Domenica, 03 Novembre 2024
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Una chiacchierata con Laura Verrecchia artista sensibile dalla voce preziosa

Laura Verrecchia è un giovane mezzosoprano, in rapida e solida ascesa.

Fra le sue caratteristiche, una voce solida e  di ampia estensione,  un magnifico colore che riesce a declinare in tantissime sfumature, una tecnica  solida che le permette di affrontare un repertorio amplissimo, degli acuti  potenti che entusiasmano il pubblico.

Oltre gli aspetti musicali, però, emerge dirompente un talento interpretativo di gigantesco spessore, che la trasforma di volta in volta in un credibile Romeo, giovane e nervoso; in una  elegante  Giovanna di Seymour; in una umile ma determinata Angelina; in una Lupa sensuale e selvaggia; in una Eboli esuberante ed una spassosa Isabella.

Riesce a cogliere l’animo dei  personaggi, lavorando sulla parola, con dizione limpidissima e riuscendo a  trovare sfumature ed accenti mai scontati, riuscendo a divertire, commuovere, appassionare.

Abbiamo avuto il piacere di incontrarla a Trieste, durante le repliche di ‘La Cenerentola’, spettacolo di grande successo di pubblico e critica, che l’ha vista applauditissima protagonista accanto a dei fuori classe come Giorgio Caoduro e Carlo Lepore.

Con la cortesia e la disponibilità che le sono proprie ha accettato di sottoporsi alle nostre domande.

Cominciamo proprio dagli inizi. Lei è nata a Venafro, paese di circa 10.000 abitanti, dalla storia gloriosa ma certo  non famoso per le tradizioni musicali.

 

Come è nata la passione per il canto?

La passione anzi, la vocazione per la musica mi accompagna da sempre. Canto, ballo, suono da quando non avevo neanche gli strumenti per farlo ma è così che è successo, mi appartiene e basta. È la mia vita. Ciò che mi ha spinto a studiare e ho iniziato dal pianoforte e dal ballo, è stato il Festival dedicato al grande Mario Lanza (mio lontano parente), organizzato a Filignano, paese di mio padre. Lì ho potuto vedere da vicino la spettacolarità di quest'arte e mi sono resa conto della sua irrinunciabilità nella mia vita, seppur fossi ancora una bambina.

 

E’ stato difficile coltivare questa passione, vivendo in una realtà così decentrata?

Venafro è la città in cui ho iniziato i miei studi musicali e coltivato la passione per il ballo, il teatro. È una città in cui impari guardando anche le persone che, seppur in un ambito “amatoriale”, si cimentano in tante forme d'arte e tutto ciò è di forte ispirazione per chi ha dentro di sé quel fuoco che arde…Certamente per lo studio specifico del canto Lirico ho dovuto viaggiare quasi da subito: ho iniziato in un coro di voci bianche a Venafro ma dai 16 anni ho iniziato le lezioni con un'insegnante nel Lazio, poi al Conservatorio di Campobasso e alla fine sono approdata al Cherubini di Firenze.

 

La  sua preparazione musicale è particolarmente solida anche grazie allo studio del pianoforte. Come avvenne il passaggio dai tasti alle corde vocali?

 All'età di 8 anni iniziai lo studio del pianoforte e dopo qualche anno fu proprio il mio Maestro, Claudio Luongo, a consigliarmi di fare l'audizione per essere ammessa al coro di voci bianche di cui vi ho parlato, poiché notò la mia predisposizione al canto.

 

Parliamo di insegnanti: quali sono stati i suoi primi maestri?

La mia primissima insegnante di canto (voci bianche) è stata l'isernina Antonella Inno, dai 16 anni mi ha seguita Antonella Sdoja, al Conservatorio di Campobasso ho studiato con Luciano Di Pasquale e a Firenze con Massimo Sardi e Donatella Debolini che è tuttora la mia insegnante. In tutti questi anni, però, ho avuto occasione di fare masterclass e accademie anche con Katia Ricciarelli (a cui devo molto), Eva Marton, Daniela Dessì, Ernesto Palacio, Rockwell Blake, Enzo Dara, Raúl Giménez e altri…

 

La sua carriera spazia dal barocco al belcanto, fino alla musica contemporanea. Quale genere sente più affine al suo carattere e quale alla sua voce?

