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Alessio De Caprio: Bucefalo il pugilatore è un messaggio prepotente di vita!

 Intervista ad Alessio De Caprio interprete e regista dello spettacolo Bucefalo il pugilatore in scena al teatro Keiros dal 6 all’8 dicembre 2019

 

Bucefalo il pugilatore è uno spettacolo che ha ormai dieci anni, cosa ha fatto nascere il desiderio di raccontare questo personaggio?

Era molto tempo che volevo raccontare una storia che parlasse di boxe, in seguito anche alla lettura di un interessante volume di Franco Ruffini: Teatro e boxe: l'atleta del cuore nella scena del Novecento. Una sera, informandomi a tempo perso sul processo Priebke (Il comandante della Gestapo fra i pianificatori e realizzatori della strage delle Fosse Ardeatine, n.d.r.)  mi sono imbattuto in un’iscrizione sul muro del terzo braccio del carcere di Regina Coeli che recita. “Se non arivedo la mia famiglia è colpa di quella venduta di Celeste Di Porto. Rivendicatemi!”.

Ho quindi scoperto la storia di questo ragazzo di 27 anni, pugile, ma prima di tutto giovane uomo, testimone di uno degli eventi più tragici della storia e ho deciso di raccontarla. È iniziato così il lavoro di ricerca e raccolta di materiale presso gli archivi del Centro di Cultura Ebraica di Roma, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e il carcere di Regina Coeli, ma ciò che maggiormente è stata fonte d’arricchimento per il lavoro è stato intervistare le persone in giro per le vie del ghetto di Trastevere. Conoscendo le famiglie e la volontà, di mantenere viva la memoria delle loro storie, sono riuscito in questa ricostruzione filologica della vicenda.

 

Quanto è stato importante il lavoro linguistico per questo spettacolo?

La ricerca linguistica si è concentrata sul tipo di linguaggio utilizzato nella zona del ghetto di Roma fra gli anni 30 e 40, ho girato per le strade parlando con le persone del posto che mi hanno raccontato del loro passato e dei loro genitori. Questo spettacolo è stato come costruire un puzzle, di cui il recupero del linguaggio è stato un tassello fondamentale. Il romanesco del ghetto è diverso, ma ancora più diverso è quello parlato negli anni 30 e 40. Un altro elemento che sicuramente mi è stato d’aiuto sono stati i versi di un poeta romanesco contemporaneo del Belli, Crescenzo del Monte che è riuscito a far risaltare e sottolineare tutte queste prosodie cantate dell’ebraico-romanesco.

 

Quando ci si approccia ad un personaggio così totalizzante in quale ruolo si è più critici con sé stessi: come attore o come regista?

L’aspetto in cui sono più rigoroso è sicuramente quello attoriale, la regia infatti non ha una struttura fissa si basa molto sull’immediatezza della parola, ed è questa che rende viva e sempre diversa la recitazione e che crea una connessione e uno scambio importante con il pubblico, in cui sono anche aiutato dal maestro Fabio Raspa in scena con me. Se si riesce a sfondare la quarta parete e a superare un certo tipo di teatro canonico lo spettatore torna a casa modificato e la potenzialità della storia raccontata si moltiplica.

 

Sulla scia degli spettacoli di quest’anno: Se questo è un uomo di Malosti, il sistema periodico interpretato da Lo Cascio e Se questo è Levi di Fanny e Alexander, la vicenda di Bucefalo racconta invece una storia umile, poco conosciuta; era anche questo un po’ l’intento? Dare la voce a un senza voce della storia?

L’obiettivo era proprio questo; mentre mi sono trovato a raccogliere materiale per questo spettacolo ho capito che esiste una quantità enorme di storie che possediamo ma di cui spesso ci dimentichiamo. Ciò che quindi ho voluto fare è portare avanti un messaggio prepotente di vita, raccontare tutto ciò che c’è intorno alla vicenda di Lazzaro Anticoli: l’amore coniugale e per la famiglia, la passione per il pugilato visto come un gioco, una vita vissuta nell’immediato che non ha tempo per le depressioni e le nevrosi dell’uomo contemporaneo. Vorrei che questo spettacolo potesse lasciare un messaggio di possibilità verso un mondo diverso. Mi ricordo la prima in Largo 16 Ottobre 1943, il luogo dove si era svolto il rastrellamento dell’oro di Roma, quella sera in piazza si respirava un’aria particolare, le finestre erano spalancate, sembravano vuote senza persone dentro. Sembravano case abbandonate ma io sentivo che insieme a me, oltre al pubblico, erano presenti anche tanti ragazzi e tante famiglie sparite nell’orrore di quegli anni. Non è un pensiero romantico ma una certezza.

 

 

Mila Di Giulio

3 Dicembre 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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