Martedì, 14 Maggio 2024
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Il Todi Festival è giunto alla XXXV edizione e brilla ormai di luce propria. Sotto la direzione artistica di Eugenio Guarducci vanta un programma su nove giornate, dal 28 agosto al 5 settembre 2021, ricco di eventi legati al teatro ma anche all’arte tout court, in grado di rispondere alla voglia del pubblico di tornare a godere in presenza degli spettacoli teatrali, di danza, della musica e delle mostre. 

 

Il Todi Festival quest’anno torna ad avere un programma su nove giornate. Un successo che ha certamente richiesto impegno e uno sforzo organizzativo importante. Lo scorso luglio il Consiglio dei Ministri ha introdotto l’obbligatorietà all’uso del Green Pass per tutti gli spettacoli al chiuso ma anche all’aperto. Si aspetta che questa scelta possa rappresentare un inciampo burocratico nell’organizzazione o agevoli invece un ritorno del pubblico a teatro?

La prudenza rimane una parola chiave anche quest’anno. Tuttavia, a differenza di quello scorso, quando abbiamo deciso di avviare comunque il Festival garantendo quattro giornate di spettacoli ed eventi, quest’anno abbiamo uno strumento in più: il Green Pass. Disporre di una certificazione rappresenta certamente un’opportunità per il Festival, perché tutela innanzitutto chi è coinvolto nell’organizzazione di questa grande manifestazione, consentendogli di lavorare con una maggiore serenità e tranquillità, e in secondo luogo il pubblico. Per tornare alla normalità, in un momento delicato come questo, è necessario seguire i protocolli di sicurezza e siamo certi che gli spettatori saranno collaborativi e soddisfatti. 

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In scena il 30 luglio al Teatro Marconi, Marzia Verdecchi ci parla di ‘Provino’, il suo ultimo spettacolo da regista, scritto da Carlo Picchiotti e interpretato da Ramona Gargano.

 

Marzia, ti abbiamo vista sul palco diverse volte, ma in questa occasione torni dietro le quinte nel ruolo forse più impegnativo per te, quello di regista. Perché hai scelto questo monologo? Si cela forse una sfida personale?

In realtà non sono stata io a scegliere il monologo, ma è stato il monologo a scegliere me! Scherzi a parte, mi è stato proposto da Carlo (Picchiotti) che ha subito pensato che potessi essere la persona giusta per metterlo in scena. E così è stato. L'ho letto e subito mi sono innamorata di Ornella Maffei, che in molti aspetti ho ritrovato simile a me stessa. Di certo ogni spettacolo con cui mi confronto rappresenta una nuova sfida e, anche in questo caso, ho accettato di mettermi alla prova di buon grado e con tanto entusiasmo.

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Terminata da pochi giorni la rappresentazione a Roma al Teatro Marconi de Il berretto a sonagli, di Luigi Pirandello, l’attore e regista Antonello Avallone sarà presente il 27 Luglio al Festival della Versiliana, con il medesimo spettacolo. Avallone ci racconta il suo Pirandello parlandoci anche della sua visione, senza compromessi, di teatro dove la ricerca della qualità e la comunicabilità di emozioni sono due perni insostituibili. 

 

Iniziamo con un’affermazione. È stato importante ricominciare ed esserci

Si, e aggiungo: ricominciare nel modo più giusto possibile, perchè il rientro è stato voluto e ho cercato di fare del mio meglio. Nonostante i limiti della situazione, abbiamo mirato comunque alla qualità anche come tipologia di progetto, ovvero portare in scena Il berretto a sonagli connotandolo con la mia visione di teatro, costituita da rigore e ritmo.

 

Infatti ciò che è emerso è l’attenzione riservata alla ritmica 

È una costante dei miei spettacoli: da Scarpetta a Woody Allen. Dare ritmo non vuol dire correre ma impartire un certo movimento sia alle parti più drammatiche che a quelle comiche. Nello specifico, Pirandello viene spesso considerato noioso, ma la verità è che lo   si rappresenta noiosamente. Io cerco di cogliere l’ironia di personaggi che, pur essendo nati più di cento anni fa, sono attuali e fanno ancora sorridere. 

 

La scelta di trasporre la partitura originale, ambientata in Sicilia, in territorio campano è dettata dalla sua volontà di rifarsi alla versione di Eduardo De Filippo?