Adoro i ruoli buffi ma c'è in me una forte componente drammatica. Croce e delizia di questo mestiere è l'empatia con i personaggi che interpreto, dunque, come la brillantezza e l'allegria che mi trasmette ad esempio Rosina de Il Barbiere di Siviglia mi portano in uno stato di benessere e leggerezza, la sofferenza e la disperazione di Lupa o di Suzuki mi trascinano nella parte più scura delle umane fragilità ed è difficile liberarsi in velocità da certistati d’animo finito lo spettacolo. È un filo molto sottile quello che separa il personaggio dalla persona una volta che ci si lavora tanto e in maniera approfondita: ti può rimanere accanto la sua luce o la sua ombra. Vocalmente posso dire che ho vissuto in questi anni praticamente a pane e Rossini, autore del cuore e senza il quale non sarei arrivata così serenamente ad altri repertori. Passando
per il belcanto devo dire che il mio percorso piano piano sta arrivando felicemente ai ruoli del verismo e contemporanei, dando sfogo alla gamma di sonorità che non avevo esplorato fino a poco tempo fa.

 

In diverse occasioni ha manifestato la sua gratitudine a Katia Ricciarelli. Ci racconta qualcosa della sua esperienza  con il famoso soprano?

Ho conosciuto Katia Ricciarelli quando avevo 18 anni mentre davo una mano all’organizzazione del Concorso Mario Lanza a Filignano. Tra un documento e l'altro dei
concorrenti, chiesi se ci fosse la possibilità di farmi ascoltare ed eventualmente ricevere qualche consiglio dal celebre soprano che immediatamente mi propose di seguire una sua masterclass che avrebbe tenuto in Toscana da lì a pochi giorni. È stato l'inizio di un viaggio meraviglioso fatto di esperienze che mi sono rimaste nel cuore.

 

Quanto  è importante, per un giovane artista, fare la gavetta? E quale è stato il suo debutto?

La gavetta è importantissima per un giovane artista: non si può correre se prima non si sa camminare. Bisogna studiare, formare le basi solide e non solo dal punto di vista vocale e scenico. C’è bisogno di temprarsi ad un lavoro che presenta tante difficoltà. Il mio debutto ufficiale è stato nel 2015 con Il Barbiere di Siviglia al Teatro Goldoni di Livorno con il progetto L.T.L. operastudio.

 

L’abbiamo ascoltata in diverse occasioni a Trieste, anche in una indimenticabile ‘Italiana in Algeri’ con le scene di Ugo Nespolo. Com’è entrare in uno spettacolo con la componente visiva così forte, così profondamente artistica?

Ho un bellissimo ricordo di quella produzione. Si entra in uno spettacolo e lo si fa in toto: quei colori erano anche della mia Isabella, quella vivacità era la caratteristica dell'intera opera d'arte di cui noi tutti facevamo parte. Credo che l'opera lirica sia LA forma d'arte che comprende tutte le arti: la musica, il ballo, la recitazione, la pittura…

 

Qualcosa  del genere accede anche con questa  ‘ Cenerentola’ con le scene di Lele Luzzati.  Ci racconta chi è per lei Angelina?

Per me Angelina è l'unico personaggio umano e drammatico de ‘La Cenerentola’. La sua storia possiamo trovarla ancora in una qualsiasi famiglia di qualsiasi parte del mondo. Angelina è una ragazza che si innamora in maniera disinteressata, ostacolata da una situazione familiare oppressiva e ingiusta a cui si ribella con dolcezza ma senza leziosità. Lo vediamo dai recitativi e da alcuni momenti musicali in cui mostra il suo carattere ad esempio quando, tornati dal ballo, si rivolge al patrigno in maniera quasi “sfottente” sapendo benissimo cosa turbi lui e le sorellastre: “ma dite…cosa è accaduto? Avete qualche segreta pena?” oppure troviamo la fermezza del suo carattere nei recitativi con Dandini e il Principe: “O mutate linguaggio o vado via.” e "fermati, non seguirmi. Io tel comando.” e in fine, al momento dell’aria finale quando parla di una vendetta che in realtà è il perdono. Se analizzato bene, il personaggio di Cenerentola è si la bontà più pura ma non senza carattere. La sua storia ci fa sognare un mondo migliore, il lieto fine ci aiuta a sperare che la sventura che possiamo incontrare sul nostro cammino, alla fine sia provvida e che poi vissero tutti felici e contenti. È bello sognare ogni tanto, no?

