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Bukurosh mio nipote: satira senza sale

Recensione dello spettacolo “Bukurosh mio nipote, ovvero il ritorno dei suoceri albanesi”, in scena al Teatro Sala Umberto dal 19 Dicembre 2017 al 14 Gennaio 2018

 

La commedia d’intrattenimento assume a Roma un gusto particolare, grazie alla dissacrante irriverenza tipica dell’umorismo capitolino, che consente di inserire, fra l’intreccio e le gag, gli elementi di una blanda satira sociale e di costume.

Gianni Clementi ne è autore prolifico ed apprezzato fra i cultori del genere. Come in “Ben Hur”, il suo testo di maggior successo (che ha meritato una trasposizione cinematografica di discreta fattura), Clementi si mostra sensibile al tema dell’integrazione, evidenziando il contributo positivo, che le nuove culture possano apportare alla nostra società stanca ed inflaccidita. “Bukurosh mio nipote”, sequel (pur con svolgimento autonomo) di “I suoceri albanesi”, testo che ha riscosso grande successo di pubblico in tutta Italia con oltre 200 repliche, continua sulla stessa falsariga.

Lucio (Francesco Pannofino), politicante progressista e la moglie Ginevra (Emanuela Rossi) devono affrontare il trauma della prossima gravidanza della figlia adolescente (Elisabetta Clementi), messa incinta da un manovale albanese (Filippo Laganà). Lo scontro fra le diverse culture e specificatamente lo stridente contrasto fra una società, la nostra, che si alimenta di valori vacui e privi di sostanza (come la cucina senza cibo del ristorante della protagonista) ed una basata su un terreno pragmatismo, che non discute ciò che è solido (la tradizione) e naturale (i bisogni primari) è il sale che da vis comica alla pièce, consentendo di costruire gag a ripetizione, che intrattengono piacevolmente.

Al testo di Clementi manca però lo spessore minimo, che pur si auspicherebbe anche in un’opera di pura evasione. Lo sviluppo narrativo, ben articolato in “Ben Hur”, è qui completamente assente. Ad esso nessun contributo danno i personaggi di contorno, un maturo gay (Andrea Lolli) ed una focosa amica (Silvia Brogi), utili solo a variegare le situazioni comiche. Nessuna satira agra, solo umorismo edulcorato. L’ilarità viene cercata tramite il facile espediente dell’accento straniero (in questo aiuta la performance da mattatore di Maurizio Pepe). Le battute attingono a temi di facile accesso, come gli appetiti sessuali.

La regia di Claudio Boccaccini si asserve al dettato essenziale, costruendo efficacemente, con l’aiuto della scenografia, le entrate e le uscite di scena funzionali al risultato minimo della risata. Né i protagonisti fanno di più. Sebbene il mestiere di un professionista come Francesco Pannofino sia indiscutibile, alla sua recitazione manca quella arguzia corrosiva, insita nel DNA romanesco, che fa sgorgare con spontaneità battute intrise di una satira tagliente e corrosiva.

Insomma, la ricetta di Clementi è povera di sale e nessuno ne aggiunge nel piatto. Tutto si riduce a 2 ore di leggero divertimento. Ne resta svilito l’onesto messaggio che l’autore voleva comunque lanciare. Il pubblico (gremita la sala ieri pomeriggio alla Sala Umberto) ha gradito e va bene così. Ma se si voleva dire qualcosa, si dovrà aspettare un’altra occasione.

 

Valter Chiappa

4 gennaio 2018

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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