Martedì, 16 Aprile 2024
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Misurando la frequenza di risonanza della voce del teatro: Mircea Cantor e il suono del corpo

Intervista a Mircea Cantor ideatore della performance Il suono del mio corpo è la memoria della mia presenza che andrà in scena al Teatro greco di Siracusa il 30 Agosto 2020

 

Una costante in tutte le sue realizzazioni è la ricerca di immagini universali, in questo caso lei parla della voce umana, in che modo la voce intesa come suono del corpo permette di costruire un’immagine, come dice nella presentazione dello spettacolo di “vedere con le orecchie”.

Per me la voce umana è un elemento molto importante nell’atto creativo, ad esempio un cieco costruisce attraverso il suono il proprio universo, se tu chiudi gli occhi e senti un bambino che grida, puoi percepire già nella mente l’immagine del suo viso, delle sue lacrime. 

Per me il fatto che nel monumentale si possa costruire questa immagine ha un potere di creatività incredibile. Il suono del corpo non è da intendere solo come voce umana, ma che tipo di suono sarà fatto come la voce umana, il fatto che sia inedito in questo contesto della pandemia, è una possibilità unica per il mio processo di creazione da artista. Se non fosse stato prodotto durante questo particolare momento il processo sul suono sarebbe stato differente.

Utilizzare la simbologia della campana può evocare diversi significati: il risveglio dopo un sopore, o la potenzialità di amplificazione della risonanza di una performance: com’è nata dunque l’idea della campana e com’è utilizzata all’interno dello spettacolo?

Questa performance nasce dall’idea di un film su cui ho cominciato a lavorare nel 2014, realizzare un film è un qualcosa che ho sempre desiderato fare. Come ho ricevuto la chiamata da Marina Valensise (consigliere delegato della fondazione INDA, ndr.), che probabilmente ha deciso di invitarmi a partecipare a quest’edizione dell’INDA, in seguito alla visione di una mia performance del 2014 all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi in cui veniva evocata anche in quel caso il concetto di ritualità e sacralità. Utilizzare la campana per me è un elemento, come per la voce umana, che richiama il passato, la memoria dell’umanità, è uno strumento che è stato sempre utilizzato sin dai tempi antichi, ha questa potenza di riattivare attraverso la memoria dei ricordi e di scavare nel passato. 

 

Per quanto riguarda la costruzione della scenografia per il piccolo principe fatta al teatro di Bucarest volevo sapere qual è la differenza principale fra lavorare su una scenografia e un lavoro come quello che propone all’INDA in cui riveste un ruolo che potremmo definire a tutti gli effetti registico:

La differenza per me non esiste, perché io percepisco tutto come un atto artistico totale, costruire una scenografia non si differenzia dalla realizzazione di un film o un disegno, per me è l’atto creativo che conta. Il risultato poi cambia, ma il mio atto creativo per me non si differenzia.

 

L’INDA è un teatro molto votato al recupero della memoria, in cui ha un ruolo fondamentale, come è stato relazionarsi con un teatro di questo tipo e quanto questo discorso sulla memoria ha avuto importanza nella realizzazione del lavoro.

Quando sono stato invitato a partecipare alla costruzione di uno spettacolo all’interno del teatro greco di Siracusa per me è stato davvero un onore grande, è un luogo mitico dove sono state messi in scena innumerevoli spettacoli dall’antichità fino a oggi. Basti solo pensare ai drammi di Eschilo. Mi sono dunque chiesto cosa farò io da artista, e ho pensato di realizzare qualcosa degno e al livello di questo contesto così importante. Il mio obiettivo è quello di colpire, costruire qualcosa di potente, è su questa linea che ho voluto lavorare e ideare. Ho inteso questo invito come una grande responsabilità, per citare John Cage, come una response ability, la capacità di dare una risposta, ed è questo il tipo di lingua artistica che parlo. 

 

Per quanto riguarda il lavoro con gli attori italiani, in particolare con gli studenti dell’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico, come si è trovata a lavorare con degli attori con una formazione tradizionale all’italiana. 

Per ora non abbiamo avuto molto modo di lavorare insieme, solo qualche incontro telematico, sento molto la mancanza della vicinanza delle prove in teatro. Questo modo di fare arte allontanati, per me, non è un reale modo, è solo una provocazione. L’arte il teatro la performance il suono va sentito da vivo. Come diceva il direttore d’orchestra Sergiu Celibidache la musica si vive nel presente in cui viene ascoltata, una registrazione non è più musica, solo suoni, la musica è lì nella modulazione dello spazio attraverso l’orecchio e la bocca attraverso cui esce il suono. In ogni caso per un artista ogni contesto è ottimo, la realtà è lì per provocarti. Non dobbiamo marginalizzare i mezzi di percezione, l’arte non individualizza le cose, ma risponde a delle necessità, tutto si subordina a queste necessità interiore, dell’anima. 

 

Com’è è stato l’incontro con la città di Siracusa e la realtà del teatro greco?

Per questa edizione ho realizzato il quaderno dell’INDA è la prima volta che un artista viene invitato a disegnare per questa stagione. Il quaderno sono dei disegni fatti, ultima parte c’è un inserto due pagine che si aprono, fatti durante un soggiorno a Siracusa, durante l’inizio di luglio fatto per un sopralluogo, ispirati da una visita fatta al museo archeologico di Siracusa per impregnarmi di ricordi, e della storia locale sono per me molti preziosi perché realizzati in quel luogo.

Non era la prima volta Siracusa, ero stato nel 2012 ma solo in transito, adesso è stata un’esperienza molto fresca. Ho cantato nella reggia di Dioniso, ho fischiato una canzone per testare l’acustica del teatro, una prova sicuramente utile alla costruzione creativa, essendo quello del teatro un contesto in cui tutto dialoga. 

 

Mila Di Giulio 

28 agosto 2020

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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