Giovedì, 28 Marzo 2024
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Un cous cous dal sapore forte

Recensione dello spettacolo “Cous Cous Klan”, in scena al Teatro Piccolo Eliseo dal 10 al 28 Gennaio 2018

 

Si può ancora scrivere in maniera diversa. Si può essere innovativi, senza abbandonare il solco del teatro popolare. Si possono trattare temi abusati come le divisioni sociali, l’inquinamento, il razzismo, l’omofobia, la violenza sulle donne con un linguaggio alternativo, ma al contempo fruibile e potente, accendendo fari di nuova, tragica luminosità.

È quello che da tempo si propone la Carrozzeria Orfeo, compagnia che scrive il suo manifesto già nel nome, dove vengono affiancati i richiami alla dura concretezza di un’officina dove si battono lamiere all’ideale purezza del mitologico artista. Lavoro che ha ottenuto ampi riconoscimenti, in occasione della messa in scena di spettacoli come “Animali da bar” e soprattutto “Thanks for Vaselina”, divenuto un piccolo oggetto di culto.

In “Cous Cous Klan”, attualmente in cartellone al Piccolo Eliseo, si ritrova tutta la loro poetica, fatta di commistione di contrari, di miscellanea di generi, di estremizzazione di concetti e situazioni, di linguaggio crudo e al contempo spesso e stratificato.

In un futuro non inverosimile, i ricchi vivono all’interno di recinzioni custodite dalle armi, dove possono fruire dell’acqua, privatizzata e razionata. Al di là il mondo di quelli di fuori; un manipolo di loro vive dentro due roulotte arrugginite in un parcheggio abbandonato e marcescente. Le loro dinamiche quotidiane scorrono senza svolta, fino all’arrivo di una ragazza squilibrata che porterà loro la luce di una nuova speranza. O forse no.

Gabriele Di Luca, autore del testo, va giù pesante. Irriverente, scherza con i fanti e (soprattutto) con i santi; corrosivo, sparge l’acido della sua satira; scorretto, strappa via ogni pelo dalla lingua per trattare temi scomodissimi. Con una scrittura caleidoscopica mescola senza timore ingredienti dal sapore forte e contrastante. Usa senza scrupoli lo scurrile, la nudità, il farsesco; costruisce situazioni esilaranti, sciorina battute taglienti come lame, per poi virare, amarissimo, su aforismi pennellati come sentenze. Ma la sua non è la mera provocazione di chi vuol creare disagio o colpire irridendo tutto e tutti; bensì un amore tenace per i suoi personaggi, prelevati fra gli ultimi, che, per sopravvivere al freddo di una cruda evidenza non disconosciuta, può esprimersi solo attraverso il paradosso e grazie a questo si esalta. I suoi reietti entrano nel cuore quanto più appaiono brutti, sporchi e cattivi; Caio (Massimiliano Setti), ex prete affondato nel nichilismo, il fratello Achille (Alessandro Tedeschi) omosessuale e ritardato, la sorella Olga (Beatrice Schiros), orba, obesa e alle soglie della menopausa, il suo compagno Mezzaluna (Pier Luigi Pasino), musulmano che si arrabatta tra traffici più o meno legali; Aldo (Alessandro Federico), la nuova vittima della società, ma soprattutto Nina (Angela Ciaburri), la ragazza pazza, ma dall’indomabile energia positiva. Il brutto fa risaltare la bellezza nascosta, il dolore partorisce verità, dalla follia nasce l’amore.

Difficile interpretare un testo del genere, dosandone la forza senza cadere nell’eccesso. Gli attori si donano con impeto e bravura ma, in particolare nelle scene più concitate, la recitazione va sopra le righe. L’operazione riesce invece perfettamente alle protagoniste, cui va l’applauso incondizionato. Angela Ciaburri rende onore al bel personaggio affidatole, con una personalità che le fa dominare lo spazio scenico e con una perfetta gestione dei registri, grazie alla quale cammina senza esitazione sul sottile filo teso fra follia e poesia. Beatrice Schiros sfoggia il possesso di una vis comica trascinante, con cui rende esilaranti, ma al contempo agre o taglienti le battute del suo ruolo.

Da menzionare anche le belle scenografie di Maria Spazzi, capaci di dipingere efficacemente, nel limitato spazio offerto dal palcoscenico, un degrado desolante e di offrire inoltre alla regia, nell’unità di spazio, la possibilità di inquadrature molteplici.

Il pubblico, che ieri sera riempiva la sala, ha riso molto, apertamente o con i denti stretti, probabilmente unendo al gusto dolce del puro divertimento, il salato della denuncia o l’acida bile dell’indignazione. Ma anche coloro che, come chi vi scrive, preferiscono nutrirsi di riflessioni amare, hanno trovato ampiamente di che saziarsi.

 

Valter Chiappa

14 gennaio 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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