Venerdì, 13 Dicembre 2024
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‘IL FLAUTO MAGICO’ INCANTA TREVISO al Teatro ‘Mario Del Monaco’

Riuscita edizione del capolavoro mozartiano al Teatro ‘Mario Del Monaco’

 

Il Teatro “Mario Del Monaco” di Treviso presenta, come secondo titolo della stagione, ‘Il Flauto Magico’ di Mozart, eseguito in lingua originale.

Prima di scendere nel dettaglio dello spettacolo, alcune precisazioni importanti.

Innanzitutto quello trevigiano è un teatro di tradizione.

Ovvero una di quelle realtà non inserite nel novero delle Fondazioni, chiamata a svolgere una attività di valorizzazione delle voci nuove, garantire ai cantanti quella formazione sul palcoscenico che è necessaria per maturare una seria professionalità, per capire come scegliere i titoli da mettere in repertorio, per vivere quella gavetta che è premessa preziosa all’autentico successo.

Di fatto, però, le realtà che hanno mantenuto questa missione sono sempre meno.

Anche in provincia appaiono spesso  nomi luminosissimi, che se non si fanno sostituire arrivano all’ultimo momento, con spettacoli che già conoscono, rodatissimi, di importazione e che certo non lasciano ai giovani parti rilevanti.

Le serate diventano occasioni di ribalta per il pubblico ‘eccellente’,  in un misto fra mondialità e gossip, ma l’aspetto artistico spesso scivola in secondo piano.

Invece Treviso porta avanti, con determinata ostinazione , una politica  costruttiva: da 51 anni  nella cittadina veneta si tiene il “Concorso internazionale per cantanti Toti Dal Monte”, che mette in palio le scritture per uno specifico titolo della successiva stagione lirica. Questa volta era, appunto, ‘Il Flauto Magico’.

Si fanno le audizioni, le selezioni, l’assegnazione dei ruoli. Solo quelli per i quali si individuano le voci adatte. Non importa se in questo modo non si copre l’intero cartellone: è importante che ci sia coerenza, che il teatro sia certo delle scelte fatte, che i cantanti respirino la fiducia di cui hanno bisogno.

E poi, con il supporto di professionisti affidabili e che condividano il senso dell’operazione, si va in scena

Sono tantissimi i grandi interpreti che sono usciti da questa rassegna, peraltro amatissima da Del Monaco cui il teatro è dedicato.

Qualche anno fa,  forse, c’è stato un po’ di appannamento, come spesso succede nelle lunghe tradizioni, ma con l’entrata in campo di Stefano Canazza, che prima di essere nominato   direttore artistico del Teatro Comunale era stato direttore del Conservatorio di Castelfranco Veneto, si ha la netta sensazione del coraggio di scommettere sul futuro  dell’opera, ma anche della cittadina veneta che potrebbe ritornare quel  prezioso riferimento che era per la scena lirica nazionale.

In effetti arrivando in si coglie un’atmosfera di giovanile entusiasmo anche fra le maestranze, che è cosa rara. L’attenzione al pubblico accolto con un sorriso, ascoltato nelle più strane richieste, la maschera che passa per i palchi a distribuire il programma, il coinvolgimento della direzione anche nelle più quotidiane questioni, come risolvere un errore nell’assegnazione dei posti, fa intuire da subito un’ aria differente, gioiosa. Che non è cosa ne’ comune, ne’ da poco.

Certo poi ci vuole lo spettacolo.

Ma anche qui le scelte sono precise.

Un regista con le idee chiare, che firma anche scene e costumi: Paolo Giani Cei.  I tempi delle prove sono stati brevi, ci sono state delle defezioni importanti a partire dal famosissimo Markus Werba che avrebbe dovuto essere il mentore dei giovani artisti, forte della sua esperienza, che all’ultimo ha rinunciato, ma tutto è andato avanti con grande professionalità. 

La soluzione scenica è molto efficace. Lo è tecnicamente perché va a costruire quella ‘scatola  sonora’ così importante per cantanti e pubblico.

Ma lo è  ancora più visivamente. Una serie di pilastri, ruotanti e mobili, con decori differenti a seconda della faccia mostrata alla sala, un soffitto luminoso a neon ed un grande fondale con un occhio, sono gli elementi della scenografia, che un po' per la possibilità di mobilità, un po’ per le luci sapientemente realizzate, accompagnano efficacemente lo spettatore in questo viaggio iniziatico.

Che ognuno può compiere sul livello che vuole. Perché ci si può fermare all’aspetto meramente decorativo, pienamente soddisfatto dalla bellezza delle strutture. 

Ma si può andare oltre, cercando significati e significanti. Che qui abbondano, senza mai imporsi con tracotanza.

Il senso dell’incertezza, delle vacuità, suggerito dal fatto che la struttura architettonica, apparentemente solidissima, non poggi realmente sul pavimento,  metafora dell’inconsistenza della sostanza e del trionfo dell’apparenza.

