Recensione dello spettacolo Il Ballo, in scena al Teatro Vascello dal 22 al 31 gennaio 2016
«La bellezza è verità, la verità è bellezza. Solo questo sapete sulla terra».
È così che ha inizio Il Ballo (tratto dall’omonimo romanzo di Irène Némirovsky), pièce teatrale riletta e reinterpretata da Sonia Bergamasco al Teatro Vascello, per la regia della stessa attrice che ne ha curato anche la drammaturgia.
Il palcoscenico è allestito di specchi, poco distante dal centro c’è un divanetto che accoglie la Bergamasco, pronta a calarsi nei panni dei cinque personaggi della vicenda.
Fulcro del racconto è il rapporto tormentato tra madre e figlia, Rosine e Antoinette. La prima è una ex segretaria e moglie di Alfred Kampf, un banchiere arricchitosi grazie ad una fortunata speculazione in Borsa, nonché padre di Antoinette. Quest’ultima è una quattordicenne che ha vissuto tutta la vita senza gli affetti familiari, senza amici e senza un amore. L’unica interlocutrice è Mrs. Betty, l’istitutrice inglese che le è stata affiancata per volere dei suoi genitori. Tutto comincia quando Rosine decide di dare un ballo, il biglietto da visita che le permetterà di entrare a far parte dell’alta società. Di umili origini, Rosine non aspetta altro: il ballo le permetterà di esaudire il suo desiderio di rivalsa e affermazione sociale. Per organizzare ciò non bada a spese, includendo nella lista degli invitati tutta la gente che conta, persino quell’invidiosa della cugina. L’unica ad esser esclusa è Antoinette, la quale, dopo quattordici anni di mancanza d’amore, vivrà questo divieto come l’ultimo affronto e diverrà l’artefice di una spietata vendetta.
Il bianco del vestito indossato da Sonia Bergamasco stona un po’ col contesto della storia. La scelta sicuramente è dettata dall’intento di sottolineare una nota di candore sottesa ai personaggi che si susseguono in questo gioco di specchi sul palcoscenico. Ma la vicenda è di tutt’altro stampo; ha un misto di crudeltà, di sadico, di vanità, di ipocrisia e, solo per ultimo, di tenerezza. La Bergamasco questo lo ha compreso bene, ed ecco il perché del suo vestito bianco. Nella sua “crudeltà” l’anima di Antoinette è quella di un uccello ferito a morte, privato della prima essenza della vita: l’amore. Spinta inconsciamente da questa smania d’affetto, la sua innocenza d’adolescente viene prevaricata da una furia cieca, da un odio mai sopito che scaturisce dalle azioni, dalle parole e, soprattutto, dai desideri degli adulti che vengono sempre anteposti a quelli della prole.
Anche Rosine ha uno spirito fragile. Vissuta ai margini della società per tanto tempo, anche lei si sente un’esclusa, una “vittima” della società (oltre a diventare, alla fine, vittima della figliastra); così come Alfred, che sembra esser quasi un burattino nelle mani di sua moglie e Mrs. Betty che subisce di continuo le angherie di Antoinette.
Tutti i personaggi del racconto hanno qualcosa di fragile – la similitudine con gli specchi ci sta tutta – ma è anche vero che tutti covano dentro di sé un misto di vanità e voglia di esser al centro dell’attenzione. Nel corso dello spettacolo l’attrice si veste e si spoglia della carta velina che ricopre gli specchi, segno questo che ci svela come tutto ciò che ci circonda abbia a che fare con le apparenze, con le immagini, con i sogni, con un mondo sconosciuto ai più e noto solo a noi stessi e che, difficilmente, riuscirà ad esser ben compreso all’esterno.
È questo il senso profondo de Il Ballo, uno spettacolo che Sonia Bergamasco ha saputo sviscerare bene in ogni dettaglio e in ogni sfumatura dei personaggi, e lo fa con una grazia e con un’eleganza che è fuori dal comune, ma che serve a raccogliere i “pezzi” di questi specchi e ricomporli, e per dirci che, in fondo, la vera bellezza è solo quella della verità.
Costanza Carla Iannacone
25 gennaio 2016