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Il Diavolo e l’Uomo. Certamente

Recensione dello spettacolo Il diavolo, certamente in scena al Teatro Vittoria dall’11 al 28 gennaio 2018

 

Quattro viaggiatori sono appena saliti su un treno che da Palermo li condurrà a Torino. Durante il viaggio, per ingannare il tempo, raccontano episodi con strane e machiavelliche coincidenze che inducono a pensare di essere frutto di un diabolico disegno. C’è chi crede a queste “coincidenze”, chi invece no.
Su una tratta non ben definita, ad un certo punto, salgono anche una signora di mezza età col nipote.

Affascinati anche loro dai morbosi racconti degli altri quattro passeggeri, s’accodano anch’essi a narrare di fatti e dicerie di cui sono a conoscenza.
S’alternano così momenti di ilarità a momenti da brivido perché anche il riso, in certe occasioni, può assumere sfaccettature inquietanti simile alla maschera di un clown. A pensarci bene sono le cose, le persone, le situazioni più banali alle quali all’inizio nessuno fa caso dalle quali nascono le insidie più malvagie.
Pensiamo a un amico, il soggetto più debole, indifeso. E pensiamo a un bambino. Le loro menti sono talmente vulnerabili che basta poco che il diavolo, certamente, ci metta lo zampino e lo trasformi in un essere mostruoso. Come? Per mezzo del caso, delle coincidenze, del destino. Perché l’animalità è all’origine dell’uomo e basta “na picca” per svegliarla.
In questo gioco, il “maestro” più bravo non può essere che il diavolo.
Un omicidio non ben studiato, una segretaria vendicativa che si sente messa da parte e che architetta un piano che le si rivolta contro, due amanti ignari che a breve diventeranno vittime dei propri consorti, un ricatto ad una ricca signora che sembra risolversi nel migliore dei modi con un finale imprevedibile e un tradimento coniugale finito sulla prima pagina dei giornali. Tutte circostanze che portano a pensare alla sfiga anziché ad un quadro perverso e poco comprensibile agli esseri comuni e mortali.
Non si trova parcheggio? È sfiga. Il nuovo coinquilino di casa o il collega d’ufficio è un bastardo? Qua butta male. Il migliore (o la migliore) amico/a ruba la propria fidanzata/o? È una merda. Si sono perse tracce e notizie di una persona da tempo e poi ricompare? Ma che coincidenza…
In questo testo di Andrea Camilleri, riadattato da Claudio Pallottini, si mettono in scena insomma tutti quei vizi, quelle bassezze, gli slanci e i desideri di una umanità malata e distorta. Camilleri lo fa creando uno splendido affresco sociale, un perfetto marchingegno ad orologeria pronto ad esplodere, Pallottini in gran parte resta fedele al tema dei racconti, eccezion fatta per alcune aggiunte qua e là che servono, più che altro, per dare un registro più comico agli avvenimenti. Questi ritocchi sviliscono il capolavoro del Maestro siciliano più amato d’Italia; nell’opera di Camilleri si avverte tra le pagine un senso di inquietudine come di cupi presagi che preavvertono del pericolo di quanto sta per accadere, di contro, nell’adattamento teatrale di Claudio Pallottini il senso d’angoscia – per la maggior parte del tempo – non si avverte proprio. I personaggi restano stilizzati come tante marionette e sembrano rispondere ad un canone preciso che è quello della commedia e del grottesco.
Questa scelta stilistica di copione ha sì l’effetto sperato di far divertire lo spettatore, ma ha anche l’enorme svantaggio di non riuscire a far cogliere l’essenza del testo in chi assiste alle scene. Il risultato è quello di sedersi a teatro e perdersi nei commenti elargiti a gran voce dai vicini di poltrona, dalle risate gratuite e fuori luogo che innescano conati di tosse continui, da gruppi di signori e signore anziane che discutono animatamente tanto da sovrastare l’audio (già basso) degli attori in palcoscenico e rendere così vano il godimento dello spettacolo da parte degli altri fruitori del pubblico in sala, da smartphone che si illuminano al buio distraendo l’utente a fianco.
Solo sul finire delle scene la rappresentazione s’avvicina a quel che è l’intento del Maestro Camilleri: allora, e solo allora, il riso scompare dal palco e tra il pubblico (che nel frattempo, anzi, pare essersi assopito) per svelare il vero volto del diavolo, colui che, all’origine del mondo, era prima un serafino salvo poi precipitare agli inferi per la sua natura malvagia e infetta.
Un essere imperfetto, dunque? Beh, certamente come e anche l’uomo. Come solo l’uomo sa essere malato.

 

Costanza Carla Iannacone
12 gennaio 2018

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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