“Narni città teatro”, dal 4 all’8 giugno la VI edizione del festival del festival che quest’anno propone il tema “Giocare la vita”.
“Perché vivere è un arte audace, un equilibrio fragile tra ciò che siamo e ciò che desideriamo diventare…”, questa una delle frasi di presentazione del tema di quest’anno nel “Narni città teatro”, dove i due organizzatori Davide Sacco e Francesco Montanari (coadiuvati dall’esplosiva Ilaria Ceci), oramai alla loro sesta edizione, puntano lo sguardo sul senso del gioco che si compie nel vivere, dei rischi del cambiamento, di quello stato liminare di attraversamento delle cose, che poi è lo stato perpetuo in cui opera il gesto teatrale. Una realtà sospesa, eppure reale, che il festival di Narni incarna perfettamente, per la sua essenza, in quanto territorio di sperimentazione artistica ricca di eventi, nel centro di una realtà territoriale, al “centro” della nostra penisola. Ci sembra che questo festival nel corso degli anni si stia arricchendo sempre più non solo di popolarità, divenendo un'altra delle manifestazioni culturali di spessore della regione, ma che stia assumendo sempre più una logica di intenti, un nesso di significato che rende tutti gli eventi connessi in un filo “SOSPESO” appunto, che ha una logica ben precisa. Qui un piccolo report degli spettacoli che abbiamo seguito per voi.
Venerdi 6 giugno, ore 20.30, Teatro Manini. “Storia di un cinghiale” scritto e diretto da Gabriel Caldéron, con Francesco Montanari
Uno spettacolo che dal suo debutto a Milano a marzo, fa parlare di sé, con un tale entusiasmo da aver rinvigorito anche i più disincantati. Ebbene, qui la messa in scena merita davvero tutto il successo che ha. Esplosiva la presenza di Francesco Montanari che in un monologo interminabile mostra delle capacità quasi atletiche, anzi, oserei dire olimpioniche. Potrebbe colpire anche solo la tenuta della memoria di un testo, c’è da dirlo, assai complesso nella composizione narrativa, ma poi ad essa si affiancano i frequenti cambi di costume, la movimentata relazione con la scenografia e gli oggetti di scena, interattiva e mai statica e non per ultimo una serie di difficoltà “fuori contesto” che la performance di Narni ha presentato e che l’attore ha risolto con una sicumera davvero invidiabile. Non avevamo dubbi sulla bravura di Montanari, ma un’operazione del genere prevede una tale centratura ed equilibrio che ci ha questo sì, assai sorpreso. Ma il lavoro di Montanari è ovviamente un’opera ben riuscita impastata sicuramente in un’argilla di ottimo valore. Il testo e la messa in scena sono due gioielli. “Storia di un cinghiale”, che ha come coda di titolo “Qualcosa su Riccardo III”, non è solo un omaggio a Shakespeare, ma al teatro tutto, al su senso, alla sua complessità. La difficoltà di un l’attore che dopo ruoli marginali riceve l’incarico della vita: interpretare Riccardo III, che però incorre in una serie di difficoltà nella messa in scena della piece che lo portano a esacerbare un dolore forte nei confronti di un mestiere così complicato, che lo incarnano, pur non volendo, nel duca di York. Tante volte chi vi scrive parlando con gli attori ha accolto esattamente la stessa sofferenza che non si può davvero spiegare, se non semplificandola. Ecco, questo spettacolo probabilmente incarna davvero quello spazio liminare del “giocare la vita”, quella SOSPENSIONE che è il tema del festival. E probabilmente la prestazione di Montanari è la voce, l’urlo di tutta una categoria di professionisti che vivono esattamente quel tormento lì, forse questo è il motivo per cui questo spettacolo ci è parso finalmente, così autentico.
