Venerdì, 13 Dicembre 2024
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Il nome proprio. Ma di chi?

Recensione dello spettacolo Il nome proprio in scena al Teatro Agorà dal 7 all’8 novembre 2017

 

Da Caino e Abele a Romolo e Remo si sa che “fraterno” è una parola dal significato ambiguo: ben lo sanno Sandro (Jacopo Neri) e Antonio (Giacomo De Rose), gemelli mossi da un’antipatia reciproca che ha dell’atavico. Ben lo sa l’imperioso padre (Paolo Perinelli), imprenditore di successo per cui le aspirazioni dei figli han sempre rappresentato una delusione.

Uno vuol fare il notaio, ma ha sposato la figlia di un editore (Ada Roncone), l’altro vuol fare l’editore ma ha sposato la figlia di un notaio (Mariachiara Di Mitri): una ulteriore prova della loro mancanza assoluta di senso pratico, a dispetto del consiglio paterno di non badare ai sentimenti ma di pensare alla carriera. Frustrati dai rispettivi fallimenti e reciprocamente carichi di astio, i due – accompagnati dalle rispettive consorti – si recano insieme nella casa dell’anziano genitore per chiedergli un ingente prestito così da avviare più facilmente ognuno la propria attività. Il vecchio, apparentemente conciliante, si dice disposto a finanziare la realizzazione dei loro sogni: in realtà li sottopone a un perverso gioco degli equivoci che ha come obiettivo rimediare agli errori commessi, grazie anche all’ambigua connivenza delle nuore.

Il nome proprio, commedia dagli intenti inquietanti firmata dal giovanissimo Jacopo Neri, nonostante qualche ingenuità e una trama non proprio memorabile ha il suo principale pregio nelle ottime prove degli attori: lo stesso Neri, in coppia con Giacomo De Rose, dà vita a un duo di personaggi molto divertenti nel tentativo di distinguersi, superarsi e, infine, scambiarsi. Ada Roncone e Mariachiara Di Mitri incarnano in maniera deliziosa quella quiete superficiale di cui si ammantano certe mogli che tramano nell’ombra per ottenere dai propri mariti esattamente ciò che vogliono, senza che questi se ne accorgano nemmeno. Infine Paolo Perinelli è un perfetto deus ex machina tanto spietato quanto spassoso.

Il risultato è un ritratto di famiglia disfunzionale dove l’affetto disturbato dei singoli si esprime attraverso manipolazioni dichiarate, raggiri melliflui e una violenza sotterranea sempre pronta a esplodere. Senza, però, far mai smettere di sorridere.

 

Cristian Pandolfino

15 novembre 2017

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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