A Roma, nei pressi di via Merulana, c’è una cornetteria storica che di notte è molto frequentata. La felicità in questo luogo ha un costo molto basso, cinquanta, ottanta centesimi per un buon cornetto, con ottima farcitura. Durante la settimana questa cornetteria è punto di ritrovo di alcuni venditori di rose. Questi dopo ore passate in giro per ristoranti e osterie nella speranza di vender i fiori simbolo d’amore, con i pochi guadagni in tasca, vanno a cenare lì. Quando stanno insieme riescono a trovare la forza per sorridere della vita, mal comune. Quando invece sono da soli, diventa molto più difficile.
Eccolo che sta lì, fermo, con il corpo abbandonato sullo sgabello. Il cornetto viene avvicinato alla bocca con fare meccanico. La mandibola mastica solo per memoria muscolare. Lo sguardo vitreo è perso nel vuoto, a sognare, immaginare chissà che, chissà quale passato, amore o legame lontano. Il mangiare diventa solo una cosa necessaria per far sì che il corpo possa continuare a sopravvivere, il gusto del cibo non ha più senso, manca la felicità. Questa è la sensazione che si può trovare ogni qual volta si ha a che fare con la perdita dell’amore.
Il corpo si allontana dall’anima, ogni sensazione esteriore perde d’interesse, diventa bieco ripiego per avere le forze e stare in piedi. La morte, finta morte di Giulietta è tutto questo. Un allontanamento dell’anima dal corpo. Fingere di non esser nemmeno più vivi perché senza amore solo l’anima merita di soffrire. Ma finché c’è speranza c’è possibilità di fare del corpo quel che si vuole. La seconda morte di Giulietta, quella dell’anima è figlia della morte della speranza. Risvegliandosi, trovando al suo fianco un Romeo senza vita essa non può che arrendersi definitivamente. Così anche l’anima decide che è arrivato il momento di abbandonare l’esistenza terrena poiché a quel punto solo l’oblio può curare il male di un ricordo che lacera quanto di più intimo c’è in noi.
Enrico Ferdinandi
11 marzo 2015