Venerdì, 01 Novembre 2024
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Gabriele Pignotta ci parla di Toilet: «Un dramedy alla Netflix da gustarsi tutto d’un fiato»

Parlare con Gabriele Pignotta, in scena in questo periodo con Toilet al Teatro 7 di Roma fino al 18 aprile, è come immergersi e tuffarsi all’interno della sua esperienza teatrale ma anche di vita. Accompagnarlo telefonicamente e seguirlo dal posto in treno al taxi fino alla sosta improvvisa ed improvvisata in farmacia, è stato come fare con lui un viaggio quotidiano. Il tutto mentre raccontava la sua ultima fatica teatrale e si raccontava come attore, come sceneggiatore, come regista ma anche, soprattutto, come uomo: con le sue osservazioni, le sue intuizioni e la sua trascinante euforia nel gettarsi a capofitto in un nuovo, originale, spettacolo.

 

Di solito in bagno, si dice, nascono le più grandi intuizioni…è questo il caso?

Devo ammetterlo, come autore prediligo gli spazi chiusi. La mia prima commedia di successo d’altronde è stata Una notte bianca la storia di tre persone che rimangono chiuse in un ascensore. Ricercavo quindi un po’ quella spinta lì dopo progetti magari più rassicuranti, non ultimo quello con la Cuccarini e Ingrassia (Non mi hai più detto ti amo ndr) una prosa un po’ più classica. Ora, quindi, volevo affrontare la sfida di uno spettacolo più moderno: uno spettacolo in stile Netflix.

 

Bene allora, Gabriele, parlaci di questo spettacolo teatrale, “Toilet”, un’idea sicuramente originale

Lo definisco un dramedy una sorta di thriller comedy che si gusta tutto d’un fiato. Uno spettacolo in cui ho deciso e mi sono sentito di mettermi in discussione come attore al servizio della storia, della narrazione…

 

In che senso?

Sai in genere gli attori, da soli su un palco, iniziano con i monologhi, in quello che considero una sorta di trionfo dell’ego artistico. A me invece piaceva l’idea di mettermi in gioco come interprete di un episodio narrativo, una situazione davvero sfiziosa. Tutto quello che capita racconta anche il disfacimento sia fisico che psicologico di un uomo che rimane 72 ore chiuso nel bagno di un autogrill abbandonato.

 

Hai citato Netflix ed un po’ anche la locandina va verso quello stile. Ma un uomo chiuso per 72 ore consecutive in un bagno, potrebbe quasi essere un soggetto per un’eventuale trama di un Black Mirror…

Infatti durante lo spettacolo è citato! C’è una parte in cui il protagonista, tra l’incredulità e lo stupore, esclama: «Ok, ditemelo che sto sul set di Black Mirror». Ma vedi sono esattamente quei paradossi verosimili che inducono una provocazione e una riflessione che ho voluto mettere in scena. L’intento era proprio lanciare questo messaggio e ti dirò: all’inizio avevo anche paura che non potesse essere apprezzata…

 

Invece?

Invece la sfida è stata accolta con un trasporto che è andato al di sopra di ogni mia aspettativa. Gli spettatori escono davvero coinvolti ed entusiasti, una cosa che andava al limite dell’esaltazione, giuro: per me è stato pazzesco! Ma non dico così per piaggeria nei miei confronti o per modestia, semplicemente perché magari quando decidi di mettere in scena uno spettacolo da solo, magari vieni percepito un po’ presuntuoso e ti poni la domanda: annoierà, piacerà, sarà apprezzato e quindi un po’ di paura c’era, lo ammetto. Probabilmente però gli anni di esperienza accumulati sia al cinema che al teatro mi hanno permesso di creare un prodotto di cui vado davvero fiero, un lavoro che avrà lunga vita: siamo solo all’inizio.

 

Tratto da una storia vera…raccontaci questa storia vera!

In pratica avevo letto di un tizio che era rimasto chiuso nel bagno di un autogrill, ovviamente non per 72 ore, lì le cose si erano risolto in modo più semplice e alla riapertura del bar, la mattina dopo, l’uomo è stato “liberato”, però la vicenda mi aveva incuriosito. Così ho usato questo pretesto reale per creare un qualcosa di originale, prendo sempre spunto dalla realtà che mi circonda. In Toilet si scopre, a differenza del fatto realmente accaduto, che l’autogrill è proprio abbandonato e il protagonista, senza rendersi conto di nulla in quanto con l’attenzione tutta rivolta al suo telefono, si avvia nel bagno senza memorizzare neanche dove sia in quel momento. Ma poi in fondo è un po’ l’incubo di tutti quello di finire chiusi in un posto senza avere la percezione di dove si sia e come mai ci si ritrovi in quella situazione.

 

Se in passato, in altri spettacoli e testi, ti interfacciavi con il tema sempre caldo della coppia qui hai un po’ cambiato punto di vista: un uomo che preso dalla sua second life telefonica, dimentica dov’è. È questo anche una sorta di osservazione sulla realtà contemporanea?

