Recensione di Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti in scena alla Scala di Milano dal 13 aprile al 5 maggio 2023
‘Lucia di Lammermoor’ avrebbe dovuto inaugurare la Scala nel 2020, l’anno del Covid. Chiusure ed emergenza portarono alla cancellazione dello spettacolo, che viene ripreso oggi, con i protagonisti originariamente previsti: Lisette Oropesa e Juan Diego Florez. Si tratta di un allestimento che ha attirato l’attenzione di appassionati e studiosi, vuoi per il prestigioso cast, vuoi per l’interessante scelta di proporre la partitura nella sua interezza secondo l’edizione critica di Gabriele Dotto e Roger Parker, vuoi per il ritorno alla Scala di un regista interessante come Kokkos . Peraltro la prima dello spettacolo è stata trasmessa da Rai 5 in leggera differita e questo ha reso ancora più interessante la visione dal vivo, decisamente differente da quanto visto ed ascoltato in televisione.
Siamo davanti, finalmente, ad uno spettacolo nato per il teatro. Dopo tanti lavori magnificamente telegenici, più riusciti in televisione che in teatro, primo fra tutti il ‘Macbeth’ che inaugurò il massimo teatro italiano due stagioni fa, questa ‘Lucia’ vive il suo massimo splendore nella sala del Piermarini, dove le sculture che popolano la scena non sono prevaricanti, la grande foresta suscita suggestioni intense, il gioco dei volumi appare equilibrato e le masse si muovono con misura e raffinatezza. Dove le voci corrono, incuranti di microfoni e post produzioni.
È uno spettacolo che va goduto nel suo insieme, non soffermandosi sulla parte. ‘Lucia’ è vicenda collettiva, rito sacrificatorio. Come tale va visto e così lo propone Yanis Kokkos, che sposta la vicenda in una dimensione metafisica, fuori dal tempo ma nella storia, senza forzare la mano, senza eccedere, lavorando di pennellate e sfumature, utilizzando soprattutto i costumi per suggerire lo spostamento temporale.
Attentissimo lo studio sui personaggi che escono nella loro intensa componente umana, si fanno persone credibili, alieni da stereotipi e da sovrastrutture. Essenziali ed autentici, davanti ai nostri occhi prendono forma una Lucia realmente donna, capace di difendere i propri diritti, di lottare per le sue ragioni, costretta ad accettare un matrimonio imposto, ma orgogliosamente determinata a non vendere i suoi sentimenti; un Edgardo dilaniato dagli eventi, che cerca la morte come dono, in una vita che rapidamente si desertifica ai suoi occhi; un Raimondo dolente, che assiste con disagio al conflitto fra convenzioni e sentimenti, fra convenienza e partecipazione emotiva; un Enrico cinico e spietato, che sembra prendere coscienza della reale portata degli eventi solo quando è troppo tardi, che sostituisce l’ostinazione alla pietas; persino Normanno riesce ad avere uno spessore insolito, ad uscire dallo stereotipo e diventare pedina credibile della vicenda.
Piacevoli gli interventi dei filmati di Eric Duranteau, suggestivi e non troppo invasivi, a sottolineare solo l’eccezionalità di alcuni momenti del dramma ed a sottolineare quali siano le priorità visive dello spettacolo teatrale.
Riccardo Chailly ha scelto di proporre, come si diceva, la versione originale del lavoro, che lo stesso Donizetti rielaborò successivamente per adattarlo a teatri e cantanti e che la tradizione ha poi ampiamente farcito di variazioni, tagli, manomissioni.
Quella che è emersa è una narrazione più drammatica del solito, che non offra il fianco a virtuosismi autoreferenziali, con un ritmo serrato, coinvolgente, intenso. Abbiamo potuto così ascoltare l’intervento dell’armonica a bicchieri, che già Roberto Abbado aveva riproposto alla Scala nel 2006, per accompagnare, al posto del flauto imposto dalla consuetudine, la pazzia di Lucia, ampliando il senso di straniamento della protagonista. La riapertura di certi tagli, come quelli della scena iniziale del secondo atto, ha dato il giusto peso alla figura di Raimondo, che negli anni era diventato sempre più un comprimario.
La narrazione drammatica è stata declinata in una tavolozza mirabolante di sfumature, grazie ad una orchestra infallibile che ha saputo rispondere alle richieste del direttore: si va dai corni, che nei preludi paiono presagire sempre con maggior consapevolezza la conclusione della storia, alla purezza astrale dell’arpa, che si fa proiezione dell’animo della protagonista; dalla leggerezza con cui si accompagna l’incontro fra Lucia ed Edgardo al concitato clamore, governato e ben soppesato, della firma del contratto matrimoniale, fino allo strazio che dilania lo sposo mancato, il cui dolore pare accarezzato dagli strumenti che paiono cercare invano di placare la sua sofferenza, condividendola.
