Mercoledì, 15 Maggio 2024
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Questa è casa mia: una rivendicazione dal terremoto de L’Aquila

Recensione dello spettacolo Questa è casa mia in scena al Teatro Studio Uno dall’11 al 14 maggio 2017

Il terremoto che ha sfregiato L’Aquila seminando morte, devastando il suo territorio e rendendo un inferno la vita di tantissimi sfollati è ancora una ferita aperta nel corpo d’Italia. Una ferita che fa fatica a rimarginarsi e la cui cicatrice è sempre più vistosa anche per il gran numero di scandali che ne hanno costellato la gestione: dalle indagini sull’allora capo della Protezione Civile - quel Guido Bertolaso che ha spostato il G8 da La Maddalena a L’Aquila, indagato per omicidio colposo e poi assolto – alla celeberrima e agghiacciante intercettazione telefonica di due imprenditori che sghignazzano immaginando le opportunità di guadagno da una simile catastrofe, passando per la ricostruzione e gli alloggi temporanei promessi dal Governo Berlusconi.

Un atroce dramma che, come spesso capita nel nostro Paese, finisce per somigliare a una tragica commedia: tanti sono i controsensi, le irresponsabilità, i paradossi.
Ed è in effetti questo il linguaggio scelto dal giovanissimo Alessandro Blasioli per scrivere, dirigere e interpretare Questa è casa mia nell’impresa - riuscita - di raccontare, denunciare e far vivere al pubblico quei giorni in cui il capoluogo abruzzese finì in ginocchio e cosa accadde dopo. Attraverso la tecnica del Teatro di narrazione e gli occhi della famiglia Solfanelli, l’attore evoca tutte le peripezie, il tentativo di elaborare il dolore e la strenua capacità di adattamento di chi non vuole arrendersi alle incontrollabili forze della natura, alle inefficienze dello Stato, al disumano classificare la casa di una vita a mero oggetto da abbattere mentre uomini, donne, vecchi, bambini diventano semplici numeri o lettere da smistare. Ma non solo: Questa è casa mia è anche la storia di un’amicizia viscerale oltre che un ritratto affettuoso, irriverente e dissacrante dell’Abruzzo, delle sue tradizioni millenarie, delle sue feste paesane e del suo folklore quotidiano. Blasioli, forte di un indubbio talento e della sua esperienza nella Compagnia Sasiski, riesce a ricreare sul palco una serie infinita di individui e tipi con l’ausilio del suo solo corpo e di una sedia, trasudando letteralmente amore, indignazione, ironia, ferocia, disperazione, mai rassegnazione. Quando, poi, la rievocazione si farà più complessa basteranno pochi e fondamentali oggetti di scena per rendere tutta la desolazione di una cosiddetta Zona Rossa, interdetta a chi ci è nato, cresciuto e non ha altro desiderio che di potervi tornare, definendola nuovamente casa.
Lo spettacolo ha anche il pregio di una drammaturgia perfettamente conclusa, in un viaggio circolare che guarda al passato proiettandosi nel futuro: basterebbe eliminare qualche personaggio o situazione secondaria, qualche informazione un po’ troppo tecnica e l’eccessivo riferimento a un famigerato gruppo musicale locale per regalargli anche un ritmo eccellente. Infine c’è il privilegio dell’irripetibilità del teatro: scegliere di andare a una prima comporta tante cose, anche l’emozione di chi è sul palco e trova tra il pubblico chi lo ha ispirato in maniera determinante. Capita, così, di assistere all’incontro tra l’attore, ridiventato un uomo, e l’amico trasposto suo malgrado sul palco: uno dei due ha gli occhi lucidi. Poi bevono, certamente non per dimenticare.


Cristian Pandolfino
12 maggio 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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