Venerdì, 13 Dicembre 2024
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La Vedova allegra a Trieste: la poesia prende la forma di Daniela Mazzuccato

Recensione di La Vedova Allegra in Concerto, rivisitazione storica del debutto al Teatro Filodrammatico di Trieste nel febbraio 1907 della famosa operetta di Franz Lehár in scena al Verdi di Trieste il 3 giugno 2023

 

Trieste, con una sinergia che coinvolge il comune, la Fondazione del Teatro Verdi e l’Associazione Internazionale dell’Operetta Friuli Venezia Giulia, riapre coraggiosamente all’operetta.  Dopo anni di oblio, legati agli alti costi delle produzioni, ritorna  il glorioso festival dedicato a questo genere, così apprezzato dal pubblico, ma così complesso da mettere in scena. La rassegna prevede tre titoli: ‘ Il Paese dei Campanelli’, dall’11 al 18 giugno ; ‘Orfeo all’Inferno’, dal 30 giugno  al 9 luglio ed il titolo  iniziale: ‘La Vedova Allegra’, proposta in forma di concerto.

Regista di tutti gli spettacoli Andrea Binetti, impegnato anche come cantante in ogni allestimento ed anche autore della revisione dei testi. Cominciamo con il dire che la tenacia che il cantante triestino mette nel difendere e promuovere l’Operetta è sicuramente encomiabile. La sua è una azione continua, determinata, con degli obiettivi chiari. Ha un suo pubblico che lo segue, che in questo caso ha gremito il teatro, apprezza ogni sua mossa, ride alle battute, applaude alla sua entrata in scena.

Certamente è una di quelle figure che si apprezzano o si detestano. Per ognuna delle posizioni ci sono ragioni: a seconda del gusto di chi guarda può essere carismatico o gigione, avere ancora una voce notevole o gonfiare esageratamente i suoni, essere il motore dello spettacolo o risultare prevaricante. Forse dopo questa sorta di anno zero sarà importante che gli organizzatori  facciano delle scelte precise sul taglio da dare alla rassegna, perché la convivenza fra filologia e pop è sempre complessa. Il teatro ha bisogno di pubblico, i festival di ragioni culturali. Trovare il giusto equilibrio fra i due estremi sarà complesso ma sicuramente offrirà una chiave vincente.

Ma torniamo allo spettacolo.L’idea di una ‘Vedova’ in forma di concerto lascia abbastanza increduli. Ancor più se è lo spettacolo con cui si vuole far partire una gloriosa tradizione. Ma in questo caso c’era una spiegazione plausibile: si voleva celebrare la prima edizione  triestina di questo titolo, avvenuta nel 1907 al Rossetti.  

Quello cui abbiamo assistito è stato uno spettacolo strano, un riassunto della partitura, che in un’ora ed un quarto ripercorre le vicende parallele di Hanna Glavary e  della cantante Mila Theren, con una selezione dei brani infarcita, come costume dei recenti lavori di Binetti, di tante informazioni storiche , quasi un  documentario con musica. In questa serata il titolo di Lehar risultava, a conti fatti, una sorta di citazione, non il fine ma il mezzo della messa in scena, che metteva in evidenza luci ed ombre. Certamente non è risultata luminosa la direzione di  Romolo Gessi , che ha guidato una orchestra spesso sovrabbondante nei suoni e che pareva non particolarmente coinvolta. 

La regia aveva collocato sul palcoscenico, vuoto ed animato da proiezioni con documenti storici e fotografie d’epoca , sia gli  orchestrali che il coro. Sicuramente  questo ha reso complesso l’equilibrio sonoro della serata e penalizzato l’ascolto delle voci, alcune decisamente interessanti, peraltro costrette a cantare in posizioni non sempre fortunate acusticamente. Spostare le masse non è mai un trasferimento solo fisico. Vuol dire mutare le condizioni di ascolto,  rendere psicologicamente più fragili gli organici, cambiare radicalmente il rapporto con gli interpreti. Il coro, diretto da Paolo  Longo, lontanissimo dal boccascena, in alcune occasioni è sembrato forzare i suoni, forse temendo di non essere udito.

