Venerdì, 29 Marzo 2024
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TREND nuove frontiere della scena britannica – XVII edizione. Al teatro Belli dal 18 ottobre – 22 dicembre 2018

nuove frontiere della scena britannica – XVII edizione

 

festival a cura di Rodolfo di Giammarco

 

18 ottobre – 22 dicembre 2018

 

Teatro Belli

 

 

18 ottobre

THE CORDELIA DREAM

di Marina Carr

con Massimo De Francovich e

Roberta Caronia

reading a cura di Massimo De Francovich

Trilly Produzioni

 

 

 

dal 24 al 27 ottobre

MY BRILLIANT DIVORCE

di Geraldine Aron

con Francesca Bianco

regia Carlo Emilio Lerici

produzione Teatro Belli 

 

 

 

2 / 3 / 4 novembre

BU21

di Stuart Slade

con Daniela Duchi, Mario Cangiano, Fabrizio Costella, Valentina Favella,

Silvia Napoletano, Francesco Patané

 regia Alberto Giusta

produzione Teatro Stabile di Genova

 

 

13 / 14 / 15 novembre

NOT NOT NOT NOT NOT

 ENOUGH OXYGEN

di Caryl Churchill

con Aglaia Mora, Xhulio Petushi,

Marco Spiga

regia Giorgina Pi

produzione Angelo Mai/ Bluemotion/369gradi

in collaborazione con Sardegna Teatro

20 / 21 ottobre

JORDAN

di Anna Reynolds e Moira Buffini

con Federica Rosellini

regia Francesca Manieri e

Federica Rosellini

produzione Ariel dei Merli

in collaborazione con Trilly Produzioni

 

 

dal 29 ottobre al 1 novembre

IVAN & THE DOGS

di Hattie Naylor

con Lorenzo Lavia

regia Massimiliano Farau

produzione La Compagnia dei Masnadieri / Garage Zeami

 

 

dall’8 all’11 novembre

EN ATTENDANT BECKETT

un percorso multimediale ideato da

Glauco Mauri e Roberto Sturno

con la collaborazione di Andrea Baracco

produzione Compagnia Mauri Sturno

 

 

 

 

16 / 17 / 18 novembre

ALL THE THINGS I LIED ABOUT

di Katie Bonna

con Elisa Benedetta Marinoni

regia Alessandro Tedeschi 

produzione Bottega Rosenguild e

Caracò Teatro

 

 

 

dal 20 al 24 novembre

KILLOLOGY

di Gary Owen

con Stefano Santospago, Emiliano Coltorti e Edoardo Purgatori

regia Maurizio Mario Pepe

produzione la forma dell’acqua

 

 

dal 30 novembre al 3 dicembre

HARROGATE

di Al Smith

con Marco Quaglia e Alice Spisa

regia Stefano Patti

Argot Produzioni

in collaborazione con 369gradi

 

 

10 / 11 / 12 dicembre

THE BOGUS WOMAN

di Kay Adshead

con Jasmine Volpi

regia Guglielmo Guidi

GEKON productions Francesco Dainotti

 

 

 

16 dicembre

CONSERVATORY

una lettura a due voci

di Michael West

con Elena Bucci e Marco Sgrosso

lettura a cura di Elena Bucci e

Marco Sgrosso

produzione Le Belle Bandiere

26 / 27 / 28 novembre

A BEHANDING IN SPOKANE

di Martin McDonagh

Andreapietro Anselmi, Alice Arcuri,

Maurizio Bousso, Denis Fontanari

regia Carlo Sciaccaluga

produzione ariaTeatro

 

 

dal 5 all’8 dicembre

GROWTH

di Luke Norris

con Francesco Aricò, Giulia Trippetta e Pavel Zelinskiy

regia Silvio Peroni

produzione Pierfrancesco Pisani

 

 

14 / 15 dicembre

YELLOW MOON

di David Greig

con Vinicio Marchioni, Marina Occhionero Luca Tanganelli, e Giulia Trippetta

mise en espace a cura di Mario Scandale

produzione Ginkgo Teatro

 

