Recensione di Romeo & Juliet, balletto di Renato Zanella su Musiche di Sergej Sergeevič Prokof’ev, in scena al Teatro Verdi di Trieste dal 21 al 26 marzo 2023
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2022-23
La stagione del teatro Verdi di Trieste apre al balletto. Naturalmente non si tratta di una produzione interna: dal 2010 il capoluogo giuliano non ha più un Corpo di Ballo stabile, nonostante la gloriosa tradizione coreutica di quel teatro, a causa delle leggi che hanno decimato le compagnie stabili, che ormai sopravvivono solo alla Scala, al San Carlo di Napoli, all’Opera di Roma ed al Massimo di Palermo. Trieste mantiene, comunque, almeno un appuntamento all’anno con la danza, ma ricorre a compagnie esterne, il più delle volte provenienti da teatri internazionali.
Questa volta la collaborazione è con la compagnia del teatro di Ljubljana, diretta dall’italiano Renato Zanella, nome importante della danza internazionale, forte di una esperienza prestigiosa prima come danzatore, poi come coreografo in importanti teatri, fino alla nomina, dal 1995 al 2005 di Direttore del Corpo di Ballo dell’Opera di Vienna. Dopo quell’esperienza, non si contano le collaborazioni prestigiose, gli incarichi importanti, fino ad assumere, appunto, dal 2021, il ruolo di Direttore Artistico del Balletto Nazionale Sloveno a Lubiana. Una mossa saggia quella del Verdi di aprire una collaborazione con una personalità così interessante, che riesce a far uscire la danza dai cliché stantii senza operare fratture troppo dolorose.
Quello allestito al Verdi è uno spettacolo moderno, che può contare sul supporto drammaturgico di Tatjana Azman che trasporta l’azione in una Verona moderna, con alcuni riferimenti persino contemporanei, una festa in discoteca e qualche stravolgimento, in certi passaggi un po’ complesso da seguire. Ma dal punto di vista tecnico, nulla era fuori luogo, niente era trascurato, ogni passaggio motivato. Alle volte persino ossequioso delle tradizione della grande scuola russa ottocentesca, nei ruoli principali, ma soprattutto in quelli secondari. Oltretutto gli irriducibili del tutù ad oltranza, grazie al cielo pochi, forse hanno confuso il lavoro di Prokof’ev, datato 1938, con lo spettacolo della Compagnia di Milano visto al Verdi nel 2010, che era un assemblaggio di musiche di Caikovskij e sicuramente hanno dimenticato, come ha fatto anche il programma di sala, della coraggiosa versione offerta dalla Compagnia Culberg nel 1973, che era molto più dirompente del garbato e raffinato lavoro di coreografia di Zanella.
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