I pilastri ruotano sul loro asse come le scene del teatro greco, a superare il tempo e lo spazio, per proclamare l’universalità dell’amore.

Il grande occhio echeggia Dalì, Bunuel, ma anche l’Illuminismo, in un continuo dialogo fra interiorità e razionalità, fra conscio ed inconscio. Il discorso potrebbe andare avanti a lungo, proprio  perché il lavoro era ricchissimo di idee, ma certo gli esempi sono più che bastanti per dimostrare che eravamo lontanissimi da un allestimento scontato e di maniera.

Interessante anche il fatto che lo spettacolo fosse in parte contemporaneo, con una Pamina vestita con pantaloni a zampa d’elefante e  che sia stato accolto entusiasticamente da tutto il pubblico.

Perché il problema delle messe in scena ‘contemporanee’ non è il rispetto delle date del libretto, ma del pubblico, dei cantanti, della storia.

Paolo Giani Cei ha firmato anche i costumi, autentici gioielli, con citazioni dei dipinti di Moreau, delle tuniche dei preraffaeliti, ma anche con reali sculture tessili, sontuose nell’effetto, ma leggere e funzionali nei movimenti. 

Certo questo ancora non basta. 

Ci vuole la musica.

Treviso ha puntato sul Coro Lirico Giovanile A.LI.VE. di Verona. Un organico nuovo, di giovani dai 15  fino ai 30 anni, preparato e diretto  dal Maestro Paolo Facincani. 

Una mossa importante, perché introdurre linfa nuova nel mondo del teatro è fondamentale e, ascoltati i risultati, una scommessa vinta. Ci sono margini di miglioramento, qualche aggiustamento, ma la prova è stata di grande qualità e si percepivano quella passione, quella voglia di uscire dalla routine, che spesso latitano in realtà più titolate.

L’Orchestra di Padova e del Veneto ha suonato con intensità e grande tecnica sotto la guida di una bacchetta di valore come quella del Maestro Giuliano Carella.

Musicista di indiscutibile talento e dalla prestigiosissima carriera internazionale, da qualche anno alla direzione artistica dei Solisti Veneti, ha offerto della partitura una lettura attenta ed appropriata. Un viaggio per tappe, esaltando gli aspetti musicali, non caricandoli ma sublimandoli, ottenendo quella pulizia che è propria del vero Mozart.

Nel suo racconto musicale convivevano narrazioni mitiche e razionalità, sogno e quotidianità, in un gioco di equilibri che solo uno studio approfondito  e ponderato possono ottenere.

Carella è anche attentissimo a sostenere gli interpreti, mettendoli nelle condizioni di offrire il loro meglio e, passando alle voci, diciamo subito che la qualità generale è stata molto alta.

Non per un’opera con un cast giovane, ma in termini assoluti. Oltretutto i ruoli che forse mostrano qualche criticità non fanno parte del gruppo dei vincitori del cinquantunesimo concorso internazionale per cantanti Toti Dal Monte, a riaffermare il valore di questa competizione, ma anche la marcata differenza rispetto agli altri concorsi che sembrano nascere come funghi ovunque e che spesso non portano a sbocchi professionali.

I giovani innamorati venivano entrambi dal concorso: Andrew Kim ed Aitana Sanz.

Il Tamino di Kim è una autentica sorpresa: un cantante dall’impostazione solidissima, una voce dal colore piacevolmente virile, ma capace di raggiungere senza difficoltà le note più alte, senza perdere né peso, né ricchezza delle sfumature. Gli acuti sono limpidi e potenti, i fiati lunghi. Interpreta la parte con garbo e misura, senza ostentazione e senza sforzo. Un interprete che merita di essere tenuto in considerazione anche per un repertorio otto/novecentesco. 

La Sanz è una Pamina giovane, sia nella piacevole figura che nella voce fresca e dal colore decisamente acattivante. Si muove con grande disinvoltura e canta  con sicurezza. Alle volte si colgono delle lievi asperità nelle note alte, ma si tratta di un peccato veniale, per una parte così articolata e con una scrittura tanto impegnativa, che sa gestire senza errori o sfasature.

Papageno è un cantante dalla ventennale carriera: Rodion Pogosov, che cesella la parte sia scenicamente che vocalmente. Divertentissimo, senza essere mai sfacciato, con un buffo costume stile tirolese ed una chioma lunga e  ricciuta, si aggira per il palcoscenico con aria scanzonata. Ogni movimento ha il giusto riscontro musicale, ogni risata un senso narrativo, riesce ad essere ironico ma rigoroso, disincantato ma rispondente alle richieste della partitura.

Vocalmente sicuro, con una voce omogenea, solida negli acuti , ampia e ricca di colori è l’autentico deus ex machina della vicenda ed aver scelto un artista di tanta esperienza per sostenere i colleghi più giovani ed inesperti è prova ulteriore dell’attenzione del teatro trevigiano  verso cantanti e pubblico.