              

17 / 18 / 19 dicembre

THE PRUDES

di Anthony Neilson

con Carlotta Proietti e Gianluigi Fogacci

regia Gianluigi Fogacci

produzione Politeama srl

 

20 / 21 / 22  dicembre

LUNGS

di Duncan Macmillan

con Federico Zanandrea e Francesca Fioretti

regia Federico Zanandrea

produzione Il Mecenate

 

 

CICLO PROIEZIONI DIGITAL THEATRE

 

25 ottobre ore 18.00 – BEAUTIFUL THING di Jonathan Harvey

26 ottobre ore 18.00 – PARLOUR SONG di Jez Butterworth

27 ottobre ore 18.00 – A DISAPPEARING NUMBER di Simon McBurney

 

TREND nuove frontiere della scena britannica


Chi ha paura di Sarah Kane? s’intitola una mostra di Intercity London al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, dove conoscemmo di persona la rivoluzionaria, potente, radiosa Sarah Kane, di cui un autore radicale come Mark Ravenhill disse che sarebbe stata riconosciuta da Sofocle, da Shakespeare e da Racine, e di cui il grande Edward Bond scrisse post mortem che Sarah era un classico, destinata ad affrontare l’inesorabile, l’assenza di significato nel nostro teatro, nelle nostre vite e nei nostri falsi dèi. Ora che inizia Trend 2018 mancano circa quattro mesi al 20 febbraio 1999, al ventennale della morte per suicidio di Sarah Kane, che coi suoi cinque testi ha sconvolto la drammaturgia inglese e mondiale, e sentiamo che il nostro 17mo calendario bimestrale delle Nuove Frontiere della Scena Britannica al Teatro Belli, col sostegno del Ministero dei Beni Culturali, della Regione Lazio e di Roma Capitale, le deve traumi di storie, terremoti di senso e tsunami linguistici, eppure attorno a noi, fatta salva la memoria della Limonaia, e una sinfonia per voce sola che Enrico Frattaroli ha ricavato da 4.48 Psychosis, non registriamo la necessaria tensione. Non stupiamoci. Anche tutte le interessanti odierne scritture teatrali d’Oltremanica sembrano ritrarre la sindrome di un’incoscienza critica, varie forme di afasia mnemonica, un’inclinazione a derubricare e silenziare optando per l’oblio, per l’astensione. Una significativa nuvola di tacita non belligeranza sta inquinando più testi ritraenti famiglie, coppie, relazioni di rancorosi consanguinei, persone colpevoli di infanticidio, genitori di figli che hanno scelto di morire, mogli con violenze nascoste, indecisi creatori di nuova prole, e a questa accezione potremmo annettere lavori come The Cordelia Dream di Marina Carr, Jordan di Reynolds-Buffini, My Brilliant Divorce di Geraldine Aron, Conservatory di Michael West, The Prudes di Anthony Neilson, Lungs di Duncan Macmillan. Una cancellazione di identità, un’omologazione delle fake news, un immaturo rapporto coi propri genitali, un versatile transfert a seconda degli impatti femminili, un rebus di origini nel chiedere asilo, un’ereditaria insicurezza a causa d’un padre scomparso, ecco la casistica dei problemi di personalità e dei rapporti col passato in Ivan & the Dogs di Hattie Naylor, All the Things I Lied About di Katie Bonna, Harrogate di Al Smith, Growth di Luke Norris, The Bogus Woman di Kay Adshead, Yellow Moon di David Greig. Poi nei 17 titoli che abbiamo quest’anno a Trend compaiono quattro copioni legati da un presupposto di emergenza, di situazione al limite, di orrore, di panico: parliamo di BU21 di Stuart Slade, Not Not Not Not Not Enough Oxygen di Caryl Churchill, Killology di Gary Owen, A Behanding in Spokane di Martin McDonagh. Non ascriviamo a tendenze contemporanee, ma a una straordinaria zona di drammaturgia moderna il pacchetto di atti unici del percorso multimediale En Attendant Godot ideato da Glauco Mauri e Roberto Sturno con la collaborazione di Andrea Baracco, comprendente Prologo, Samuel Beckett, Atto senza parole e L’ultimo nastro di Krapp. I registi e i curatori coinvolti sono Massimo De Francovich, Francesca Manieri e Federica Rosellini, Carlo Emilio Lerici, Massimiliano Farau, Alberto Giusta, Mauri-Sturno-Baracco, Giorgina Pi, Alessandro Tedeschi, Maurizio Pepe, Carlo Sciaccaluga, Stefano Patti, Silvio Peroni, Guglielmo Guidi, Mario Scandale, Bucci-Sgrosso, Gianluigi Fogacci, Federico Zanandrea. E ci sono tre proiezioni cinematografiche: Beautiful Thing di Jonathan Harvey, Parlour Song di Jez Butterworth, Desappearing Number di Simon McBurney.