Esiste una versione di Eduardo completamente in napoletano, abbastanza “stretta”. Io ho voluto colorare la rappresentazione originale con certe espressioni napoletane per una maggiore fruibilità. Non è la versione di Eduardo ma ho comunque voluto richiamarla e omaggiarla in alcuni passaggi.

 

E a proposito di ritmo, l’inflessione napoletana ha reso più fluida e melodica la trama narrativa..

Sicuramente, anche per strappare un sorriso. Pirandello infatti è estremamente ironico però sembra sempre che il pubblico si senta in errore, quasi in colpa nel sorridere con lui. Ho provato quindi a restituire un colore diverso, “rubandolo” a Eduardo, per mettere a proprio agio lo spettatore autorizzandolo anche alla risata.

 

Lei ha riservato, in qualità anche di regista, una particolate attezione alla corporeità dei personaggi che riuscivano a comunicare anche senza necessariamente parlare.

Amo molto l’armonia dei movimenti: nella vita, tutti noi ci muoviamo a tempo con quello che diciamo. Quando ci si trova a riprodurre parole che non appartengono all’interprete, ma solo al personaggio, non è facilissimo farlo con spontaneità. Quello che mi interessava era sincronizzare quei movimenti, costituiti da diagonali e semicerchi, e lasciare fossero questi a contribuire allo sviluppo della scenografia. Ovviamente il movimento deve essere coerente con la narrazione. Nel monologo finale di Ciampa, per esempio, troviamo una certa fissità, in linea con il tenore emotivo di quella situazione. Due elementi mi hanmo aiutato nel mio ruolo di regista: l’essere stato un batterista e l’essere un matematico, per cui l’equilibrio è fondamentale sulla scena, perchè deve essere tutto a tempo e armonico. Lo spettacolo è un piccolo concerto dove cerco di restituire al pubblico l’emozione che ha suscitato in me una certa lettura. È semplicemente il nostro mestiere. 

 

Le false partenze dovute al Covid come hanno inciso sul fattore artistico e umano?

Al momento stiamo cercando di ripartire per vedere cosa succede: sarò ospitato tra breve al Festival della Versiliana con il medesimo spettacolo e sono molto contento. La mia intenzione è di suscitare interesse e divertimento. Pirandello, infatti, se fatto bene, oltre ad essere molto attuale è altrettanto godibile. Io credo ancora nella proposta di qualità. Ci sono troppi spettacoli, infatti, che sono vendibili solo se nel cast c’è un personaggio noto, non importa poi se non sappia recitare, purchè sia immediatamente riconoscibile. Personalmente non ci tengo a rovinare i miei spettacoli con qualcuno che appare senza essere. Non sono interessato a riempire le piazze con i personaggi del momento che magari hanno due giorni di teatro alle spalle: preferisco vendere di meno ma essere coerente con il mio credo artistico orientato alla professionalità ed esperienza dei miei attori. Con il teatro non puoi mentire. A differenza dello sceneggiato o del film dove provi la stessa scena finchè non viene bene, a teatro emerge subito se sei un professionista o no.  Io ancora studio i grandi del teatro, come Romolo Valli, “prendendo” le loro peculiarità in termini di intonazioni, movimenti e sguardi, per poi sintetizzare tali segmenti all’interno uno stile personale. 

 

 

Simone Marcari

8 luglio 2021

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Max Mazzotta ha scritto, dirige e interpreta Vite di Genius: uno spettacolo teatrale al suo debutto. È l’occasione per parlare in maniera più approfondita di questa opera ma anche della sua visione del teatro, della differenza con il cinema o la televisione e del suo legame con Cosenza dove ha fondato una compagnia. 

 

 

Lo spettacolo Vite di Ginius, debuttato all’interno del Campania Teatro Festival a Napoli, è stato scritto, diretto e interpretato da te. Tratta di azioni che non si ha avuto il coraggio di compiere o la volontà di arrestare, karma e possibilità di riscatto. Da dove è venuta l’ispirazione?

L’ispirazione nasce dalla domanda sul come viviamo la nostra esistenza, più che sul perché esistiamo. Lo spettacolo non vuole dare risposte ma porre il pubblico nella condizione di formulare esso stesso questa domanda. Il fil rouge che lega tutte le storie in cui Vite di Ginius si dipana è la consapevolezza che l’esistenza è una scuola e che a volte serve più di un ciclo di vita e morte per capirne il valore. Ginius deve ripercorrere le sue vite e gli impedimenti che le hanno macchiate per arrivare alla consapevolezza finale che gli permetterà finalmente di sciogliere il suo nodo karmico.

 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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