Giovedì, 16 Maggio 2024
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Figli di un Dio minore, per la prima volta in Italia. La bellezza della diversità

Recensione dello spettacolo Figli di un Dio minore, per la prima volta in scena in Italia, al teatro Sala Umberto di Roma, dal 10 al 22 novembre 2015

«Non si potrà mai comprendere veramente l’altro, il diverso da noi, ma si può tentare di andargli incontro e fare di tutto per capirlo». Sono le parole di Giorgio Lupano nell’intervista rilasciata a La Platea e che in Figli di un Dio minore interpreta James Leeds, un insegnante di logopedia in un istituto per sordi.

Lo spettacolo, in scena alla Sala Umberto dal 10 novembre, ha il merito di portare e offrire al pubblico tanti messaggi diversi tra loro, ognuno in grado di condurre lo spettatore all’essenza della storia: l’incomunicabilità.

Il primo messaggio è quello della diversità, intesa nel senso ampio del termine, che sul palco è rappresentata tra sordi e udenti. Il secondo è l’incomunicabilità, la difficoltà data dalla incomprensione tra due persone che parlano due lingue diverse, il terzo è l’integrazione di due mondi dissimili: uno fatto di rumori, suoni, musiche; l’altro di silenzi, di gesti, emozioni. 

Ma anche un mondo fatto di silenzi ha i suoi suoni, per comprenderlo basta poco. Gli ostacoli sono solo frutto di pregiudizi, di rinunce, di convinzioni distorte, di atteggiamenti di chiusura che non permettono alle persone di conoscersi, di integrarsi. Ed ecco dove nasce l’incomunicabilità: diventiamo estranei, alieni con i nostri simili, chiusi ognuno nel proprio mondo e nel proprio linguaggio comprensibile solo a noi stessi.

Il testo di Mark Medoff, portato in scena da Marco Mattolini, è una grande sfida. Il pregio di questo spettacolo sta proprio nell’affrontare tutte queste tematiche attraverso la cultura sorda. Siamo abituati ad “additare” come diverso chiunque appaia ai nostri occhi inferiore a noi (come fosse figlio di un Dio minore), in gran parte dei casi la diversità è data da un deficit fisio-psicologico, altre volte da una cultura che non è la nostra, che non è fruibile ai più. Ma i deficit non sono le culture, i difetti fisici, le religioni, le razze, ma la condizione mentale che ci porta ad agire e pensare in base a ciò che detta quello status. 

Nell’adattamento teatrale di Mattolini il fulcro del racconto non è tanto la storia d’amore tra James e Sara, così come concepita dalla versione cinematografica statunitense del 1980 interpretata da William Hurt e Marlee Matlin, ma l’integrazione fra comunità sorda e udente. L’intento è anche quello di mettere in scena uno spettacolo usufruibile ai non udenti.

Sara (interpretata da Rita Mazza) è una giovane donna, bella, intelligente e sorda dalla nascita. Ha un carattere forte, è spigolosa, introversa. Fiera della sua diversità si rifiuta di parlare perché, non avendo mai conosciuto il suono della voce umana, sa di non poter farlo bene come gli altri. Fa la cameriera presso l’istituto per sordi dove si è diplomata. Nonostante la dichiarata ostilità della ragazza ad ogni lezione di apprendimento (che si trascina da sempre, anche con i professori che hanno preceduto James) e integrazione comunicativa, Leeds non si arrende e lei lo mette ogni volta alla prova. Questi scontri/attenzioni tra il logopedista e l’allieva non sono viste di buon occhio né dal direttore né da due giovani sordi che vivono nell’istituto: Orin (che teme l’influenza del professore possa distogliere Sara dalla causa della difesa dei non udenti) e Lydia, che, infatuata di James, è gelosa del sentimento che lui nutre per Sara. Nonostante tutto i due finiscono per innamorarsi, ma la loro relazione sarà irta di ostacoli da superare.

Nel complesso, allo spettacolo non v’è nulla da eccepire. Bravissimi gli attori, tutti, con un Giorgio Lupano che ha il durissimo compito di reggere la pièce teatrale per due ore esprimendosi contemporaneamente a parole e nella lingua dei segni. Unica pecca è la scenografia costituita solo da un tavolo con due sedie, una lavagna e tre panche tutte bianche, componibili e scomponibili dagli attori sul palcoscenico durante il cambio delle scene (poche in realtà), essenziale per lo scandire del tempo che in Figli di un Dio minore attraversa le vite dei personaggi senza far rumore.

 

 

Costanza Carla Iannacone

 

13 novembre 2015

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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