Rodolfo di Giammarco

18 ottobre

THE CORDELIA DREAM
di Marina Carr
traduzione Valentina Rapetti
con Massimo De Francovich e Roberta Caronia
reading a cura di Massimo De Francovich
Trilly Produzioni


Da un po' di tempo andavo cercando una commedia contemporanea (tempo presente, come indica Marina Carr) che parlasse di noi in modo un po' scorretto, che cercasse di dire verità anche sgradevoli sui rapporti umani, che tenesse conto anche della mia età e di quelle che io ritengo essere le mie inclinazioni recitative più precise e nascoste e qui, naturalmente, mi potrei benissimo sbagliare. Comunque, la mia ricerca non dava risultati, finché, lo scorso giugno, mentre recitavo al Teatro Greco di Siracusa l'Edipo a Colono di Sofocle, mi fu inviato "Il sogno di Cordelia" di Marina Carr, commedia in due atti, rappresentata a Londra una decina di anni fa. Marina Carr è una scrittrice, poetessa e drammaturga irlandese molto importante in Irlanda e in Inghilterra, ma rappresentata anche in Germania, Francia e Stati Uniti. Chi vuol saperne di più, perché da noi è quasi sconosciuta, può tranquillamente andare in internet. La lettura di questa commedia mi entusiasmò. I due personaggi che la compongono sono indicati come "Un vecchio" e "Una donna" ed è un terribile gioco al massacro, realistico, surreale e anche, in qualche modo, metafisico. La sua particolarità però è che, invece di trattare uno scontro fra marito e moglie, come, da Strindberg fino ad Albee, Bergman ecc. siamo ormai abituati ed anche un po' annoiati a sentire da tempo, qui si tratta di padre e figlia, artisti ambedue, musicisti, compositori ed esecutori, lui solitario, lei con marito e prole numerosa, che si odiano e si amano con sotto, come motivo dominante, una competizione e invidia fortissime, ciascuno ritenendo di avere l'esclusiva del talento, del Dono. L'ambiente famigliare, i figli, i nipoti, vengono fatti dolorosamente e allegramente a pezzi. La musica si salva, ma non la loro, che sono due frustrati, ma quella del passato. Feci leggere la commedia a Roberta Caronia, che era Antigone nello stesso spettacolo a Siracusa, e ne fu entusiasta anche lei e ora siamo molto grati al Teatro Belli e a Trend, la rassegna di teatro contemporaneo diretta da Rodolfo di Giammarco, che ci permette di leggerla, sperando di suscitare curiosità e anche, perché no, qualcosa di più. È chiaro che una lettura non potrà mai restituire la potenza e la visionarietà della scrittura dell’Autrice. Può essere però un'indicazione. Per me, che ho recitato Re Lear molti anni fa con la regia di Luca Ronconi, è di grande curiosità vederne il lato capovolto e rovesciato, "tempo presente", di Marina Carr.