Sicuramente l’effetto visivo da tragedia greca lascia stupiti, ma funziona quando i coristi evocano le contestazioni patriottiche montenegrine. In generale, per tutti,  la sensazione è che qualche prova in più avrebbe aiutato una più brillante riuscita musicale della serata. Lo spettacolo  prevedeva nell’affollatissimo boccascena anche due coppie di ballerini, presenze volenterose, ma certo non fondamentali alla narrazione. Le coreografie di Noemi Gaggi forse cercavano di evocare il profumo di certi ambienti festaioli, ma  in sostanza risultavano riempire lo spazio con vistosi movimenti, coordinati in modo insolito.

Quando  Hanna intona ‘ Vilja’, poi, la presenza di un balletto che racconti la vicenda ottiene il solo risultato di togliere l’attenzione dall’interprete e dall’aria, che sicuramente avrebbe meritato ben altre atmosfere per una pagina così complessa.  Se si voleva rendere comprensibile la storia, notissima, forse sarebbero stati più utili i sovratitoli  ed una ambientazione rarefatta. Ma ovviamente anche questa osservazione che rimanda al dualismo di giudizio su Binetti di cui parlavamo prima e che non ha una risposta definitiva. Passando agli interpreti, piacevole il contributo di Alessio Colautti come Njegus, che ha  della sua una perfetta conoscenza del pubblico triestino e dei suoi gusti, ma anche dei magnifici tempi scenici, che gli permettono di unire eleganza ed ironia, senza scivoli o gigionerie da avanspettacolo.

Gualtiero Giorgini era un credibile e compassato Franz Lehar. Gillen Munguia cantava la parte di Camille de Rossilon. Figura elegante, voce interessante, con qualche suono che tendeva ad arretrare, ma difficile dire se era emozione, qualche difficoltà a coordinarsi con l’orchestra o solo un’impressione.

Molto buona l’intesa con Federica Vinci, soprano triestino che ha confermato una vocalità di pregio, in qualche passaggio penalizzata dai disequilibri sonori, colori notevoli e marcate capacità sceniche. Saggia la scelta di non caricare il suono per essere più udibile, perché si sarebbe snaturato un ruolo tutt’altro che banale. Interpretare quella parte davanti alla maggior Valencienne italiana di sempre avrebbe intimorito chiunque, invece il personaggio è emerso benissimo, anche nelle simpatiche coreografie eseguite con eleganza. Naturalmente la trama toglieva momenti fondamentali per la costruzione del ruolo ed in questo caso  ne è uscito un personaggio intenso, in alcuni momenti più malinconico che frizzante, quasi che fosse l’unica, nella recita triestina del 1907, a sentire l’odore della Guerra che stava arrivando. La signora Pasternak era una Glavari chiamata più a cantare che ad interpretare la parte, perché di fatto la narrazione era monca di molti passaggi determinanti . Riesce a farlo raccogliendo il plauso della sala, superando le difficoltà della partitura e guadando quelle dell’allestimento.

Su Binetti cantante impossibile non notare la tendenza ad esibire la voce, caricando i suoni. Una scelta apprezzata dai suoi fan che gli tributano grandi applausi, ma che certo non brilla né per lavoro sulla parola, che nell’operetta è determinante, né per misura nei pezzi d’insieme, nei quali sarebbe stato magnifico che sull’interprete avesse  avuto il sopravvento il regista: quanta magia avrebbe regalato alla sala se il suo ‘Tace il labbro’ fosse stato a fior di labbra invece che così muscolare o se, addirittura, ci fosse stato il coraggio, visto che comunque in questo spettacolo di filologico non c’era nulla, di fare un passo indietro e cedere la parte a Cosotti, facendo si che la Poesia entrasse a far parte della serata.