Venerdi, sabato e domenica (ogni 20 minuti), Mercato Coperto. “The companion”
Spettacolo per cui serve una prenotazione anticipata, uno spettacolo dove si entra da soli e che si svolge in circa venti minuti. Uno spettacolo in cui una gentile signorina ti accompagna verso l’ingresso di un ascensore, ti dice di scendere di un piano; uno spettacolo in cui entri in una stanza vuota, da solo, dove c’è un cane robot istallato più o meno nel centro della stanza. E’ ancora uno spettacolo? Direi di no, da questo momento a nostro parere parte un esperienza sensoriale che è abbastanza impegnativa perché ci mette in contatto con alcuni sentimenti assai ancestrali. Per prima, la paura, il contatto con l’ignoto e con l’imprevedibilità di un oggetto, che seppure ipoteticamente manovrato dall’uomo in quel contesto non appare affatto. Quando il cane inizia a muoversi e in qualche modo entri in una sorta di confidenza con l’oggetto, questo inizia a importi dei piccoli ordini, a cui devi decidere se rispondere, o meno. Adesso ad essere messa in gioco è la fiducia, il cedere nelle “braccia” dell’altro e lasciarsi fare. C’è poi il contatto con la tenerezza e la cura, il cane ti chiede di fargli e farti delle coccole, l’imposizione di un gesto d’affetto al quale anche in questo caso devi decidere se sottostare, o meno. E qui la faccenda in qualche modo sii fa più complessa, perché mette in gioco la relazione di ognuno di noi con l’affettività, o l’ipotetico scappare da essa. La fine dell’esperienza viene sancita dal cane robot che te lo esplicita, lasciandoti anche in questo caso in un SOSPESO di interrogativi, a cui dare, se si vuole, risposta. E’ un’esperienza quindi, o uno spettacolo? Cosa importa, basta che sia servito.
Sabato 7 giugno, Terrazza Casa del Popolo, “Yin Zero”, autori e interpreti Van- Kim Tran e Cyrille Humen
Su una splendida terrazza che affaccia sulla vallata e di questi scorci Narni ne ha davvero molteplici, va in scena una performance davvero molto emozionante. Su un telo bianco, tirato a terra, come un tappeto volante iniziano a danzare il duo Yin Zero, una danza derviscia in cui i corpi iniziano a ruotare ininterrottamente, mantenendo tra l’altro una sfera tra le mani che inizia a muoversi prillando sugli arti superiori. L’emozione è enorme, le musiche che i due artisti scelgono per farsi accompagnare sono dissimili , spesso anche fuori contesto dalla danza stessa, che però per una magia strana si conformano completamente sui loro corpi. Il sole sta per tramontare sulla vallata e un taglio di luce si spezza tra i pochi alberi che crescono a bordo del tappeto bianco, costruendo una scenografia naturale davvero unica. Ancora una volta un mondo SOSPESO, con corpi sospesi, che sembra stiano per decollare da un momento all’altro.
Sabato 7 giugno, ore 20.30, Teatro Monini. “Note a Margine” di e con Nicola Piovani
Cosa fa un maestro? Racconta e dopo che ha raccontato esperisce il suo dire facendolo divenire esperienza. E questo ha fatto Nicola Piovani nel suo spettacolo, accompagnato da Marina Cesari, Vittorino Naso, Marco Loddo, tre musicisti che insieme al maestro hanno suonato per un pubblico incantato molti dei temi per i film scritti da Piovani ed altri pezzi ispirati ai miti Greci. Con le immagini che si muovevano sullo schermo, alcuna delle quali prodotte appositamente per lo spettacolo da Milo Manara. I racconti che il maestro fa, sono davvero gustosi, aneddoti su Fellini e il loro perdersi per Roma, l’incipit sui fratelli Taviani. Insomma storia del cinema e musica, il mezzo di comunicazione per eccellenza del concetto di SOSPENSIONE.
Domenica 8 giugno, ore 5.30, Ala Diruta. “Roberto Saviano all’alba”.
Come ogni anno Narni rinnova l’appuntamento con l’alba, questa volta tocca a Roberto Saviano. Sulla terrazza dell’ala Diruta, già dalle 5.00 del mattino inizia ad accorrere pubblico, SOSPESO ancora in uno stato di veglia e sonno. Saviano arriva puntuale, cade un silenzio magico, si parte. Esordisce con il Talmud, nel racconto dove Dio, che vuole uscire dalla sua solitudine, decide di creare il mondo. Per creare l'altro lo fa con la parola e si chiede e ci chiede qual è la parola, anzi la lettera da cui tutto ha origine; nasce così una “battaglia delle lettere”, nella quale ognuna vuole essere l’esordio di ogni cosa. Si presenta la g, come giustizia, ma è anche guerra. Poi arriva la f come fraternità, ma è anche ferita. E va avanti con ogni lettere che racchiude nell’elenco delle parole ad essa afferenti sia il bene, che il male. Dio considera tutte le lettere arroganti perché pensano di avere solo un significato. L'unica che non si è mossa è Alef, la a, seppure poi nel racconto del Talmud la scelta ricade sulla b. Dio decide di iniziare con la b, il principio, ciò che crea tutto. Così Dio concede questa sorprendente soluzione agli angeli, che fino ad allora non sapevano come nominare le cose. Nominare le cose vuol dire ricrearle e finalmente smette di essere soli. Questo l’incipit di Saviano, che poi ruota tutto sul senso della presenza dell’altro e sulla aspirazione dell’essere umano di non essere mai da solo, solo se c'è l'altro si può scegliere di cambiare le cose. E tutto il suo racconto successivo avrà esattamente questa cifra, un manifesto di sapere sulla necessità della relazione con riferimenti anche al suo ultimo romanzo “L’amore mio non muore”.