Massimo De Francovich

 

 

 

20 / 21 ottobre

JORDAN
di Anna Reynolds e Moira Buffini
traduzione Elisa Casadei
drammaturgia Francesca Manieri
con Federica Rosellini
disegno luci Maria de Los Angeles Parrinello
assistenza alla regia Elvira Berarducci
regia Francesca Manieri e Federica Rosellini
produzione Ariel dei Merli in collaborazione con Trilly Produzioni

Ispirato ad una storia vera. In una stanza vuota un’unica voce, quella di Shirley, una donna giovane ma non più giovanissima, interroga per tutto il tempo un’entità che non le risponde e che lei chiama Jordan. L’ex compagno? Il suo bambino? Dio? La interroga, si confida, le parla con una tenerezza che ha qualcosa del disarmo, dell’atto cioè con cui si procede a togliere un’arma laddove vi era stata, uno strumento di offesa da uno spazio prima carico di un tensione mortale.
Ciò che accade nel dopo. Lo spazio è vuoto, privo di appoggi per lo sguardo, non perchè siano sempre mancati ma perché un movimento instancabile come quello del mare, interno allo spazio stesso, li ha erosi. Il mare disarma il mondo. Smussa gli spigoli, ingoiandoli a pezzi. Le onde hanno memoria di tutti quegli strani, osceni oggetti d’offesa.
Tutto quanto resta da questa erosione, nel vuoto, è un muro di mattoni rosso oltre cui lo sguardo non può andare, alto come lo scheletro di un costato di roccia, è la necessità di provare a raccontarsi a qualcuno che non può sentire, come un canto a mezza voce, come una ninna nanna, è il mozzicone di sigaretta da raccogliere da terra e fumare fino a farne bruciare il filtro, è l’immagine di un coniglietto con una campanellina al collo che negli occhi cresce tanto da diventare l’unico possibile compagno di un ballo scomposto, disperato, acquatico che ricorda le atmosfere noir e surreali di Lars von Trier. E’ la follia di uno che si contrappone alla logica dolorosa del mondo o sono le regole del mondo a richiedere la follia dei giocatori?
Dopo il disarmo. Il mondo dentro è una sala delle visite spoglia in cui restare seduta e guardare la vita accadere di nuovo, per gli altri. Il mondo fuori è lo spazio che si può raccontare ancora, è il passato in cui “si vive”, in cui ricordare una vita con dei sogni di periferia da un negozio di strofinacci e souvenir di conchiglie a Morecambe nel Lancashire, in cui lasciare andare uomini come “bucce di cipolle”, uomini come lardo, uomini come buste di patatine zuppe di pioggia, in cui pensare che una moto mostro potrà portarci via. Oltre è una lunghissima spiaggia, di sabbia soltanto, molto prima di arrivare agli scogli, dove portare Jordan a camminare. Oltre è un respiro piccolissimo nel sonno dal cuscino accanto, è il rumore intermittente di una campanella che non può spegnersi mai. Jordan è un horror perché orrendo è la persecuzione che fa il mondo sugli ultimi che cercano redenzione, su chi ha il folle e insensato gesto di sperare in quei mondi in cui il destino rotola sempre verso il passato, e orrendo è il sistema capillare e vessatorio delle gabbie che possono chiudersi attorno ad una donna, specialmente se priva di mezzi e con un basso tasso di istruzione. Jordan è un horror perché vive in quella fissità assoluta del trauma in cui il tempo esiste oltre le usuali dimensioni, inchiodato all’amalgama del ricordo che presentifica e ripresentifica l’abisso del nostro possibile. Jordan è un horror perché un coniglietto con un campanellino al collo continua a suonare anche se la sua testa è stata recisa.


dal 24 al 27 ottobre

MY BRILLIANT DIVORCE
di Geraldine Aron
traduzione Carlo Emilio Lerici
con Francesca Bianco
e il piccolo Jack
e con (video)
Susy Sergiacomo (la Madre)
Fabrizio Bordignon (Vikram)
Martina Gatto (Eileen)
Germano Rubbi (Max / Palla-da-biliardo)
Antonio Palumbo (Warren)
regia video Enzo Aronica
regia Carlo Emilio Lerici
produzione Teatro Belli