Accanto a lui Anna Battaglia-Vedovato, vincitrice del Toti dal Monte,  è una fresca Papagena, che si muove con  appropriatezza .

Il basso polacco Jerzy Butryno brilla per una figura  ieratica, ed una sicura impostazione vocale , ma il suo Sarastro non ha quelle sfumature profondissime, quei toni della notte che la parte richiederebbe.

Astrifiammante è interpretata Maria Sardaryan. La sua Regina della Notte, dopo una prima aria più melanconica che pirotecnica, spicca nella seconda, nella quale supera con sicurezza le difficoltà tecniche della partitura grazie ad acuti e soprattutto sovracuti smaglianti e fiati  lunghi.

 Il suo personaggio, però, manca della autorevolezza necessaria: più bella che carismatica, più intrigante che volitiva, non riesce a trovare il giusto peso narrativo, quell’impatto forte che, nonostante la brevità dei suoi interventi, la renda figura centrale della vicenda.

Le tre dame sono  interpretate con bravura da Vittoria Brugnolo, Daiana Aksamit ed Eleonora Filipponi, tutte vincitrici del concorso Toti Dal Monte.

Scenicamente affiatate, risultano ben coordinate senza rinunciare ad una caratterizzazione personale.

Vittoria Brugnolo ha voce dal bel colore, ricca di sfumature ed estensione sicura. Si muove con disinvoltura, offrendoci l’immagine di una donna arguta, determinata, elegante.

Daiana Aksamit, mezzosoprano giovane ma già in carriera soprattutto nei teatri austriaci, è la seconda: più severa e rigorosa nell’atteggiamento, può contare su uno strumento vocale omogeneo, piacevole nella tavolozza, non particolarmente scura, sicuro negli acuti.

Chiude la terna Eleonora Filipponi, voce dai colori contraltili, ricca di sfumature, potente nei volumi, sicura nella tecnica. La Filipponi brilla anche per verve in palcoscenico: la  sua dama è la più diretta, sanguigna, perfino sfacciata, senza mai trascendere. Speriamo di ascoltarla presto in un ruolo  ancor più rilevante, che consenta di mettere in evidenza tutte le sue qualità.

Monostatos è Marcello Nardis, che trova i giusti colori per un personaggio complesso: una tessitura altra, ma un ruolo che deve rendere il senso della sgradevolezza. Una parte condannata a non incontrare il bello in scena ed  a narrare il fastidio.

Alessandro Ravasio nel duplice ruolo di Oratore/Primo sacerdote mette in risalto uno strumento interessante, una tecnica appropriata, note alte sicure, volume  cospicuo che amministra con corretta misura. Dalla sua anche  una bella capacità scenica 

Nie Ling (Secondo Sacerdote/Primo Armigero) e Federico Abbiati (Secondo Armigero) sono affidabili vocalmente e piacevoli scenicamente. 

I tre Fanciulli sono interpretati con determinazione dalla voci bianche di Khloe Kurti, Giovanni Maria Zanini, Bianca Tessitore e Lorenzo Pigozzo.

Alla fine, per tutti, senza distinzioni, applausi copiosissimi da un teatro esaurito in ogni ordine di posti e con una importante componente giovanile: oltre quindici minuti, con acclamazioni e standing ovation di buona parte della platea. Un risultato importantissimo, che dimostra che la magia del teatro dell’opera è viva, ma va nutrita di passione, entusiasmo e competenza. A Treviso è accaduto.

 

Gianluca Macovez

26 novembre 2024

 

 

informazioni

Treviso, Teatro Comunale ‘Mario Del Monaco’, stagione d’opera e balletto 2024-25

 

DIE ZAUBERFLÖTE di Wolfgang Amadeus Mozart

Opera tedesca in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder

 

ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO

Direttore d’Orchestra Giuliano Carella

CORO LIRICO GIOVANILE A.LI.VE. DI VERONA

Maestro del Coro Paolo Facincani

Regia, scene e costumi Paolo Giani Cei

 

Personaggi e interpreti

 

Sarastro                                Jerzy Butryn

Tamino Andrew Kim

Pamina Aitana Sanz

Papageno Rodion Pogosov

Papagena Anna Battaglia-Vedovato

Astrifiammante, La Regina della Notte Maria Sardaryan

Prima Dama Vittoria Brugnolo

Seconda Dama Daiana Aksamit

Terza Dama Eleonora Filipponi

Monostatos Marcello Nardis

Oratore/Primo sacerdote Alessandro Ravasio

Secondo Sacerdote/Primo Armigero Nie Ling

Secondo Armigero Federico Abbiati

Tre fanciulli Selene Pozzerle, Eva Lammar Cadete, Bianca Tessitore

Treviso, 24 novembre 2024

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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