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Gloria Annovazzi: quella voce umana che non c’è

Gloria Annovazzi ci parla di la “voce umana” in scena al teatro Salauno l’8 - 9 - 10 maggio 2015

 

Tra qualche giorno andrai in scena al teatro Salauno con la “voce umana”, ci vuoi parlare di questo spettacolo?

Per prima cosa ci tengo a precisare che lo spettacolo è già stato rappresentato il 30 novembre 2014 e visto il successo che abbiamo avuto in quell’occasione abbiamo deciso di riproporlo in tre serate. E’ stato molto difficile metterlo in scena per via della concessione dei diritti di Jean Cocteau dalla Francia, per questo motivo per noi è stato ancor più gratificante quando, quest’inverno, il pubblico ha apprezzato la messa in scena con una standing ovation. Una grande soddisfazione che ci ha fatto capire che dovevamo riproporlo ancora, visto che fra l’altro Cocteau non veniva rappresentato nel nostro paese da molto tempo.

 

Interpreti una figura molto particolare, quanto la senti tua?

La regista, Viviana Di Bert, ha realizzato un lavoro molto interessante sul personaggio, a qualche spettatore potrebbe sfuggire ma ad un occhio evidente potrà esser chiaro come questa donna abbia dei tratti fortemente transessuali. Si tratta di una transessualità mascherata, specchio del malessere della società, che si rivela nel corso della telefonata, parole dall’altro capo del telefono, che non non udiamo, ma che fanno tornare tutti nell’irrealtà di un’anima assediata da un disagio umano molto alto che viene così esorcizzato. Quella che non ascoltiamo è una voce umana che arriva al cuore. Il personaggio che interpreto ha comunque subito aderito alla mia persona ed ho cercato di renderlo vivo attraverso la conflittualità della voce umana.

 

Dicci qualcosa in più su questa voce umana…

La telefonata della voce umana è la speranza di una donna che vorrebbe esser degna di vivere, che cerca questa dignità in una risposta veritiera. Si tratta di una verità che è ricerca, tentativo di trovare diritto di vivere. Dietro a tutte le bugie, le cose non dette, c’è questa ricerca e la figura del transessuale è quella che più riesce a coprire questo aspetto.

 

Nello spettacolo avrà un ruolo fondamentale il telefono, quali sono le tue riflessioni in tal senso?

Penso che abbia un duplice ruolo. Il telefono impedisce una relazione diretta, infatti se uno vuole rompere una relazione oggi può mandare un messaggino, mentre  una volta fra le persone vi era più interrelazione diretta. Adesso si ha una mediazione più subdola. Dall’altra parte però esso si configura spesso, come avviene nello spettacolo, come medium attraverso il quale corre la voce dell’amore e dell’amante, ed ecco che allora può essere anche una boccata d’ossigeno, un tubo di scafandro che da aria ai polmoni. 

 

Nella vita, oltre ad essere attrice, sei anche medico, come vivi queste duplice realtà nella tua quotidianità e come ciò influenza le tue azioni?

Il lavoro di medico ti porta ad una maggiore sensibilità. Forse i medici di oggi non lo sono più così tanto, ma nel teatro avere la possibilità di fare un’analisi sul personaggio permette alla persona di affrontare anche la vita in maniera differente. Ecco che questo si può ripercuotere positivamente anche nella professione che uno svolge, come nel mio caso quella di medico. Ad esempio ho capito sempre di più in questi anni, quanto sia fondamentale parlare con il paziente, proprio perché quest’ultimo ha bisogno per prima cosa di esser compreso ed ascoltato. In poche parole, il teatro aiuta a capire l’altro.

 

Ci dai buon motivo per venire a vedere la “voce umana”?

Nel mettere in scena questo spettacolo abbiamo compiuto un vero e proprio atto di coraggio si tratta, come detto in precedenza, di uno spettacolo che può mettere in luce i malesseri della società che viviamo e aiutarci a ragionarci sopra.

 

 

Enrico Ferdinandi

2 maggio 2015

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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