Angela è una donna di mezza età.
Suo marito Max, soprannominato Palla da Biliardo, l’ha lasciata per la sua amante venticinquenne argentina, Mona. E come se non bastasse, sua figlia, che si è trasferita ad Aruba con il fidanzato, le ha rivelato che lei era rimasta l’unica a non sapere delle scappatelle del marito, che ormai andavano avanti da parecchio tempo.
Rimasta sola, con l’unica compagnia del suo cane Dexter, Angela deve imparare a fare i conti con la sua nuova condizione di “single involontaria”.
Alternando la rabbia nei confronti del marito traditore, attimi di gioia per la libertà ritrovata, la speranza per un’eventuale riconciliazione e la riluttanza nel firmare le carte per il divorzio, Angela ci fa ridere e commuovere mentre ci racconta delle sue avventure per ricostruire la propria vita; dalla help line telefonica per persone con pensieri suicidi alla visita in un sexy shop per comprare un vibratore.
Questo spettacolo affronta i temi della solitudine, di come un genitore debba affrontare la separazione dai propri figli diventati grandi e di come una donna che si è sempre vista come moglie e madre improvvisamente debba ricostruire una propria dimensione personale, libera da questi ruoli tradizionali.

 

dal 29 ottobre al 1 novembre

IVAN & THE DOGS
di Hattie Naylor
traduzione Monica Capuani
con Lorenzo Lavia
scene Fabiana Di Marco
regia Massimiliano Farau
produzione La Compagnia dei Masnadieri / Garage Zeami
uno spettacolo a cura di Daniele Muratore e Arianna Mattioli

Ivan racconta una storia che gli è successa quando aveva quattro anni. Ma la racconta come se fosse ora. Come se fosse una fiaba dei fratelli Grimm. Invece è una storia vera, accaduta a un bambino nella Russia degli anni Novanta, la Russia poverissima di Boris Eltsin. La gente era così povera, racconta Ivan, che i papà e le mamme cominciarono a sbarazzarsi di quello che nelle case mangiava, beveva e aveva bisogno di cure. I primi a essere abbandonati furono i cani. La madre di Ivan ha un uomo che ama e che la picchia quando si riempie di vodka fino agli occhi perché non c'è lavoro e gli uomini si sentono inutili. Ivan è un incomodo, quest'uomo lo tratta male, vorrebbe che se ne andasse. E un giorno Ivan lo fa. Indossa il suo cappotto più pesante, i guanti di lana, si mette in tasca due pacchetti di patatine ed esce per le strade di Mosca. Trovare un posto in cui dormire è difficile. Fa freddo, ovunque c'è puzza. La gente che gira sembra ti voglia sbranare. Ivan dorme su un cartone, imitando altri, ma scopre che anche per dormire per terra devi pagare, il territorio è qualcosa che si conquista o si paga. Ivan vede un fuoco. Intorno, un gruppo di bombzi, barboni ubriaconi che non hanno nessuno al mondo. Stanno arrostendo delle patate. Si accorgono che uno di loro è morto di freddo e rimangono un po’ lì a piangerlo. Uno di loro, forse sull’onda della commozione, regala a Ivan una patata. Gli altri lo insultano e cercano di riprendersela, ma Ivan scappa. Un cane bianco ha assistito alla scena e lo segue. Ivan divide la patata con lui e da quel momento diventano inseparabili. Ivan preferisce la compagnia dei cani. Impara ad abbaiare, a ringhiare, a ululare, e il cane bianco – che è una femmina, ma è il leader della muta – comincia a fidarsi di lui ogni giorno di più. Fino ad accettare il cibo dalla sua mano. Ma di dormire nella tana con loro non se ne parla, il cane bianco – che Ivan ha battezzato Belka – non glielo permette. Un giorno, un poliziotto cerca di acciuffarlo mentre sta aspettando il cibo fuori dal ristorante. I cani accorrono e lo salvano, ma qualche giorno dopo il poliziotto lo aspetta con i suoi uomini e gli tende un agguato. Riescono a caricarlo sul furgone, ma Belka riesce a salire ed è come un'ossessa, ringhia e abbaia, sembra impazzita, e Ivan riesce a liberarsi. Dopo quell’episodio, Belka lascia entrare Ivan nella tana. Dormire con gli altri, contro le loro pellicce calde e soffici, è il massimo della felicità. Ma le cose vanno sempre peggio. I poliziotti hanno neutralizzato i cani, prima di cercare di prendere Ivan. Di lì, la sua è una storia triste. C’è l’orfanotrofio. E poi c’è una donna gentile, che va a trovarlo e cerca di tenere lontani i giornalisti che vogliono sapere tutto del ragazzino che viveva con i cani. Alla fine, Ivan va a casa con lei. La donna ha un cane, ma è un cane stupido, niente a che vedere con Belka e gli altri. Ma quando un intruso entra in casa e il cane lo attacca, Ivan vede nei suoi occhi una scintilla di Belka e gli altri. E lo lascia dormire sul suo letto. E sogna di essere di nuovo la sua famiglia di cani e di correre con loro come il vento, a perdifiato nella foresta.