Il coro, diretto da Alberto Malazzi, risponde magnificamente alle aspettative, con un canto forse alle volte fin troppo esuberante nei pezzi d’insieme, ma dal suono sontuoso e dalle mirabolanti sfumature.
Passiamo quindi alle voci.
Funzionale ed in crescendo la prova di Giorgio Misseri, Normanno, decisamente credibile anche scenicamente.
Valentina Pluzhnikova, allieva dell’Accademia del Teatro alla Scala, è una Alisa dalla voce scura, potente e sicura.
Leonardo Cortellazzi è Arturo. Lo sposo sfortunato è vocalmente appropriato, con il la acuto centrato con sicurezza, ma non carismatico nella recitazione.
Buona la prestazione di Boris Pinkhasovich, dalla voce potente, ma non particolarmente espressiva e scenicamente appropriato. Il suo è un Enrico monolitico, schiacciato dalle scelte a suo parere obbligate, che pare alzare un muro ai sentimenti fraterni.
Michele Pertusi è un basso dalla lunga esperienza.
Gli anni non hanno ferito lo strumento vocale che brilla per omogeneità, sfumature, sicurezza negli acuti.
Il suo Raimondo, costruito con bravura, sia vocalmente che scenicamente, conquista un ruolo autorevole nella narrazione, grazie alla maestria dal cantante ed all’eleganza dell’interprete.
Su Diego Florez i parere si sono divisi, perché alcuni ritengono che la sua voce non abbia il peso richiesto dalla partitura.
Non si sono dubbi che il tenore sia più a suo agio nel repertorio rossiniano, nel quale rimane senza rivali, , così come è innegabile che il ruolo di Edgardo sia fra i più ingrati, perché vocalmente complesso e comunque di fatto subalterno di fatto alla protagonista.
Possiamo anche riconoscere che nei grandi pezzi d’insieme la sua voce non emergeva, forse anche per l’oceanica prova del coro.
Nelle arie solistiche, però, la voce correva sicura, in tutto il teatro, inerpicandosi senza alcuna difficoltà nelle note più alte, sicura negli acuti, raffinatissima nei filati, intensa nell’espressione .
Il personaggio che ne è esce è un uomo prima autenticamente innamorato, capace di sfumature intense e mai scontate, poi devastato dalla rabbia, esplosiva ed irrefrenabile, infine dilaniato dal dolore.
Commovente ed intenso, consegna una esecuzione memorabile, che dimostra ancora una volta la grandezza artistica di uno dei più raffinati tenori del nostro tempo.
Lisette Oropesa è una Lucia interessantissima. Non cade nella trappola del virtuosismo fine a se’ stesso, anche grazie alla rinuncia ad abbellimenti e da capo voluti dalla tradizione ma non scritti nella partitura originale, costruendo una figura dalla fortissima personalità, vocale e scenica.
Non che manchino trilli, smorzature, scale, acuti solidissimi e sovracuti di abbagliante bellezza, ma ogni nota è messa al servizio del testo, della costruzione del personaggio, che esce di volta in volta: innamorato, arrabbiato, offeso, rassegnato, allucinato, ma sempre coinvolgente e convincente.
Ogni pagina ha il suo colore, anzi i suoi colori; ogni frase sembra scavata, cucita addosso alla protagonista, che commuove in ‘Soffriva nel pianto’ emoziona nel duetto del secondo atto, nel quale non si può rimanere colpiti dall’affiatamento delle due voci, devasta nella magnifica scena della pazzia, incoronata da un lunghissimo applauso dell’intero teatro.
Alla fine acclamazioni meritatissime per tutti, con particolare entusiasmo per il coro, Pertusi, Florez e Chailly ed un trionfo mirabolante per la Oropesa,
Gianluca Macovez
4 maggio 2023
informazioni
LUCIA DI LAMMERMOOR
Musica di GAETANO DONIZETTI
Dramma tragico in tre atti
Libretto di SALVATORE CAMMARANO
Direttore RICCARDO CHAILLY
Regia, scene e costumi YANNIS KOKKOS
Luci VINICIO CHELI
Video ERIC DURANTEAU
Collaboratrice del regista e drammaturga ANNE BLANCARD
Personaggi e interpreti
Enrico
BORIS PINKHASOVICH
Lucia
LISETTE OROPESA
Edgardo
Juan DIEGO FLOREZ
Arturo
LEONARDO CORTELLAZZI
Raimondo
MICHELE PERTUSI
Alisa
VALENTINA PLUZHNIKOVA
Normanno GIORGIO MISSERI
NUOVA PRODUZIONE DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro ALBERTO MALAZZI
ORCHESTRA, CORO DEL TEATRO ALLA SCALA