Lei nella vita quotidiana è una giovane donna di innegabile bellezza, ma in scena la vediamo spesso trasformata in un uomo. Come fa a calarsi nei panni di un uomo? Quali sono le difficoltà che incontra?

La trasformazione per me è uno degli aspetti più affascinanti del mio lavoro. Abbiamo la possibilità di vivere tante vite. E quanto è bello entrare in un corpo, nei pensieri, nei sentimenti e nelle abitudini di qualcuno così distante da te stesso (a volte neanche tanto distante) e addirittura di sesso diverso?! Credo che in ognuno di noi ci sia una parte maschile e una femminile che siamo più o meno predisposti ad esplorare. Io personalmente adoro trovare la mia parte maschile. Certo, in alcuni casi ci sono delle difficoltà oggettive ma innanzitutto mi aiuta la profonda osservazione e poi il caro buon metodo Stanislavskij fa il resto.

 

 

A proposito di difficoltà: ha da poco interpretato con successo ‘La Lupa’ ed ‘Il Berretto a Sonagli’. Com’è cantare un’opera alla presenza dell’autore? Confrontarsi con una partitura complessa, ma anche con i fantasmi di regine del palcoscenico di prosa come la Magnani, la Proclemer, fino alla più recente Guerritore?

L'esperienza recentissima de La Lupa e de Il Berretto a sonagli di Marco Tutino è stata la più intensa della mia carriera fino ad ora. I motivi sono tanti: testo e musica di entrambe ti penetravano l'anima, la presenza dell’autore durante le prove è un evento più unico che raro come rara è la possibilità di far parte della creazione della prima assoluta mondiale di un'opera. Preziosissimo è stato il lavoro musicale con il M° Carminati ed incredibilmente profondo il lavoro sul personaggio con Davide Livermore. È stata un'esperienza che non dimenticherò, da cui ho imparato moltissimo e a cui penso con commozione e gratitudine.

 

Come si prepara per un ruolo?  Lo matura prima da sola o si affida completamente a direttore e regista?

Quando si studia un ruolo è praticamente impossibile non farsi un'idea sia musicale che registica frutto della nostra personale interpretazione. La parola d'ordine è: duttilità. Cerco di arrivere il primo giorno di prove ponendomi come un foglio bianco, facendo fare al/alla direttore/direttrice e al/alla regista Il loro mestiere. È chiaro che se dovesse esserci qualcosa che si scontra in maniera importante con l'idea di qualcuno o con qualcosa soprattutto di pratico, sia dall’uno che dall'altro canto, ci si deve confrontare e trovare una soluzione per venirsi incontro.

 

Spesso si ascoltano grandi discussioni fra i sostenitori delle regie tradizionali  e quelli che aprono volentieri alle visioni più moderne. Come si pone all’interno di questo  dibattito?

A me piacciono tutti i tipi di regia purché siano rispettosi del testo, della narrazione musicale e della resa vocale. Non adoro gli sconvolgimenti fini a se stessi.

 

Nel suo curriculum ci sono, a proposito di regie, tanti ‘enfant terrible’: Damiano Michieletto, Roberto Andò, David McVicar, Alberto Triola, Gianni Quaranta, Calixto Bieito, Gean-Louis Grinda, Chiara Muti. Come ci si trova ad essere guidati da personalità così forti? Ha mai dovuto dire di no a delle richieste che le parevano eccessive?

Ho avuto la fortuna di essere guidata da personalità forti da cui ho imparato tanto a cui per ora non ho dovuto dire dei no perché le proposte non erano eccessive anzi, fino ad ora ho solo potuto imparare e cogliere nuovi spunti per i miei personaggi.

 


Quanto conta per lei il clima delle prove? Se risulta facile crare una buona sintonia con i colleghi ?

Il clima delle prove è fondamentale per la buona riuscita di uno spettacolo, se la squadra è affiatata, in scena possono accadere delle vere magie!

 

A tale riguardo ha dei cantanti cui è più legata, con i quali si è creata una sintonia oltre il palcoscenico, o preferisce ‘disintossicarsi’ dall’opera fra una recita e l’altra?

Ho la fortuna di aver conosciuto dei colleghi con cui poi è nata l'amicizia proprio partendo dal palcoscenico ed è proseguita aldilà del lavoro. Certo, non capita sempre ma quando accade è meraviglioso. Che cosa preziosa è l'amicizia.