Sicuramente un tema è l’alienazione da telefonino che, in fondo, è anche un tema un po’ “sputtanato” ormai, sublimato  dalla gabbia in cui questa second life ci porta. Il bagno insomma diventa la gabbia di quest’uomo, sia fisica che dell’inconscio. È un po’ una metafora di una vita frenetica senza una direzione esistenziale sana che alla fine lo porta a chiudersi in questa gabbia. Il tutto nasce da un incidente di percorso molto banale, ma sarà per lui l’occasione per fare un bilancio della sua vita, ma non soltanto sotto un aspetto riflessivo, ma proprio fattuale. Ti spiego: in questa prigione che è la toilet dell’autogrill abbandonato, il telefono è comunque funzionante, quindi lui ha la possibilità di rimanipolare la sua vita: contatta persone che non sente da anni, chiama e sente gente che aveva perso di vista e infine arriva anche a digitare i numeri che trova scritti sulla parete del bagno, in modo da fare una sorta di indagine per poter arrivare, attraverso indicazioni sommarie, a capire dove si trovi. Il tutto mentre i carabinieri lo cercano. Per questo dico che non si tratta solo di una situazione riflessiva, ma è un susseguirsi di accadimenti, ricco anche di personaggi che, esternamente, senza palesarsi, intervengono nella narrazione. Infine, ma non te lo spoilero ovviamente, c’è un colpo di scena finale inaspettato che ribalta totalmente il tutto dando un altro significato alla storia.

 

Ti sento presissimo e questo coinvolgimento nel proprio lavoro è sempre un plus, no?

Sì, lo ammetto, mi sono divertito tantissimo a scrivere e a interpretare questo spettacolo, lo considero davvero una “figata!”. Lo dico dopo aver buttato sangue su questo lavoro e continuo a buttarlo ogni sera. Finisco stravolto, stanco e devastato, ma felice e non c’è nulla di più bello.

 

Da “Ti sposo ma non troppo” a “Sotto una buona stella” fino a “Non mi hai più detto ti amo” e ora “Toilet” di nuovo a teatro: una tua peculiarità quella di alternare e variare?

Sì, non ho mai abbandonato il teatro: mi reputo un artista vivo a cui non piace crogiolarsi in quelle esperienze magari anche più remunerative sotto un profilo meramente economico. Mi piace pormi sempre di fronte ad una sfida. Per me che mi trovi in un teatro off o in su un grande palco o ancora a dirigere un cast internazionale per il Giffoni – Otzi e il mistero del tempo il fantasy con cui ha vinto il premio nel 2018 (ndr) -  lo considero come una sorta di continuo laboratorio. Non mi voglio “imborghesire” insomma, mi rimetto sempre in officina per creare nuove cose.

 

Una curiosità a tal proposito: nella realizzazione di testi differenti tra cinema, teatro e televisione, qual è quella che più ti appassiona e anche quella che senti più tua in fondo?

Forse ancora il teatro. Probabilmente perché conosco e posso valutare live le reazioni del pubblico che sono immediate, ma anche perché mi dà la possibilità di verificare la performance ogni sera e così se c’è da sistemare qualcosa, da lavorarci ancora un po’ su, posso farlo quasi immediatamente. Al cinema, ovviamente, una volta che hai girato, non sai mai come arriva quel testo, quella storia allo spettatore in sala, certo lo presupponi e l’esperienza ovviamente aiuta. Devo dire comunque che anche con i testi cinematografici ci sto prendendo molto gusto: infatti ne girerò anche uno nuovo a luglio. Inizia a piacermi molto questa capacità che sto sviluppando di andare dall’uno all’altro testo.

 

Una domanda sul panorama italiano: come la trovi la commedia ad oggi? Qual è la commedia apprezzata oggi dagli italiani?

Siamo molto provinciali, purtroppo. Siamo indietro di 30 anni in quanto abbiamo ancora argomenti considerati tabù sui quali non si può scherzare, penso ad esempio alla spiritualità. Siamo ancora frenati da un senso tutto particolare del pudore e del politicamente corretto che a mio avviso ha un po’ stancato. Insomma si finisce sempre per rimescolare e rimestare nel vecchio. A questo va aggiunto che la crisi economico anche nel mondo dello spettacolo ha terrorizzato i produttori che scommettono su déjà vu facendo venir fuori una commedia stanca che non ha più nulla da dire, soprattutto se poi la confrontiamo con i lavori e i capolavori che vengono da fuori. A livello cinematografico, ad esempio, Francia e Spagna ci stanno surclassando. Noi continuiamo e proviamo ad esportare novità solo nel cinema d’autore che comunque diventa un po’ l’autocelebrazione di se stesso e che comunque attinge a dei testi a delle opere già esistenti. Ok, c’è la ricerca creativa, ma non siamo di fronte all’originalità della scrittura o al genio che crea dal nulla. Ma questo anche a livello di serie tv: gli altri sono su Netflix con la La casa di carta noi continuiamo a girare i Don Matteo, costringendo poi il grande pubblico ad accontentarsi di ciò che gli arriva dall’estero.

 

Mi parlavi di un nuovo film: cosa c’è in cantiere, anzi, in officina per il prossimo futuro?

Sicuramente dopo Toilet mi riposerò giusto un pochino. Poi torno subito a lavorare su questo progetto cinematografico che è un fantasy family con una produzione indiana di cui posso dire ancora poco ma che dovrei iniziare a girare tra fine luglio e settembre. Poi ovviamente, il teatro: l’anno prossimo porterò ancora in giro questo spettacolo. Quindi prenderò in mano altri due progetti teatrali, altre due commedie. Una è la mia storica Scusa sono in riunione, ti posso richiamare? che rifarò con Vanessa Incontrada. Infine mi dedicherò ad un progetto che mi hanno affidato, la versione teatrale di Tre uomini e una culla, un vecchio cult francese degli anni ’80 di cui curerò la regia e sarò anche uno dei protagonisti. Insomma molto difficile che io mi possa annoiare!

 

Federico Cirillo

12 aprile 2019

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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