa d’altro, che i paradossi ioneschiani non lasciano sfuggire. Qualcosa che rimanda a una sorta di irrimediabilità della condizione umana, delle sue forme di comunicazione che nella coppia trovano l’esempio base, il nucleo primo di due esseri che frontalmente si intrecciano e in uno scambio di sguardi, gesti e battute si confrontano. La logica dei pensieri, l’illogicità dei discorsi, tutto fa parte della complessa struttura umana che si esprime in farneticanti e alterate questioni ricordandoci, appunto, come il delirio sia anch’esso una forma di comunicazione della quale ci serviamo tutti. Le discordie, le agitazioni, le angosce, crollano come quelle bombe di cartone che cadono dal soffitto. La sicurezza delle mura domestiche si frantumano così come le certezze e l’aggressività verbale, ci si sente privati di qualunque sicurezza o barriera, tutte le difese finiscono per cedere d’improvviso e in quell’istante di verità si coglie un elemento unico, cioè che, in fondo, dietro ogni latrato vi è sempre un’insoddisfazione e  una solitudine, e in tutto questo circuito la guerra spaventa,  ma la pace annoia, l’equilibrio è fondamentale purché non diventi inerzia e le esplosioni nella vita servono, noi non sappiamo mantenerci e non sappiamo sopportarci e comunque ci avviciniamo, sempre ci avviciniamo (e i motivi son tanti e non sono solo opportunistici e di natura egoistica). Seguendo così le scie di quel delirio i due si riavvicinano sempre per la legge dell’attrazione della tensione e dell’opposizione, dell’adrenalina rabbiosa, paradossalmente si intrecciano, e noi ci siamo divertiti.

 

Erika Cofone

 

10 dicembre 2015

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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