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Formiche di Vetro Teatro - Lei non è... all’altezza

Recensione dello spettacolo Lei non è in scena al Formiche di Vetro Teatro dal 12 al 14 maggio 2017

Un confine scenico tracciato ordinatamente da una fila di foglie secche, una cosa fatta di lenzuola accartocciate in mezzo al palco e due funerei ceri devozionali a illuminare lo spazio del Formiche di Vetro Teatro. Non c’è di che stare allegri allo spettacolo di stasera: Luca Trezza porta in scena, nella sede della sua associazione, Lei non è. Da lui scritta e diretta, l’opera prende spunto dal motivo per cui Roland Barthes inizia a scrivere un diario – la morte della madre – lasciandosi suggestionare, ora qui ora là, dalla biografia e morte di Pasolini, da un tocco di Pavese e dal suicidio di Luigi Tenco.

È proprio sulle note di Vedrai vedrai, infatti, che i personaggi si presentano al pubblico: lui (Luca Trezza), non riesce ad elaborare il lutto per il fratello deceduto in guerra e la madre morta di conseguenza, lei (Francesca Muoio) passeggia da sola di sera nella speranza di incontrare, o dimenticare, il suo primo amore. I due riescono a rischiarare le ombre della rispettiva solitudine, giocano con il vento corteggiandosi per metafore letterarie, poi si concedono un istante di giusto abbandono fisico in un intimo albergo a ore. L’uomo, però, è ossessionato dall’idea di partire verso una guerra intellettuale, continuando a confondere la donna che ha incontrato per caso con l’amata madre e la sventurata Patria. Abbandonerà la prima, vagheggiando la seconda e tentando di omaggiare inutilmente la terza. La giovane, dal canto suo, rivivrà tutti i traumi e gli abusi che l’hanno condotta a quella notte fatale, decidendo che sarà l’ultima. Ma c’è ancora tempo per un estremo incontro, dove tira più forte il vento.

Lei non è, in fondo, è tutto ciò che non vorremmo più vedere a teatro: non solo per la trama che indugia nel melodramma e si crogiola in stereotipi da romanzo d’appendice ottocentesco, non solo per una recitazione manierata che poco o nulla giova all’immedesimazione del pubblico, ma soprattutto per la manifesta incapacità di porsi in maniera critica nei confronti del materiale che si sta andando a rappresentare. Il tema del poeta tormentato si risolve in maniera totalmente gratuita, mancando di fatto un’analisi psicologica che ne giustifichi gli atti e vada oltre “la mamma morta m’hanno alla porta della stanza mia”. Alla donna perduta non si risparmia nulla di quanto non già previsto da un qualunque lacrimevole copione, in un profluvio di patetico che va dalle violenze all’aborto, sprecando l’evidente talento di Francesca Muoio. Quando, infine, si introduce nel dialogo tra i due la riflessione sulla realtà virtuale fatta di superficialità e social network vien voglia di alzarsi e andarsene, tanto è inconsistente la drammaturgia. 

È bene, infine, precisare che il vero dramma non è quello di due persone che non riescono a farsi del bene, né quello che la società fa ai poeti, né ciò a cui è ridotta la Patria: l’autentica disgrazia è recitare per se stessi.

 

Cristian Pandolfino

14 maggio 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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