Domenica 8 giugno, ore 20.30, Teatro Manini. “Mio padre” di e con Andrea Pennacchi, voce e chitarra di Gianluca Segato.
La forza di Pennacchi parla da sola e seppure lo spettacolo è oramai non più recentissimo, c’è da dire che provoca lo stesso impatto di sempre. Scritto da Andrea, ruota sulla narrazione del padre, il partigiano Valerio Pennacchi. Pennacchi ci racconta, con ironia e leggerezza, le imprese della compagnia di amici che si strutturarono in un gruppo partigiano “Squadra di Azione Patriottica” che dal 1 aprile 1944 assumeranno i loro nomi di battaglia. Valerio detto Bepi. E poi ci sono Vladimiro, Pippo e Tombola. La compagnia riesce a svolgere qualche azione sovversiva, fin quando nel 15 agosto del 1944 vengono tutti arrestati. Trasferiti in campo di lavoro in Austria, il lager di Ebensee, di cui poi non rimase alcuna traccia, in condizioni di vita assurde, sotto il comando di Anton Ganz, comandante del campo, psicopatico che fa sbranare i prigionieri dal suo alano. Una storia infinitamente drammatica, che Pennacchi racconta con la potenza della sua voce e del suo dialetto, dando però anche voce, anzi urla all’emozione che ci investe tutti, incorniciata dai canti e dalla chitarra di Gianluca Segato. Finalmente, i carri armati americani si presentano all’ingresso del campo liberando i prigionieri, i rimasti della compagnia si salvano. Bepi appena ritorna in paese, invece di tornare a casa, morso dalla vendetta va in cerca di Pippo il traditore, che ha messo la compagnia in quella condizione, si carica le bombe addosso e quando lo trova, in una festa in piazza, invece di gettargli un ordigno addosso decide di evitare ulteriore dolore e morte, butta le bombe nel fiume e torna a casa. Uno spettacolo SOSPESO tutto il tempo tra la scelta di cosa essere, in che parte della barricata stare, tra il bene e il male. Sospeso tra l’essere figlio di un padre partigiano che ha nascosto per tutta la vita la sua storia dolorosa al figlio e l’essere diventato padre, che inevitabilmente ti porta in una condizione di responsabilità e di recupero della storia e delle origini.
Domenica 8 giugno, ore 22.00, Chiostro S.Agostino. “In mezzo a un milione di rane e farfalle”. Di e con Concita De Gregorio, voce e chitarra Erica Mou.
Il festival termina con lo spettacolo scritto e letto da Concita De Gregorio, tratto dall’omonimo libro dell’autrice. E seppure la notte di Narni continua con musiche in piazza, è proprio alla giornalista e scrittrice che il festival affida la chiosa. Sul palco, accanto a lei la straordinaria Erica Mou, voce e chitarra, che accompagna le parole della De Gregorio, sullo schermo passano le illustrazioni, quelle del libro, di Beatrice Alemagna. Lo spettacolo è un “quaderno degli oggetti smarriti”, un racconto poetico e potente di tutto ciò che abbiamo perduto o dimenticato. Persone, luoghi, emozioni, oggetti che sembravano dissolti nell’aria trovano nuova vita attraverso la narrazione e la musica. La voce della De Gregorio, che arriva per chi ha seguito lo spettacolo precedente, è il giusto contraltare a quella di Pennacchi, suadente e gentile, ci accompagna verso la notte che chiude il festival. Le letture e i racconti sono in questo caso un eterno SOSPESO tra ciò che non tornerà, tra ciò che inevitabilmente è andato perso, le persone, le cose, la fanciullezza. Le ultime parole dello spettacolo sono affidate in parte a una canzone di Dalla: “…io credo che l’amore, è l’amore che ci salverà….”.
In questo spazio SOSPESO in cui restiamo, in attesa della prossima edizione del festival.
Barbara Chiappa
14 giugno 2025
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