Martedì, 19 Marzo 2024
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Luca Valentino: l’arte come tensione irrisolta

Nato a Roma nel 1998, Luca Valentino intraprende il corso di laurea triennale in Fotografia e Video presso l’Accademia di Belle Arti di Roma concludendolo a pieni voti. Durante questo periodo si avvicina alle arti visive e performative: un incontro che gli fa scoprire una naturale inclinazione verso la recitazione e la composizione grafica. Dopo aver visionato alcune delle sue opere in occasione di altrettante esposizioni, lo abbiamo intervistato. 

 

Quando hai iniziato ad avere la percezione dell’arte come linguaggio per esprimerti?

Sin da bambino sono sempre stato abbastanza creativo e ho cercato dei miei metodi per esprimermi attraverso le mani, creando cose. Al contrario, ho sviluppato una consapevolezza sull’utilizzo dell’arte come medium di comunicazione al pari della parola piuttosto recentemente: avevo già iniziato a studiare fotografia e video durante il triennio presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e questo mi ha aiutato a capire cosa non volevo fare. A differenza di altre istituzioni, l’Accademia di Belle Arti ti dà una preparazione ampia: in questa maniera ho potuto avvicinarmi a diversi mezzi di espressione, comprendendo cosa mi interessava e cosa no. Ad esempio non ho intenzione di settorializzarmi e fare solo il fotografo o il videomaker: non mi interessa il mezzo per il mezzo, fare le foto per la fotografia. Mi piace modificare le cose: nonostante venga da una formazione che è quella delle arti visive, uso l’immagine come punto di partenza per qualcos’altro. Come dimostra un lavoro con i collage dal titolo F.F.F. - Fight.Flight.Freeze. iniziato nel 2018 e che ho esposto recentemente all’interno di uno spazio non convenzionale di Roma: l’Enoteca di Via Macerata/Bunker Art Room.

 

In cosa consiste? 

Mi sono reso conto che accostando due immagini diverse, non necessariamente attraverso una scelta ponderata, si può ottenere un nuovo significato. Sono una persona molto riflessiva, difficilmente mi lancio nelle cose e ciò, per un artista, può essere una pecca. Con l’utilizzo del collage ho imparato a farlo, perché mi ha permesso di affidarmi agli accostamenti inconsci senza dover necessariamente razionalizzare. Mi sono sentito più libero, dandomi la possibilità di sviluppare maggiormente l’intuito. 

 

Perché il titolo F.F.F. - Fight.Flight.Freeze.?

Perché sintetizza le tre possibili reazioni allo stimolo della paura: combattere, scappare o rimanere paralizzato. È nato un po’ per caso, in linea con l’approccio che ho nei confronti del collage: avevo delle foto scattate da me da cui sono partito, ho iniziato con accostamenti liberi e dopo un po’ che facevo composizioni mi son reso conto che c’erano determinati elementi che tornavano e un’atmosfera cupa a cui si deve il titolo. Si tratta del secondo progetto partito da foto mie, da materiale prodotto da me: prima utilizzavo materiale d’archivio o magazine.

 

La tua più recente installazione ha un altro titolo molto suggestivo: All the Words you wasted.

Ci sto lavorando da tre, quattro mesi ed è stata esposta in occasione della Slow Love Exhibition (Vol. II) presso l’ExGarage di Roma, grazie alla quale mi sono spinto un po’ oltre i miei campi di competenza. Ero sempre partito dal video o dalla fotografia per arrivare a qualcos’altro mentre in questo caso ci sono moltissime prime volte: la prima volta che lavoro in termini di scultura e installazione, la prima volta che mi esprimo attraverso l’Arte Relazionale. Sono uscito dalla mia confort zone, coinvolgendo direttamente le persone e mi è piaciuto molto. L’opera è nata all’interno della Slow Love Exhibition (Vol. II), una collettiva realizzata insieme ad altri sei artisti che gira intorno a un unico oggetto: uno spartitraffico ritrovato a Circonvallazione Cornelia con su scritta una specie di poesia o di dichiarazione d’amore folle.  A partire da ciò ognuno ha portato avanti la propria riflessione e realizzato una creazione. Per All the Words you wasted, partendo da questa sorta di lettera sullo spartitraffico mi sono interrogato circa l’intensità dello sforzo di chi l’ha scritta nel proiettare al di fuori di sé - su un materiale - il proprio pensiero, un proprio frammento, la propria espressione, che ha donato potenzialmente a tutto il mondo. Si tratta di una lettera d’amore scritta per qualcuno in particolare ma non le è stata recapitata: è stata abbandonata così. Ho voluto, quindi, dare la stessa possibilità alle persone che ho coinvolto nel progetto: proiettare su un foglio di carta un frammento di sé, della propria memoria, quella lettera che non hanno mai inviato a patto di essere disposti a donarla al mondo tutto. Nei giorni dell’esposizione ho pensato di rendere completamente partecipativa l’installazione: ogni spettatore poteva leggere o portare via una delle lettere che la componevano con la richiesta, però, di scriverne una propria con cui rimpiazzarla. Una regola di scambio che, per fortuna, è stata rispettata relativamente: perché è stato bello vedere la gente che si appropriava dell’opera, interagendo con essa in base a come si sentiva e alla propria ispirazione. 

 

Un’esperienza forte?

Sì perché fino ad adesso avevo lavorato sul bidimensionale, a parete, l’osservatore aveva un ruolo passivo. Stavolta persino la realizzazione dell’opera è stata in qualche modo in mano a qualcun altro, alla gente. La sua riuscita, dunque, non dipende solo da te. E il risultato mi ha dato grandissima soddisfazione.

 

Un appagamento che porta a quali progetti futuri?

Adesso mi piacerebbe esporre il primo lavoro con il collage interamente realizzato con foto mie, ancora inedito anche se concluso un anno fa. Sto cercando un posto che faccia al caso mio. Si intitola Chrysalis e ha come tema, banalmente, il cambiamento. Una riflessione sul passaggio da uno stato a un altro: il bruco che diventa farfalla, nello stadio intermedio - quello della crisalide – cos’è? Noi lo classifichiamo come crisalide, perché è nella natura umana dare un nome alle cose, ma lui in realtà non è più bruco ma nemmeno ancora farfalla. Lo stadio di trasformazione è in un certo senso di non esistenza: non sei più ciò che eri ma nemmeno ciò che devi diventare. Forse, però, è quello il momento più importante dell’esistenza: perché quando un essere smette di cambiare non è più vivo mentre le cose esistono nel loro cambiamento. Da qui il nome del progetto, che comunque è uno studio sul corpo, pervaso da una tensione verso il mutamento, la stessa del bruco che deve diventare farfalla ma ancora non lo è. 

 

La tensione mi pare di capire sia un tema a te caro.

Sì, la tensione irrisolta è alla base della mia poetica: la si ritrova nei miei collage, nell’installazione, nei cortometraggi o nelle videoinstallazioni che ho realizzato. Ed è bene che tale rimanga: nel momento in cui venisse risolta svanirebbe tutto. Per me non c’è mai piena calma, mai pieno raggiungimento. Come un fachiro, ho bisogno dei chiodi sotto di me.  

 

 

Cristian Pandolfino

14 maggio 2022

 

Immagine 

Luca Valentino – All the Words you wasted (2022)

Carta (lettere), supporto per risma di fogli, penne, 150 x 50 cm (raggio x altezza, variabili)

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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