Giovedì, 25 Aprile 2024
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Le regole per vivere all’Ambra Jovinelli: la fatica di essere se stessi

Recensione dello spettacolo Le regole per vivere. Di Sam Holcroft con Elisa Di Eusanio, Alessia Giuliani, Alberto Giusta, Davide Lorino, Orietta Notari, Aldo Ottobrino e con Iulia Bonagura. Regia di Antonio Zavatteri. In scena al teatro Ambra Jovinelli dal 8 al 19 maggio 2019

Posta in quella terra di mezzo che nasconde e accoglie la vera essenza di noi stessi separandola dalla finzione, la commedia esplora i pensieri, emozioni ed intenzioni mai trasformati in azione, di un gruppo famigliare imperniato attorno a due fratelli, Matteo ed Adamo che trascorrono la vigilia di Natale in casa dei loro genitori, insieme alle rispettive compagne, Carola e Giovanna, osservate speciali di Elide (Orietta Notari) la madre dei due fratelli. Il padre, Franco (Alberto Giusta), ricoverato per un problema di salute, verrà comunque dimesso entro la giornata.

Mentre Giovanna (Alessia Giuliani) sembra muoversi con più disinvoltura all’interno di quell’ambiente decisamente formale e rigido, Carola mostra, sin dalle prime battute, un marcato impaccio nel tentativo di rendersi visibile e apprezzata dagli ospiti, scadendo spesso nel ridicolo e suscitando così, più compassione che ammirazione. L’anziana donna ha infatti regole molto rigide che scandiscono anche le normali azioni quotidiane, e spesso trovano impreparata Carola ( Elisa Di Eusanio) nei suoi tentativi di rendersi utile. Dietro sorrisi forzati e frasi formali usate per riempire imbarazzanti silenzi, si avverte la crescente sensazione di un precario equilibrio da parte di entrambe le coppie circa la tenuta della relazione. Le stesse, attraverso espressioni ed allusioni, sembrano infatti tradire notevoli difficoltà interazionali solo momentaneamente “dimenticate” in virtù delle feste natalizie. Giovanna ed Adamo, per sempio, sono genitori di Emma (Iulia Bonagura), una giovanissima ragazza problematica che sembra aver inevitabilmente assorbito i disagi della coppia a tal punto da perdere fiducia in se stessa, perchè orfana della stabilità del sostegno genitoriale percepito. Non è un caso infatti che i rispettivi membri di ciascuna coppia trovino comprensione e attenzione nel partner dell’altra, a tal punto da tessere interazioni di immediata intesa mai riscontrata nel loro rapporto d’origine. Il tema dominante sembra essere un’insoddisfazione di fondo goffamente e provvisoriamente mascherata, da parte di tutti i commensali, nei confronti della vita, e  delle aspettative disilluse. Ognuno dei presenti ha qualcosa da rimproverare all’altro, qualcosa da dire senza potersi esprimere e si cela dietro una maschera che risulta ormai fessurata e non più in grado, quindi, di soffocare parole, di artefare sorrisi, di addolcire pensieri.

I presenti vorrebbero esprimersi, sfogarsi, differenziarsi, ma vengono compressi, inchiodati dalla regola sociale rappresentata da Franco che implicitamente, con la sua malattia, li “obbliga” a proteggerlo ed a fingere un’armonia inesistente. La drammaturgia di Sam Holcroft, elegante e profonda ma al contempo dotata di comicità cristallina, sembra voler contattare il vissuto sottostante l’involucro sociale di ciascuno, creando una frizzante contrapposizione tra l’essere e il dover essere, spesso convogliata in frustrazione che condiziona le azioni, trattenendone il potenziale. Il regista Antonio Zavatteri caratterizza i personaggi in modo credibile con tratti di personalità differenti che, grazie ad una vivace dinamica di incontri e contrapposizioni, ben si inseriscono nella coralità del sistema famiglia. A dare spessore alla rappresentazione e a trasformare in reale le idee registiche, una prova di alto livello di tutto il cast attoriale. Questo, nonostante la prevedibilità di alcune reazioni dei loro personaggi, ha saputo coniugare corpo e parola in modo armonioso e spontaneo, rendendo vivaci anche quei momenti in cui la drammaturgia è sembrata troppo attorcigliata attorno al proprio asse, depauperando la pièce di energia.

Da un display posto in alto sulla scena, inoltre, il pubblico viene a più riprese informato sul significato di determinati comportamenti, quasi stereotipati, dei personaggi. Sappiamo così che Matteo ( Davide Lorino ) per mentire deve sedersi e mangiare, che Giovanna per contraddire deve bere, che Adamo ( Aldo Ottobrino ) per esprimere la sua opinione deve argomentare ironicamente, usando una voce in falsetto e appellando con nomignoli il suo interlocutore; Elide per contenere la sua rabbia deve pulire casa e Carola deve alzarsi in piedi e dimenarsi per parlare. La parola qui è usata con funzioni differenti, alcuni personaggi la utilizzano per “dire”, altri per non dire o creare distanza. Solo Franco, nonostante la compromissione dell’eloquio causata dall’ ictus, esprime in modo dissacratorio ed immediato il suo reale pensiero: egli nonostante sia colui che parli di meno, sembra essere quello più “libero” perchè assolutamente disinteressato dell’apparenza o del come possono arrivare le sue parole. Differentemente dagli altri personaggi, che per esprimere se stessi hanno bisogno di compiere un’azione preliminare, quasi a sottolineare la difficoltà di spontaneità, egli è l’unico ad essere diretto. Persino Adamo che si serve della parola per rinfacciare al padre i suoi errori di genitore e di uomo, ha bisogno di alterare la voce quasi a voler prendere le distanze da se stesso. 

Ancor più delle parole, sono le micro azioni portatrici di simbologie a rivelarci intese e sottotracce che il verbo parlato non può esprimere. Matteo e Giovanna parlano di nascosto ai rispettivi partner concedendosi ciò che a questi non sarebbe gradito: lui mangia i biscotti preparati da Giovanna stessa gradendoli più di quelli di Carola, e di fatto preferendo Giovanna, mentre questa si concede di bere del vino, disubbidiendo al divieto di Adamo, ma affidandosi alla complicità di Matteo.

Pubblico decisamente divertito e appagato, per una rappresentazione molto ben curata.

 

Simone Marcari

17 maggio 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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