Mercoledì, 15 Maggio 2024
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Human: storie di ordinaria (dis)umanità

Recensione dello spettacolo Human in scena al Teatro Argentina dal 9 al 14 maggio 2017 

Uno spettacolo che inquieta, disorienta e pone domande, senza lasciare risposte. Perché, in realtà, ne lascia diverse e diversificate come i personaggi a cui le affida, paladini dei più inaspettati e differenti punti di vista, voci fuori dal coro che si interrogano su quella parola che dà il senso all’esistenza e allo spettacolo stesso: umanità, anzi Human

 

Eh no, non è un errore di stampa, ma il titolo della pièce che, dopo l’esordio dello scorso anno al Ravenna Festival, sta facendo il giro dei teatri italiani. Ideato da Lella Costa e Marco Baliani, interpreti oltre che autori dello spettacolo (il secondo anche regista), Human è il racconto dei migranti e dell’umanità profuga, ma anche di chi al di qua del Mediterraneo accoglie, rifiuta e si confronta con questa “diversità”. 

È una storia di contraddizioni e contrapposizioni, ideologiche, etniche, geografiche. Come quelle che separano i due giovani amanti Ero e Leandro, di cui narra il mito ovidiano e da cui prende avvio lo spettacolo. E poco dopo dividono un gruppo di giovani innamorati (Noemi Medas, David Marzi, Elisa Pistis e Luigi Pusceddu) di fronte alle immagini televisive di barconi stracolmi di uomini, donne e bambini. Ma solo per il tempo che basta a cuocere un piatto di pasta, perché tanto “se c’è la televisione non muoiono” e certe immagini non fanno più scalpore in una società abituata ad essere spettatrice passiva del dolore e della sofferenza altrui. Quante “foto perfette”, che sappiano immortalare il “momento giusto”, bisogna scattare per smuovere le coscienze dei governi? E quante fosse comuni del mare è lecito ignorare solo perché nessuna testata ne ha parlato? 

Il mare, fonte di speranza e vita per alcuni e di tragedia e morte per altri. Grazie all’abile gioco audiovisivo, curato da Paolo Fresu, Froncois Hamelin e Tommaso Contu, si riesce quasi a percepirne l’odore, lo stesso della paura e della morte di chi non ce l’ha fatta; si riesce a sentirne la forza, la stessa delle urla e delle richieste d’aiuto di chi è riuscito a salire su uno di quei barconi; e a vederne gli effetti, sugli stracci che le onde restituiscono, sempre, a riva e allo spettatore, grazie al suggestivo fondale e alla scenografia di Antonio Marras. Una distesa di abiti consunti, di ogni taglia e misura, uniti e tenuti assieme da un destino comune e dalla forza distruttiva del mare. 

Il mare, con le sue storie di arrivi e partenze mai facili, fa da collante all’interno di uno spettacolo che – come spiega lo stesso Baliani – “non è composto da una trama o da uno sviluppo drammatico circoscritto. Al contrario, è multiforme, costruito da tanti quadri a sé stanti che aprono e chiudono una situazione, senza rimandi a quella successiva, se non per analogie o per trascinamento”. Così si passa dalle sponde dell’Ellesponto che divide gli amanti di Ovidio ad un peschereccio che incrocia un barcone di migranti; dal racconto di una madre affamata che non riesce ad allattare suo figlio alla rievocazione del dipinto di Caravaggio Riposo durante la fuga in Egitto. Perché in fondo siamo tutti migranti, anche se per ragioni diverse. 

E in questo susseguirsi di dialoghi più o meno accorati, monologhi a volte ironici, altre strazianti, tra versi epici e citazioni colte, l’umanità e la sua stessa negazione spiazzano, turbano e mantengono desta l’attenzione dello spettatore, alle prese con dubbi, sensi di colpa e ammissioni di colpevolezza. Come quelli sollevati da una convincente Lella Costa nei panni di Tecla: una madre di famiglia veneta, poco aperta all’accettazione e alla conoscenza dell’altro, che sia nero (“anche se in fondo tutti pensano “negro”) o “terrone”. Non senza ironia. Perché un testo e uno spettacolo come questo, che ha tutti gli elementi del teatro civile, che vuole svelare luoghi comuni, ipocrisie e paure non sa rinunciare alla più grande forza della rappresentazione teatrale: “toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà delle immagini e la forza della poesia”. 

 

Concetta Prencipe

14 maggio 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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