Mercoledì, 29 Marzo 2023
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Recensione dello spettacolo Furore in scena al Teatro Argentina dal 6 al 18 dicembre 2022

È con la polvere della terra sparsa sul palco del teatro che un immenso Massimo Popolizio accoglie il suo pubblico del Teatro Argentina. Un pubblico decisamente molto vario e formato per lo più da ragazzi delle superiori venuti a immergersi nel più famoso dei romanzi di John Steinbeck: perché quella proposta e ideata dall’artista genovese è una vera e propria immersione in tutti i sensi e con tutti i sensi in una realtà che, seppur appaia temporalmente lontana, non è mai stata così vicina. 

Una delle più furiose migrazioni di contadini della storia americana moderna viene narrata in uno spettacolo di 75 minuti che esamina tutti i particolari di quel viaggio di sfinimento che i braccianti statunitensi hanno dovuto subire per arrivare in California a causa della siccità delle loro terre e della crisi della Grande Depressione. Dalla polvere, che si alza per posarsi su di loro, alla fame e alla povertà subite fino ai cataclismi climatici affrontati: è durante questo cammino, per il quale hanno dovuto lasciare tutto, vendere tutti i propri averi e coltivare a fatica la speranza di una vita migliore, che cresce il furore di un popolo con cui il pubblico si immedesima e per cui non può che provare empatia. 

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Recensione di Pasolini Caravaggio di e con Vittorio Sgarbi, in scena al Teatro Olimpico dal 2 al 4 dicembre 2022

Cosa possono avere in comune lo scrittore, poeta, regista, sceneggiatore Pierpaolo Pasolini, appartenente al 1900 e il pittore Michelangelo Merisi conosciuto come Caravaggio vissuto tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600? Nell’immediato, ci sembra poco, ma solo ad uno sguardo superficiale. La nuova lectio magistralis-spettacolo di Vittorio Sgarbi, ci stupisce per la ricchezza di particolari e aspetti di vita che i due artisti condividono nel loro inconsueto percorso di vita. Entrambi artisti di profondo spessore, vivono in opposizione col loro tempo per il loro stile di vita e per la precocità e visionarietà del loro intelletto. Giungono entrambi a Roma all’età di 25 anni per avere la possibilità di vivere nella libertà di costumi castrata nei piccoli centri di provenienza. Non vogliono rinunciare alla ricerca del proprio piacere e al diritto di vivere liberamente la propria omosessualità, Pasolini arriva a pagare e a nascondersi per questo. Ma prescindendo dalla comunanza di molti aspetti della personalità è l’accostamento del loro pensiero e della loro arte a sconvolgerci per le inaspettate consonanze. Entrambi sono gli artisti della realtà, rappresentata nella sua autenticità, senza abbellimenti, senza retorica, senza fronzoli. Ricercano persone che appartengono alle medesime classi sociali, con le stesse caratteristiche: l’umanità più degradata, allontanata da tutti, ignorata dai borghesi e dai benpensanti. La riprova di questo comune interesse è la sorprende somiglianza tra alcuni “ragazzi di vita” e alcuni protagonisti delle tele caravaggesche, come ad esempio tra Pino Pelosi, il suo assassino, e i vari Bacco in versione giovanile e malata ritratti da Caravaggio.

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Recensione de I Vicerè in scena al Teatro Quirino dal 29 novembre al 5 dicembre 2022

 

Siamo nell’Italia risorgimentale, nel periodo a cavallo tra le ultime luci del regno borbonico e la nascita dello stato unitario. Precisamente ci troviamo in Sicilia, a Catania, e assistiamo a questo fondamentale momento evolutivo della storia italiana, attraverso le vicende che coinvolgono tre generazioni appartenenti alla famiglia Uzeda di Frascalanza, discendente dei Vicerè spagnoli da cui l’opera trae il titolo. La mente di Federico De Roberto, l’autore del romanzo da cui è stato partorito l’adattamento teatrale, ci immette in un spaccato di vita sociale la cui narrazione si dipana attraverso dinamiche di potere, denaro e ipocrisia sociale. Al pari di Tomaso da Lampedusa per i contenuti e di Verga per il potente impianto narrativo naturalistico, i Vicerè risultano un ritratto realistico e agghiacciante di un’Italia meridionale conservatrice e reazionaria, attaccata allo status quo e intenzionata a perpetuare le disuguaglianze sociali tra le classi privilegiate e quelle subalterne, nonostante si proclamino gli ideali risorgimentali e gli ideali di libertà e democrazia. All’interno di un ambiente familiare anaffettivo e votato solo alla ricerca del potere, alcuni personaggi provano ad essere autentici e a scardinare le dinamiche familiari, come nel caso della zia Lucrezia che, contro tutti, sposerà Giulente, un rivoluzionario seguace di Cavour, o come nel caso di Consalvo, che incarna il modello del ribelle che passerà tutta la vita in opposizione col padre. Entrambi però subiranno una metamorfosi che li porterà ad assimilarsi al resto della famiglia sul finale. 

