Venerdì, 26 Aprile 2024
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La grigia sfumatura di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

Recensione de Il grigio in scena al teatro Belli dal 22 al 25 gennaio 2015

Buio. Il suono della pioggia di sottofondo

No, non è Paul Clifford, anche se il celebre inizio "era una notte buia e tempestosa" calzerebbe a pennello. Ci troviamo al teatro Belli , un piccolo teatro a Trastevere, in cui si respira un'atmosfera molto intima. La sala quasi piena, tutti in attesa che inizi "Il Grigio", di Giorgio Gaber, interpretato da Salvatore Della Villa.

E dunque si abbassano le luci. Tuoni e scroscio d'acqua. Si ode una voce riverberata provenire dal palco. Un uomo, in penombra, seduto su una poltrona,  inizia il suo monologo con un'invocazione: "Grigio".

Un monologo carico di mistero, in quanto al pubblico non è ancora chiaro a chi (o a cosa) si stia riferendo l'uomo, che inizialmente si rivolge direttamente a questo "grigio", e poco dopo prosegue parlando a sé stesso, ricordando il suo primo incontro con quella che inizialmente risulta essere una presenza spettrale che invade la sua casa. Il protagonista inizia a raccontare del suo primo ingresso nella  sua nuova dimora, luogo che dovrebbe rappresentare la pace e la serenità ritrovate e che poi si rivelerà teatro dello spettrale incontro.

Col riaccendersi delle luci, viene spontaneo notare il minimalismo della scena: una poltrona a sinistra, una sedia a destra, nulla sullo sfondo, come da copione. Sul palco sempre e solo il protagonista, il quale presenterà al pubblico svariati personaggi che non si manifesteranno mai fisicamente: Gabriella, ventottenne audace e istintiva con la quale egli ha una relazione, sposata da sette anni senza aver mai abbandonato completamente il marito; il Colonnello Mazzolini, uomo tutto d'un pezzo, suo vicino di casa; il figlio, un ragazzo di diciotto anni, timido e introverso; Renzo Maria De Ambris, impresario teatrale imponente per aspetto e temperamento; la moglie, una bella signora di trentasette anni, ormai separata da tempo dal protagonista. Il racconto si divide in due atti, il primo a sua volta suddiviso in sette quadri, il secondo in cinque. Durante il IV quadro del primo atto si scopre che l'inquietante presenza che lo tormenta è un realtà un topo.

Il suo acerrimo nemico è dunque un roditore, molto furbo, che gli darà il tormento. Diventerà per lui una vera e propria ossessione , il centro della sua vita: la caccia al topo si trasforma in quotidianità, riempirà i suoi giorni, le sue notti, i suoi pensieri. Improvvisamente, lo scopo della caccia (vale a dire fare fuori il grigio) passerà in secondo piano, sostituito dal mero atto di cacciare, di tenersi occupato escogitando piani e tendendo tranelli per battere il suo avversario. La nevrosi di un uomo  di mezza età che si manifesta attraverso la ricerca di un obbiettivo al quale dedicarsi, anche uno qualunque, come la caccia al topo. Non sappiamo se Della Villa lo sia anche nella vita reale, ma senza dubbio  recitare la parte del nevrotico gli riesce alla perfezione. Uno spettacolo che vale la pena di vedere, ricco di spunti attualissimi che si articolano attraverso questo lungo monologo, che si alterna in momenti di narrazione e momenti di riflessione a voce alta, trattando temi quali l’amore, il fallimento, la società. Il tutto ovviamente sostenuto dall’efficacissimo tappeto sonoro, che dona ulteriore intensità alle vicende.

Un bellissimo omaggio a Gaber, in onore di quello che sarebbe stato il suo settantaseiesimo compleanno.

Valentina Gargano

26 gennaio 2015

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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