Monica Capuani

 


2 / 3 / 4 novembre

BU21
di Stuart Slade
traduzione Natalia di Giammarco
con Daniela Duchi, Mario Cangiano, Fabrizio Costella,
Valentina Favella, Silvia Napoletano, Francesco Patané
regia Alberto Giusta
produzione Teatro Stabile di Genova


Che la nuova drammaturgia inglese non perda mai di vista la realtà, la complessità del presente, è un dato di fatto ormai acquisito: dai “Nuovi arrabbiati” degli anni Cinquanta, fino alla generazione cosiddetta “in-yer-face”, ossia che sbatte in faccia agli spettatori la violenza e le asprezze del nostro tempo, gli autori made in UK si confrontano sistematicamente con i risvolti oscuri del reale e degli uomini. In BU21, Stuart Slade dà vita a un racconto corale, complesso, doloroso, che ricorda l’11 settembre o uno dei tanti micidiali attacchi terroristici degli ultimi anni. Sei sopravvissuti di una Londra sconvolta si trovano per raccontare, ricordare, provare a elaborare che cosa è accaduto in un giorno e che ha cambiato le loro vite. Ma una terapia di gruppo forse non basta per concepire l’assurdo della vita e della morte.

 

dall’8 all’11 novembre

EN ATTENDANT BECKETT
Prologo
Samuel Beckett
Atto senza parole
L’ultimo nastro di Krapp
un percorso multimediale ideato da Glauco Mauri e Roberto Sturno
con la collaborazione di Andrea Baracco
musiche originali di Giacomo Vezzani
produzione Compagnia Mauri Sturno