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Recensione dello spettacolo La Fortuna con l'effe maiuscola, di Eduardo De Filippo e Armando Curcio. Regia di Raffaele De Bartolomeis. In scena al Teatro Petrolini dal 24 al 27 Novembre - Dal 1 al 4 Dicembre 2022

 

Un tavolo e qualche sedia di legno, pareti scarne e poco più. Della dismessa fabbrica di ghiaccio  è rimasto solo il freddo, quasi a ricordare e rivendicare la veste originaria della dimora che attualmente ospita la famiglia Ruoppolo, composta da Giovanni (Raffaele De Bartolomeis), la moglie Cristina (Imma Priore) ed Erricuccio (Mario Sapia). Questi è il figlio adottivo della coppia, un carattere ostinato e bizzarro: all'apparenza non perfettamente presente mentalmente, ma con una spiccata maestria nel guadagnarsi da vivere con azioni moralmente rivedibili e, per tale ragione, mal tollerato dal padre adottivo. La famiglia versa in situazione di totale miseria e don Giovanni, di professione scrivano, è costretto ad arrangiarsi con lavori saltuari, affidandosi al buon cuore dei “datori" di turno. È il caso dell'avvocato Manzillo che, dopo averlo ricompensato per l'ottimo svolgimento del lavoro assegnatogli, gli propone inoltre, una ghiotta occasione per affrancarsi parzialmente dalla sua condizione miserevole. Il baroncino Sandrino di Torrepadula (Luca Di Cecilia), infatti, è innamoratissimo della figlia del marchese ed intenzionato a sposarla ma, essendo orfano, non incontra i favori del padre di lei che non saprebbe come giustificare in società la condizione del genero. La soluzione escogitata dall'avvocato, in accordo con il baroncino, è quella di far riconoscere, artefattamente, a don Giovanni la paternità del giovanotto in cambio di cinquantamilalire. In tal modo, il giovane avrebbe un padre naturale e la famiglia Ruoppolo un pò di “respiro” economico. In contemporanea, arriva dall'America la notizia della morte del sign. Federico, il fratello ricco di don Giovanni, che lascia un'eredità da capogiro che quest'ultimo ha diritto di percepire per intero. Ma a una condizione: non avere figli naturali poichè, in caso contrario, l'eredità passerebbe direttamente a loro. La questione verrebbe velocemente regolata dal notaio Bagnulo, colui che ha informato della morte di don Federico. L'entusiasmo di don Giovanni viene rapidamente smorzato non appena realizzato che, avendo poco prima accettato di millantarsi padre naturale del genero del marchese, perderà il diritto all'eredità, arricchendo ulteriormente il “figlio naturale”. Risolutoria sarà la saggezza della scelta finale di don Giovanni, ben consapevole che la felicità implica sempre, per paradosso, la sofferenza.   

Commedia in tre atti di Eduardo De Filippo e Armando Curcio, datata 1942, dove il chiaro scuro dell'esistenza umana emerge prepotentemente: ad una disarmante  agiatezza si contrappunta una incolpevole miseria. De Filippo e Curcio indagano gli abissi emotivi di chi, inseguendo invano il proprio riscatto, diviene vittima di se stesso e della propria ingenuità, inebriata, questa, da facili suggestioni. La risata e la malinconia si inseguono vicendevolmente fino a fondersi, evidenziando come la stessa esistenza umana è un paradosso di comicità e tragicità. L'umorismo di De Filippo nasce dalla amara constatazione della finitezza e difettosità della vita, come, parimenti, la stessa nota malinconica è il sottotesto dell'immediatezza della risata. La vita si muove per opposti come questa commedia ci insegna, che racconta forse la contrapposizione più paradossale: l’ imprescindibilità della sofferenza per raggiungere la felicità.  

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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