Martedì, 14 Maggio 2024
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Recensione dello spettacolo La Commedia della Vanità in scena al Teatro Argentina dal 29 gennaio al 9 febbraio 2020

 

“Se lo spirito non diventa immagine, sarà annientato insieme col mondo.”

(Simon Mago)

 

La Commedia della Vanità di Claudio Longhi messo in scena a partire da un testo di Elias Canetti è racconta la ciclica ascesa e decadenza del rapporto dell’uomo con il proprio ego, prospettando un’inesorabile ripiegarsi dell’uomo su sé stesso e sulla propria immagine.

Lo spettacolo di Longhi diventa allora un monito universalizzabile: nell’era dell’iperfetazione dell’immagine, La commedia della vanità invita lo spettatore ad utilizzarla con parsimonia, a riflettere su quanto la propria immagine sia il proprio patrimonio più prezioso, fornendo una sorta di libretto di istruzioni su cosa provoca l’eccesso di autoriflessione.

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Recensione dello spettacolo Vetri rotti in scena al Teatro Eliseo dal 4 al 16 febbraio 2020

 

9 Novembre 1938. Uno schianto di vetri infranti attraversa l'Oceano.

Mentre in Germania la Notte dei Cristalli apre la tragica stagione della Shoah, a Brooklyn le gambe di Sylvia Gellburg (Elena Sofia Ricci), benestante signora ebrea, si afflosciano e cedono. Perché un clamore drammatico, ma così lontano, turba così tanto la donna al punto di ridurla all’invalidità? Forse perché altri vetri stanno andando in frantumi: il fragile equilibrio della sua vita privata, minato da cricche antiche e ormai insanabili. Il marito Phillip (Maurizio Donadoni) si rivolge al Dottor Harry Hyman (David Coco) per comprendere la malattia della donna: paralisi isterica di natura psicosomatica la facile diagnosi. Phillip è un uomo tracotante, spavaldo assertivo. Mentre l’affascinante medico entra in un invischiante gioco di seduzione reciproca con Sylvia, il viaggio nella malattia della moglie condurrà l’uomo a conseguenze irreparabili. Le sue certezze vanno in frantumi, come fragilissimi cristalli appunto. Cadono i pilastri del suo potere virile: fallisce sul lavoro; riconosce, forse anche a sè stesso, l’incapacità di amare, che da 20 anni lo rende impotente. L'inevitabile epilogo - e la guarigione di Sylvia - prevedono la tua morte.

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Recensione dello spettaolo Liolà, di Luigi Pirandello, regia di Francesco Bellomo - in scena al Teatro Quirino dal 4 al 16 febbraio 2020

 

Dove l’apparenza è un imperativo, chi si sente smascherato da un travestimento poco credibile trama e tesse il proprio “giuoco”.. fin quando c’è vantaggio. Ma ogni ruolo ha le sue regole e chi giuoca deve continuare a farlo. Anche quando non conviene più.

Lo scenario contadino, nel tempo che separa la raccolta delle mandorle dalla vendemmia, sarà protagonista, spettatore e causa dei tormenti e meschinità dei suoi figli. L’anziano benestante Zio Simone Palumbo, cugino di Zia Croce Azzara, madre di Tuzza, appare come un personaggio cupo ed autoritario, orientato al profitto e all’apparenza e poco incline a slanci emotivi. Egli, pur essendo da quattro anni sposato con Mita, una giovane contadina orfana, non riesce ad avere figli da questa, innescando una prevedibile trama di dicerie e maligne allusioni intaccanti la sua immagine. Inoltre, il desiderio di un figlio, in certi cuori inariditi dal sole e dalla terra, nasce da esigenze pratiche, scevre da ogni rimando affettivo e dissonanti con la parola amore: custodire e non disperdere l’eredità paterna è la vera missione del discendente.

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Recensione dello spettacolo Chi niente fu (non dirà niente) in scena al Teatrosophia dal 31 gennaio al 2 febbraio 2020

 

Come spesso accade, è nei teatri più piccoli o meno blasonati che si ha la possibilità di assistere a spettacoli e studi nati dall’urgenza creativa di nuovi autori e compagnie che amano mettersi davvero in gioco. Un esempio perfetto è Chi niente fu (non dirà niente): vincitore per l’edizione 2019 del Festival Inventaria nella sezione demo. L’incontro tra l’attrice Dalila Cozzolino e il giovanissimo Giuseppe Pipino, che ne firma, il testo fa sì che la Compagnia Ragli decida di produrlo. Entra quindi in gioco la sapiente regia di Rosario Mastrota, supportato da Antonio Monsellato. Gli accoglientissimi spazi di Teatrosophia, una realtà piuttosto recente nel cuore di Roma, accettano di ospitarlo. Ed è così che esistenze poeticamente desolate acquistano voce e corpo, potendosi raccontare al pubblico.

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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