Giovedì, 28 Marzo 2024
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Godot, l’assurdo e il disturbo della pragmatica

L’espressione “teatro dell’assurdo” identifica una tipologia di opere scritte da alcuni drammaturghi europei tra gli anni ’40 e ’60 del secolo scorso. Il suo carattere distintivo è l’abbandono della drammaturgia razionale, che viene scalzata da una successione di eventi illogica e all’apparenza priva di significato, e del linguaggio logico-consequenziale, il quale viene sostituito da dialoghi insensati e ripetitivi che seppur tragici possono scatenare il riso. In questo modo si mostra l’alienazione, l’angoscia, la crisi, la solitudine e l’impossibilità a comunicare dell’uomo contemporaneo. 

L’opera forse più rappresentativa del teatro dell’assurdo è Aspettando Godot di Samuel Beckett. In essa due mendicanti, Estragone e Vladimiro, si incontrano su una scena vuota e non fanno altro che aspettare un certo Godot (che non arriva), ma nel mentre parlano giusto per fare qualcosa. L’attesa è movimentata dal transitare di due strani personaggi, di cui il ricco Pozzo porta al guinzaglio l’altro, il suo servitore Lucky. Quando i due lasciano la scena, l’attesa ricomincia fino all’arrivo di un ragazzo, il quale comunica che Godot non verrà più quel giorno, ma il seguente. Allora Estragone e Vladimiro ricominciano ad aspettare e tutto si ripete, compresi l’incontro con Pozzo e Lucky e l’arrivo del messaggio, identico al precedente. Lo spettacolo si conclude proprio con l’attesa dei protagonisti.           

Il drammaturgo Samuel Beckett, autore della commedia, esplora molteplici tematiche grazie ad Aspettando Godot. L’umanità che attende un Dio freddo e lontano, l’incomunicabilità degli esseri umani, la perdita di senso dell’esistenza, la piccola borghesia che non agisce per fermare lo sfruttamento dei proletari, incarnati da Lucky, da parte dei capitalisti, rappresentati da Pozzo. Temi dominanti quanto quelli dell’impotenza, dell’angoscia e della decomposizione.  Ma probabilmente l’autore  non avrebbe mai immaginato che il suo capolavoro sarebbe stato punto di partenza e stimolo  per la cura del Disturbo Socio- Pragmatico Comunicativo.                                                                 

Nella sperimentazione condotta dalla logopedista Claudia Felici, lo studio del teatro dell’assurdo e in particolare della commedia Aspettando Godot è stato intrapreso con lo scopo di mettere in parallelo le interazioni comunicative che caratterizzano l’opera con le situazioni vissute quotidianamente da bambini e ragazzi affetti da un disturbo di linguaggio e comunicazione. Questi ultimi si ritrovano abitualmente a interagire nelle situazioni comunicative in maniera non congrua e del tutto inadeguata al contesto dando all’interlocutore l’impressione di trovarsi completamente “in un altro mondo” anziché “dentro” la situazione attuale, come opportuno.                                                                                                                                   

Il DSM-5 – il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association- ha introdotto il Disturbo Socio-Pragmatico Comunicativo (DSPC) tra i Disturbi della Comunicazione, all’interno del più ampio dominio dei Disturbi del Neurosviluppo. È un disturbo caratterizzato da persistenti difficoltà nell’uso sociale della comunicazione, verbale o non verbale, nel modulare il linguaggio in base alle esigenze di chi ascolta, nel seguire le regole della conversazione, nel comprendere metafore e significati impliciti (fonte: Erickson 2020). Le persone affette da tale disturbo si ritrovano spesso a perseguire condotte di evitamento delle interazioni sociali, per l’incapacità nel prendervi parte che genera costanti insuccessi, frustrazione, ansia, irritabilità.

Ma anche stavolta il teatro viene in aiuto per allenare esattamente le competenze pragmatiche della conversazione. All’interno del laboratorio di Logoteatroterapia,  Felici ha pertanto potuto far sperimentare ai bambini, ragazzi e adulti affetti da questo disturbo (in comorbidità con altre patologie) i dialoghi teatrali, le entrate in scena, le improvvisazioni. L’essere qui e ora proprio del teatro e la possibilità di ricominciare e aggiustare il tiro, l’associazione mai scontata tra corporeità e messaggio verbale, esercitano enormemente il linguaggio congruo e contestuale, ampliano la comprensione degli aspetti non verbali, stimolano l’osservazione della postura e delle emozioni vissute dal proprio interlocutore. Inoltre, il mettere in scena eventi presi dalla vita quotidiana dei ragazzi, con la possibilità di fermarsi e analizzare ogni singolo elemento, ha reso tutti loro (almeno in parte) maggiormente efficaci nelle abilità sociali proprie del loro vissuto.

Come abbiamo detto più volte il teatro mostra la vita, l’esistenza colma di fragilità e incongruenze. Ma il suo compito non si esaurisce qui. L’arte scenica fornisce anche un’utilissima “cassetta degli attrezzi” per poter ricominciare, migliorare, perfezionare la qualità della vita di ciascuno.  

 

Cecilia Moreschi

14 novembre 2022

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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