 

A quale  dei suoi spettacoli  è più legata? Ce n’è qualcuno a cui ,col senno di poi, avrebbe preferito non partecipare?

 “Il primo amore non si scorda mai” e per me è proprio ‘Il Barbiere di Siviglia’ dell'operastudio LTL. Comunque ogni produzione in qualche modo mi è rimasta nel cuore e
fino ad ora non è mai successo di essermi pentita di aver partecipato anzi, molte produzioni le rifarei ancora e ancora.

 

Quale ruolo  le piacerebbe ipoteticamente portare in scena? Libertà assoluta  nella risposta: potrebbe essere soprano di agilità o basso profondo, solo per sapere i gusti della Signora Verrecchia spettatrice.

Mi piacerebbe essere Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto de Les Contes d'Hoffmann e mi piacerebbe interpretare il ruolo di Santuzza in Cavalleria Rusticana.

 

Andiamo per un attimo fuori dai binari della lirica: come si pone nei confronti della musica leggera? Cosa le piace ascoltare e cosa cantare, magari con gli amici? Possiamo parlare di una Verrecchia rock?

Posso dire che mi piacciono quasi tutti i generi musicali, adoro la musica italiana e internazionale dagli anni 60 agli 90 con una particolare passione per Michael Jackson e Madonna. Da adolescente ho anche fatto parte di un gruppo Rock gotico.

 

Qual è il suo rapporto con  recensioni: le legge o, come faceva la Simionato, le evita ?

 Ho un buon rapporto con le recensioni, soprattutto quando chi le scrive ha la sensibilità, l'intelligenza e la cura di soffermarsi su tanti aspetti. Non mi piace la superficialità. Anche perché il nostro lavoro è così complicato e pieno di sfumature che a volte mi pare che alcuni critici si impegnino a sminuire e svilire (evidentemente perché non addetti ai lavori) tutto il sacrificio e lo studio che c'è dietro la singola nota o il singolo movimento in palcoscenico.
Devo dire anche che sono stata molto fortunata in questi anni perché la critica mi ha trattata spesso benissimo e, quando non è stato così, ho cercato di analizzare ciò che veniva detto cercando di migliorare gli aspetti evidenziati su cui, facendo autocritica, mi trovavo d'accordo
con il recensore.

 

In generale, cosa le piacerebbe vedere scritto di lei e cosa le dà più fastidio veder pubblicato?

Mi  piacerebbe che i critici vedessero di più con il cuore e si soffermassero sulle emozioni che uno spettacolo complesso come l'opera lirica sa dare e non sulla singola sbavatura del cantante, essere umano in balia della delicatezza dello strumento, delle condizioni psicofisiche e di molti fattori da lui indipendenti. Discorso valido anche per orchestra, coro, regia. Ad esempio, si sa che le prime sono le serate peggiori per giudicare gli spettacoli per molti motivi, perché la stragrande maggioranza dei critici si ostina ancora ad andare a recensire le prime e non le altre recite più rodate e rilassate? Questa è una domanda che faccio io a lei.

In realtà credo che  troppo spesso i critici siano più censori che recensori. C’è un po’ una gara a chi pubblica prima , mentre personalmente preferisco andare ad ascoltare le recite successive e  cerco di recensire tutte le compagnie, perché credo che sia una forma di rispetto nei confronti di interpreti e pubblico.

 

Tornando a Lei, quali sono i prossimi impegni?

In Luglio sarò Rosina al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e poi sarò a Verona con il Falstaff di Salieri, Torino con Pulcinella di Stravinskij, alla Fenice di nuovo con Il Barbiere di Siviglia, nel circuito AsLiCo con Il Don Quichotte, al Petruzzelli con Carmen e altri progetti
che svelerò più avanti…

 

Infine, ringraziando per la disponibilità e la cortesia, quali i suoi sogni?

I miei sogni sono tanti! Mi piacerebbe debuttare qualche altro ruolo en travesti magari rossiniano, essere di nuovo Romeo e debuttare Santuzza quando i tempi saranno maturi. Ridotto ai minimi termini: vorrei continuare a fare teatro, a godere di tutte le sue magie. Per me è l’ossigeno

 

 

 

Fra i nostri, di sogni, quello di poterla  riascoltare presto.

 

Gianluca Macovez

9 maggio 2024

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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