Una serata omaggio a Beckett per offrire al pubblico un approfondimento sull’opera del grande autore irlandese, con poesie, brani letterari e con il capolavoro L’ultimo nastro di Krapp e il non meno celebre Atto senza parole. Nello stupito, grottesco silenzio di Atto senza parole l’uomo beffato e ingannato dalla vita, che sembra sempre soccorrerlo, ma poi sempre lo delude, trova la sua commovente dignità nel rifiuto e nella voluta solitudine. In questo breve atto si può chiaramente comprendere la visione beckettiana dello scontro tra l’uomo e la vita.
Ne L’ultimo nastro il vecchio Krapp ascolta una bobina che ha registrato tanti anni fa: la sera del suo trentanovesimo compleanno. Tanti, tanti anni sono passati! Riaffiorano persone, visi ormai sbiaditi dal tempo, si riscoprono sentimenti…e tra questi – ormai dimenticata – una storia d’amore, “quando la felicità era forse ancora possibile”. Ma il giovane Krapp non l’aveva saputa afferrare la felicità. La bobina finisce e Krapp rimane disperatamente solo nel buio della sua “vecchia tana” piena di bobine che raccontano la storia della sua vita ma che finiranno sempre col rimanere vuote…esaurite di ricordi. Glauco Mauri, il primo Krapp italiano, dialoga, oggi, con la sua voce di trentenne registrata nel silenzio notturno di un teatro oltre cinquant'anni fa. Era il 1961.
“Nella vita della nostra Compagnia, Beckett è stato un amato compagno di viaggio.
In diverse stagioni teatrali abbiamo interpretato, oltre a un beckettiano Don Giovanni di Molière, dieci suoi atti unici, anche tra i meno noti, che nella stagione della rappresentazione hanno ricevuto il Premio della Critica. Il mondo di Beckett è un poetico, tragico e farsesco modo di interpretare la vita: la tragedia del vivere che diventa farsa e la farsa del vivere che diventa tragedia. Un ossimoro dove convivono una risata e un arido pianto, una disperazione senza speranza e un insopprimibile sentimento di pietà per l'uomo. Insieme alla rappresentazione di "Finale di partita", ci siamo sentiti in dovere, come uomini di teatro, di contribuire alla conoscenza, e quindi alla comprensione, di questo grande autore. Di conseguenza, abbiamo progettato una serata in cui, oltre a grandi capolavori come Ultimo nastro di Krapp e Atto senza parole, prenderanno vita altre opere, forse meno conosciute, ma non per questo di minor valore. Saremo guidati e portati alla scoperta dei suoi atti unici e dei suoi radiodrammi meno noti, delle sue poesie e dei brani più significativi dei suoi romanzi, dei suoi rapidi folgoranti pensieri e del film-documentario Dal silenzio al silenzio di Seàn O’Mòrdha. Quest’ultimo è un documento quasi sconosciuto, curato anche dallo stesso Beckett, dove il grande autore, che non ha mai voluto parlare di sé e dei suoi lavori, si rivela per la prima volta al pubblico. Le parole e le musiche in esso contenute ci sono sembrate le più adatte a dare un senso compiuto a questa serata. Beckett non è solo un celebre scrittore del "Teatro dell'Assurdo", ma anche un grandissimo poeta della difficoltà del vivere dell'uomo. Le sue "favole", dove si ride e si piange, ci aiutano a meglio capire questa nostra difficile vita. Ecco perché Beckett!
Glauco Mauri

 


13 / 14 / 15 novembre

NOT NOT NOT NOT NOT
ENOUGH OXYGEN
di Caryl Churchill
traduzione Paola Bono
con Aglaia Mora, Xhulio Petushi, Marco Spiga
ambiente sonoro Valerio Vigliar
regia Giorgina Pi
produzione Angelo Mai/ Bluemotion/ 369gradi
in collaborazione con Sardegna Teatro

 

Una Londra del futuro chiamata le Londre. Si vive solo in monolocali, immersi nell’inquinamento, manca l’ossigeno e lo compra solo chi se lo può permettere. In una di queste minuscole case assistiamo alla difficile riunione dopo anni di Mick e suo figlio Claude, famosa pop star.
Poi c’è Vivian che ha quarant’anni, vive col marito però vorrebbe stare con Mick che ha molti più anni di lei. Ma non c’è spazio per lei in quella casa, non c’è ossigeno. Arriva Claude, le strade sono invase da rivoluzionari ma Mick e Vivian li chiamano fanatici.
Niente andrà bene tra loro e neanche nelle Londre che Claude abbandonerà per sempre per cambiare vita, proprio come sua madre.
Not not not not not enough oxygen è una distopia ambientata nel 2010 che nel 1971, quando è stato scritto, era il futuro e che per noi è ormai il passato.
Ma le allarmanti predizioni di Caryl Churchill sembrano avviarsi a diventare realtà e la potenza della sua penna, ancora una volta, ci ricorda l’inutilità di pianificare il mondo per noi soli.