Max Renè Cosotti ha regalato una prova di grandissimo valore. Perfettamente in parte, un po’ in difficoltà fisicamente,  aveva saputo sublimare gli acciacchi, trasformando quello che per un altro sarebbe stato un impedimento in un punto di forza del suo Barone Mirko Zeta, personaggio che il glorioso tenore ha saputo indossare come un guanto, cantando con sicurezza la parte, mostrando ancora un apprezzato controllo della voce, un suono sicuro ed un uso sapiente del diaframma. I tempi comici di Cosotti sono una lezione di teatro. Gli sguardi, gli accenni, l’uso dei toni della voce  nella recitazione, la capacità di entrare con le battute in maniera mai scontata hanno entusiasmato.

Rimane Daniela Mazzuccato, che ha superato i sessant’anni di carriera, avendo esordito come genietto, poco più che bambina, in un ‘Flauto Magico’ alla Fenice nel 1962 e ci stupisce ogni volta. In scena per tutto lo spettacolo, recitando la parte lunghissima di Mila Theren, imparata per  l’unica recita prevista,  è stata il vero motore della serata. 

Sempre bellissima, credibile, partecipe, ha pesato ogni parola, riuscendo a dare spessore al soprano dei primi del Novecento. Il suo  sorriso ha raccontato la superata paura di disordini alla prima triestina, i gesti misurati delle mani hanno tratteggiato l’imbarazzo del soprano a spiegare a Lehar che i patrioti montenegrini non avevano torto a lamentarsi, la misura nei movimenti ha mostrato bene quale sia la differenza fra colorato clamore ed eleganza.

Alla fine ha fatto quello che tutti aspettavamo: ha preso il posto della Pasternak ed ha cesellato dal par suo un indimenticabile ‘Tace il labbro’, inerpicandosi sul pentagramma incurante degli annidi carriera, con la voce tersa come un sole all’alba, che correva sicura e gentile in tutto il teatro.  Ha  raccontato di passione e dedizione, di sacrifici e sorrisi, di poesia e di amore, di misura e delicatezza. 

Ha dato un senso all’esserci ritrovati ad ascoltare un ‘opera che non c’era. Siamo entrati pensando di ascoltare la ‘Vedova Allegra’, sia usciti ebbri dell’emozione di avere ricevuto una carezza dall’Arte vera. Alla fine, tanti applausi, alcuni sollecitati dall’istrionico Binetti  ed il bis, eseguito mentre parte del pubblico usciva, di una caciarona ‘Donne  donne’, a sottolineare ancora una volta il dualismo di una serata che ha oscillato fra poesia sublime ed effetto festa paesana. Apoteosi per la Signora Mazzuccato.

 

Gianluca Macovez

5 giugno 2023

 

informazioni

LA VEDOVA ALLEGRA IN CONCERTO
Una rivisitazione storica del debutto al Teatro Filodrammatico di Trieste nel febbraio 1907 della più famosa operetta di Franz Lehár

Ed. musicali: Suvini Zerboni (Sugar Music)
Spettacolo in collaborazione con l’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DELL’OPERETTA Friuli Venezia Giulia

 

Direttore ROMOLO GESSI
Regia ANDREA BINETTI
Coreografie NOEMI GAGGI

Personaggi e interpreti
Hanna Glawari SELMA PASTERNAK
Danilo Danilowitsch ANDREA BINETTI
Barone Mirko Zeta MAX RENE’ COSOTTI
Valencienne FEDERICA VINCI
Camille de Rossillon GILLEN MUNGUÍA
Njegus ALESSIO COLAUTTI
GUALTIERO GIORGINI nel ruolo di Franz Lehár
Con la partecipazione straordinaria di DANIELA MAZZUCATO nel ruolo di Mila Theren

Maestro del Coro PAOLO LONGO
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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