Martedì, 14 Maggio 2024
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A poche ore dall’avvio dell’edizione del Todi Festival 2020, abbiamo intervistato il regista e attore Lorenzo Lavia che, con la pièce da lui diretta e cointerpretata, “Era un fantasma”, aprirà la manifestazione giovedì 3 settembre alle ore 21. Abbiamo cercato di cogliere il pensiero di Lavia in relazione al momento presente e, prendendo spunto dalla drammaturgia scritta da sua moglie, l’attrice ed autrice Arianna Mattioli, quale fosse la sua idea di teatro e della vita.

 

All’interno del Todi Festival convivono quest’anno due tendenze: la prudenza e il desiderio di ricominciare. Con quali sentimenti e riflessioni ti avvicini a questa manifestazione?

Non nego di essere preoccupato. Io vivo prevalentemente di teatro ed ogni giorno cambiano gli scenari che fanno dubitare non solo del futuro prossimo ma anche di quello immediato: saprò di essere stato al Todi Festival solo a fine spettacolo. Personalmente ho fatto il tampone perchè esiste anche una necessità di tutelare il proprio ambiente famigliare oltre a quello lavorativo. Sotto quest’ultimo aspetto farò di tutto per portare a compimento lo spettacolo che, anche se non prevede scene di bacio, contempla comunque una certa prossimità tra gli attori. Ho fiducia nelle persone che vanno a teatro perchè, diciamocelo chiaramente, chi va a teatro è diverso da chi frequenta certi locali a Porto Cervo: sono mondi diversi, hanno letto libri diversi e fanno altre cose nella vita. Il teatro ormai è aperto a tutti e non è solo riservato agli intellettuali o a chi ha le stesse mie idee politiche, altrimenti rischierebbe di essere un luogo autoreferenziale. Chi è stato una volta nella vita a teatro è sempre un po’ diverso da chi non lo ha mai frequentato: questo è poco ma sicuro. Esiste cioè una propensione al rito e al rispetto che si sostanzia anche nel saper stare in silenzio senza bisogno di guardare ogni cinque minuti il cellulare, escludendo sempre le solite quattro - cinque persone che rappresentano comunque una netta minoranza. Parliamo quindi del rispetto del prossimo, ancor prima del rispetto per le regole, perchè se io ti faccio vivere e tu mi fai vivere abbiamo colto l’essenza della libertà.

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Intervista a Mircea Cantor ideatore della performance Il suono del mio corpo è la memoria della mia presenza che andrà in scena al Teatro greco di Siracusa il 30 Agosto 2020

 

Una costante in tutte le sue realizzazioni è la ricerca di immagini universali, in questo caso lei parla della voce umana, in che modo la voce intesa come suono del corpo permette di costruire un’immagine, come dice nella presentazione dello spettacolo di “vedere con le orecchie”.

Per me la voce umana è un elemento molto importante nell’atto creativo, ad esempio un cieco costruisce attraverso il suono il proprio universo, se tu chiudi gli occhi e senti un bambino che grida, puoi percepire già nella mente l’immagine del suo viso, delle sue lacrime. 

Per me il fatto che nel monumentale si possa costruire questa immagine ha un potere di creatività incredibile. Il suono del corpo non è da intendere solo come voce umana, ma che tipo di suono sarà fatto come la voce umana, il fatto che sia inedito in questo contesto della pandemia, è una possibilità unica per il mio processo di creazione da artista. Se non fosse stato prodotto durante questo particolare momento il processo sul suono sarebbe stato differente.

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#intervista a Rino Caputo che ci parla dello spettacolo “Dante e Petrarca a Narni - La musica della poesia e la poesia della musica” che aprirà, il prossimo 3 settembre, la corsa dell’anello di Narni.

 

La musica della poesia e la poesia della musica, questo gioco di parole racchiude tutto il senso dell’evento che il prossimo 3 settembre inaugurerà l’edizione 2020 della Corsa all’Anello di Narni, ovvero “Dante e Petrarca a Narni”. Il prof. L. Rino Caputo,  condurrà il pubblico in un viaggio letterario, il M° Mario Alberti e il M° Franco Menichelli, accompagneranno rispettivamente ai flauti il primo e al liuto e chitarra a dieci corde il secondo. Completerà il cast della manifestazione l'attrice Daniela Sistopaolo alla voce recitante.

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Dal 1992 Dario D’Ambrosi porta avanti a Roma un progetto diventato negli anni fondamentale per molte famiglie quello del teatro Patologico. Di cosa si tratta? Di trovare un raccordo, un punto d’incontro e di aiuto reciproco fra arte teatrale e persone con disabilità mentali. Un lavoro importante, che è diventando una vera e propria terapia per molti disabili e allo stesso tempo fucina di opere teatrali apprezzate da pubblico e critica. L’attività di D’Ambrosi è stata così apprezzata che nel 2009 il Teatro Patologico ha ottenuto una sua sede stabile in via Cassia (Roma) dove è poi nata la prima scuola europea di formazione teatrale per persone con diverse disabilità.

Le rappresentazioni della compagnia del teatro Patologico sono andate in scena dal teatro Argentina al Mama di New York passando anche per Tokyo e Bruxelles. Migliaia le famiglie che negli anni hanno potuto notare un vero e sostanziale aiuto da questo tipo di attività per il loro familiare con disabilità. Poi è arrivato il Coronavirus, la chiusura dei teatri ed anche per il teatro Patologico lo stop è stato doveroso ma destabilizzante per molti ragazzi.

 

Qual è la situazione oggi del teatro Patologico, dopo il lockdown siete riusciti a riprendere, almeno in parte le vostre attività?

La situazione è molto triste perché avevamo messo in calendario una serie di appuntamenti molto intensi ma soprattutto molto specifici, da fare con i ragazzi disabili che frequentano i corsi del teatro Patologico. Prima del lockdown avevo anche pensato di migliorare il corso di teatro terapia con l’intervento di una logopedista ma quando si è tornati al libera tutti è arrivata un’altra brutta notizia: il comune di Roma ha negato il contributo economico per un piccolo vizio burocratico. Mi è dispiaciuto perché ciò è fondamentale per l’esistenza della nostra realtà e credo sia gravissimo che questo contributo sia stato negato solo per un vizio burocratico. Anche perché il servizio che offriamo coinvolge circa sessanta famiglie i cui parenti sarebbero stati impegnati per altri tre anni in queste attività con grandi benefici per la loro condizione.

 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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