Giovedì, 16 Maggio 2024
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Manuale di volo per uomo al Teatro Sala Umberto: la poesia della semplicità dispiegherà le nostre ali

Recensione dello spettacolo Manuale di volo per uomo. Con Simone Cristicchi. Scritto da Simone Cristicchi e Gabriele Ortenzi con la collaborazione di Nicola Brunialti. Regia di Antonio Calenda. In scena al Teatro Sala Umberto dal 9 Aprile 2019 al 20 Aprile 2019

 

Per volare bisogna saper guardare le stelle, aspettando dentro quel cielo misterioso il passaggio di persone care volate via troppo presto, bisogna saper essere visionari nel desiderio di dipingere con i nostri colori un mondo dalle tinte troppo asettiche e sobrie per essere attraente. Per poter volare bisogna avere il dono della pazzia perchè solo così possiamo cogliere l’ebrezza immediata della planata: che emozione poter guardare il mondo dal cielo e salutare dall’alto quelle persone che ci hanno insegnato l’arte del volo e che poi non abbiamo più visto. Incerta e goffa sarà la rincorsa e pesante risulterà il corpo per colui incapace o poco abituato a stupirsi delle piccole cose, inaridito da una vita preconfezionata che appiattisce l’emozione.

Raffaello, professione aiutante ferramenta, fa parte dei “da soli” quei tipi fatti così, solitari, invisibili, che nessuno chiama più per nome: per il mondo è solo uno un po’ strano che può al massimo migliorare ma non guarire. Quanta superficialità e quanta poca propensione a capire il vissuto altrui, nascoste dietro giudizi e comportamenti affrettati, attuati forse anche per difesa, per non sorprenderci fragili, per non sentire troppe risonanze in noi. Che ricchezza e che emozione il volo di Raffaello, decisamente matto perchè capace di aggiungere poesia nel suo personalissimo mondo, dove è ancora lecito lasciarsi sorprendere e trasportare dall’odore delle cartolerie, dal profumo dei giornali e delle vernici, dal percorso delle formiche che trasportano le loro provviste. Raffaello agli occhi della gente si paragona ad un “diplomatico”, una pastarella che non manca mai nella composizione del vassoio del pranzo domenicale, ma che nessuno poi vuole mangiare davvero e, rimasto anch’esso solo, viene dimenticato per giorni interi in fondo al frigorifero. Ma anche i “matti”hanno bisogno, come tutti, di concludere la loro storia, di dare un senso alle loro infinite emozioni e chiudere il proprio cerchio rimasto aperto da tante domande senza risposta. E quando il mondo non comprende il desiderio di Raffaello, egli si crea una realtà propria in cui cercare le risposte che non ha trovato, inventare i dialoghi che non ha mai avuto, le carezze mai ricevute e dove ritrovare le persone a lui care. Che poesia di altri mondi rivedere zia Margherita che gli insegnò l’essenza della parola amore, a - mors, con quell’Alfa privativo che nega la mors ( morte) e rende infiniti i sentimenti, come quelli provati da Raffaello per la sua ragazza, Yelena, volata via troppo presto! 

Sembra difficile parlare di interpretazione di fronte al personaggio proposto da Cristicchi,  estremamente spontaneo, puro e per questo disarmante, solo apparentemente distante, ma al quale vorremmo assomigliare perchè contiene e richiama aspetti di noi.  Esattamente come un fiore di strada che lotta ogni giorno per sopravvivere e più viene calpestato e più si rinforza, Raffaello trova e crea nuovi mondi espressivi dove l’allucinazione diviene creatività e le umiliazioni di una vita, forza propulsiva. L’indiscutibile spessore della rappresentazione nasce dalla sensibilità di Cristicchi, da sempre impegnato nel sociale, nell’aver reso protagonista assoluto e unico, un da solo, troppo spesso depositato sullo sfondo, e di aver trasformato in autentica poesia quei pensieri strani e strampalati di un tipo fatto a modo suo.

Non è un caso che l’accento drammaturgico venga posto sul vissuto di Raffaello, ed il suo pensare ad alta voce evidenzia la profondità del proprio sentire e la sua richiesta di relazione. Per tale motivo egli dialoga con la madre, da cui è stato abbandonato quarantanni fa e affidato in un Istituto di suore: egli si sente ancora figlio e come tutti i figli vuole raccontare alla propria madre tante cose di sè, alla ricerca di quella approvazione mai ricevuta, e più le racconta più ne vorrebbe raccontare. Ma Raffaello è stato anche tradito dalla madre e, prima di perdonarla e comprenderla, la rimprovera e l’accusa fino all’insulto, perchè il perdono fosse pieno e scevro da non - detti. La scelta registica di Antonio Calenda, con tocchi delicati, sembra essersi orientata a creare attorno all’attore quell’adeguata atmosfera emotiva che assecondasse la spontaneità e la tensione della drammaturgia, arricchendola con eleganza di elementi  allegorici e poetici. Il monologo di Cristicchi (scritto in collaborazione con Gabriele Ortenzi) si svolge all’interno di una stanza di un reparto psichiatrico completamente asettico anche nel colore: le pareti, gli oggetti, il comodino e il letto e persino l’aria sono grigio chiaro, sottolineando l’anaffettività dell’esterno contrapposta alla ricchezza dei vissuti interni. Questi sono metaforicamente rappresentati dalla calda luce del comodino e dalla tuta da lavoro di Raffaello, inizialmente bianca anch’essa ma, progressivamente sempre più colorata di vernice. Il progetto luci di Veronica Penzo intercetta con suggestivi chiaro scuri l’intimità e la drammaticità delle emozioni di Raffaello, esaltate dalla voce fuori campo di Maia Monzani, quasi una verbalizzazione ad alta voce del mondo interiore del protagonista. 

Nell’idea di Simone Cristicchi la parola volo diviene metafora di apertura verso il mondo e verso noi stessi, liberi da giudizi e in grado di perdonarci. L’umiltà di ricominciare ad assaporare il gusto delle persone e portarci dietro quella parte di loro nutriente per noi renderà il nostro volo meno solitario e più corale.

 

Simone Marcari

20 aprile 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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