Venerdì, 19 Aprile 2024
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Teatro, pane e parole: Eva Gaudenzi ci parla del monologo “Parto”

Lo spettacolo "Parto - monologo di sola andata verso la maternità" andrà in scena al Teatro Studio Uno di Roma – Sala Specchi - dal 22 al 25 febbraio 2018

 

Come nasce l’idea di uno spettacolo sulla maternità?

L’idea è nata per caso ed il testo, nella sua forma embrionale, è stato scritto quasi di getto. Poi è sopraggiunta l’urgenza di raccontare più cose, più dettagli ed il progetto embrionale si è trasformato in qualcosa di più complesso e stratificato. Il primo input a scrivere è dettato certamente dalla volontà di far uscire un po’ di quel vissuto, l’attesa, il travaglio e il parto, per esorcizzarlo e guardarlo sotto nuove vesti. A dire il vero, devo ancora capire esattamente se lo spettacolo è sulla nascita o sulla maternità… 

 

Nello spettacolo c’è molta “medicina alternativa”. È più che altro una critica o lei ci crede?

Si parla piuttosto di alcune tecniche utili ad affrontare con più naturalezza e consapevolezza il momento del travaglio e del parto. E cioè respirazione diaframmatica e canto carnatico, tradizionale canto del sud dell’India applicato ai vari momenti della gravidanza e al travaglio in particolare: allevia la tensione, distende i muscoli. Io ho imparato questa tecnica da un gruppo di ostetriche durante il corso pre-parto e credo fermamente che sia un bel modo per mettersi in connessione con se stesse e con il proprio bambino. Durante il travaglio, la protagonista ci prova a mettere in pratica questi insegnamenti e per un po’ funziona. Finché non si entra nel cuore della tempesta e l’apice del dolore è talmente alto che è più difficile restare lucidi e concentrarsi. 

 

Come ci si muove nel ruolo di “tutto fare”, autrice, regista e attrice?

Per me è la prima volta e devo dire che mi sento come se fossi stata risucchiata da qualcosa di più grande di me. Le immagini descritte sulla carta contenevano l’urgenza di essere rappresentate e il corpo, di conseguenza, ha subito sentito quali erano le cose giuste da fare. Visto che si tratta di una vicenda che appartiene alla mia vita è chiaro che sono avvantaggiata, gioco in casa. La cosa più difficile è stata lavorare in solitudine, cercando dentro te stessa quella pratica chiamata auto-disciplina… A volte mi sentivo scoraggiata, mi mancava lavorare in equipe. Ma allo stesso tempo, mettere le mani in pasta su qualcosa che è tuo e soltanto tuo è una sensazione meravigliosa!    

 

La scena è completamente vuota, ci spieghi il perché di questa scelta. Nasce da qualche spettacolo che l’ha particolarmente colpita?

Nasce dall’esigenza di semplificare, eliminare il superfluo e l’accessorio. Mi piace quando un attore crea il suo mondo dal nulla. Utilizzo tutto lo spazio che ho a disposizione. È vuoto sì, ma destinato a riempirsi scena dopo scena. 

 

Ci parli un po’ della sua formazione e dei suoi modelli.

La mia formazione è stata varia e non accademica... ci ho provato ad entrare in Accademia ma non mi presero! Ho frequentato il centro studi Ettore Petrolini diretto da Fiorenzo Fiorentini e con lui ho iniziato i primi lavori: dal teatro di varietà a riadattamenti di celebri commedie plautine. Poi ho continuato a studiare con altri maestri e a lavorare. Nel frattempo, mi sono laureata in Storia del Teatro e parallelamente ho cominciato a svolgere anche attività non propriamente d’attrice: sono stata assistente alla regia e addirittura direttore di scena! Esperienze queste che mi hanno arricchito e insegnato tantissimo. Modelli? Non lo so, non credo di averne. 

 

Progetti futuri? 

Sto ri-lavorando ad un mio testo che s’intitola “Focumeo”, finora raccontato come storytelling in diverse occasioni. La mia intenzione è di teatralizzarlo e restituirgli maggior spessore attraverso l’intervento di un musicista, cioè riscriverlo in modo che alle parole facciano da contrappunto certe antiche sonorità.  La storia affonda le sue radici – che sono anche un po’ le mie – nella Calabria dei primi del Novecento ed il musicista che è coinvolto nel progetto è specializzato nella costruzione di strumenti a corda dell’antica Magna Grecia, come ad esempio la lira calabrese. In estate avremo probabilmente modo di presentare “Focumeo” in una prima versione di studio. 

 

Perché è importante parlare di gravidanza oggi?

Il tema dell’attesa e del desiderio di maternità è stato trattato tante volte in teatro, così come il post-parto o la vita sconvolta dall’arrivo di un bambino. Ciò che mi sembra sia stato raccontato di meno credo sia il momento del parto vero e proprio. È importante parlarne perché non sempre le strutture ospedaliere rispettano i tempi della nascita e le esigenze specifiche di ogni donna. C’è poco ascolto, c’è un po’ troppa fretta. E nello spettacolo si parla anche di questo.

   

Abbiamo letto sul comunicato stampa che verrano offerti dei finger food a fine spettacolo... 

Lo dice il nome stesso della nostra associazione: Pane e Parole. Abbiniamo buon cibo, nella versione mini dei finger food,  alle storie che raccontiamo. Ed è una attività che svolgiamo non solo in teatro (ove possibile) ma anche a domicilio. I finger sono preparati da Simona Coschignano, sommelier e cuoca di Pane e Parole.

 

Marco Baldari

17 febbraio 2018

 

informazioni

Teatro Studio Uno

Via Carlo della Rocca, 6 (Torpignattara)

Ingresso: 12 euro

Tessera associativa gratuita giovedì, venerdì e sabato ore 21.00 / domenica ore18.00

PRENOTAZIONI http://j.mp/prenotaTS1 Per info: 3494356219- 3298027943 www.teatrostudiouno.com – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ufficio stampa e Comunicazione

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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