 

 

 16 / 17 / 18 novembre

ALL THE THINGS I LIED ABOUT
di Katie Bonna
traduzione Elisa Benedetta Marinoni
con Elisa Benedetta Marinoni
costumi e elementi di scena Luappi Lab
disegno luci Marco Aiolfi
tecnico Davide Coppo
ufficio stampa Giulia Taglienti
regia Alessandro Tedeschi
produzione Bottega Rosenguild e Caracò Teatro
con il patrocinio del Centro Donne Contro la Violenza di Crema

Pensate all’ultima volta in cui avete mentito. Una bugia piccola, insignificante. Dev’essere stato recentemente. Forse oggi. O ieri. Ogni giorno la maggior parte della gente mente. Mentire è facile. Viene naturale. Impariamo a farlo da bambini. È dire la verità che è difficile, che va contro il nostro istinto di sopravvivenza.
Oggi accade continuamente che sia la manipolazione a creare i fatti, che sia lo spettacolo a creare lo spettatore: la verità viene considerata una questione di secondaria importanza. E se è possibile manipolare la massa per un uomo politico, è altrettanto possibile per un uomo qualunque manipolare la propria moglie, perché la violenza non deve per forza essere fisica.
ATTILA è un monologo che si muove tra commedia e dramma, fortemente contemporaneo sia nella forma che nella sostanza. I livelli di menzogna, nella vita come in quest’opera, si mescolano e si sovrappongo. Fino a un epilogo dove la verità regna suprema. La verità della bugia.

IL PROGETTO

In All the things I lied about, l’autrice finge che il TED (Technology Entertainment Design, organizzazione no-profit di brevi conferenze, dette appunto TED talks) le abbia commissionato un talk sulla “scienza della bugia”. Ma parlare di bugie, analizzare le fake news e il modo in cui la politica rende manifesta una buona dose di manipolazione, porta l'attrice a parlare della storia dei suoi genitori e della propria vita privata, obbligando se stessa - e il pubblico - a chiedersi quanto la disonestà possa condizionare la vita di un individuo e delle persone che ama.
La grande particolarità di questo testo sta nel fatto che riesce ad affrontare una serie di grandi temi (la violenza sulle donne e l’amore, l’informazione e la manipolazione) senza essere un dramma nel dramma, anzi. Diverte, provoca, commuove, coinvolgendo il pubblico, toccando argomenti scottanti e contemporanei tanto con leggerezza quanto con intensità. Riuscendo nell’intento, con uno stile originalissimo. Come del resto dimostrano gli ampi consensi di pubblico e critica già ottenuti in Inghilterra.


dal 20 al 24 novembre

KILLOLOGY
di Gary Owen
traduzione Maurizio Mario Pepe
con Stefano Santospago, Emiliano Coltorti e Edoardo Purgatori
scenografo Nicola Civinini
casting director Federica Baglioni
sound design Lorenzo Benassi
regia Maurizio Mario Pepe
produzione la forma dell’acqua


“Non puoi dire a tua madre che le strade sono piene di psicopatici ed è pura fortuna se torni a casa vivo ogni notte.”

Un nuovo, controverso videogame sta influenzando un’intera generazione.
In Killology i giocatori ricevono dei bonus quando torturano le loro vittime e accumulano punti proporzionalmente alla loro creatività sadica. Eppure non è considerato un gioco perverso, perché abilmente commercializzato dal suo creatore multimilionario come un'esperienza etica. Nel gioco si può infatti dare libero sfogo alle fantasie più oscure, ma non sfuggire alle conseguenze.
Non tutti però sono d'accordo con lui.

"C'è una repulsione istintiva contro l’atto di impossessarsi della vita di un altro essere umano. E questa repulsione può essere conquistata."

Killology, dell’autore britannico Gary Owen, debutta allo Sherman Theatre e poi al Royal Court Theatre nel 2017, e riceve l’Oliver Awards 2018 per l’Outstanding Achievement in Affiliate Theatre Award.
Dopo il suo esordio nel 2015 al Royal Court Theatre con Violence & Son, Gary Owen scrive Iphigenia in Splott messo in scena in Italia nella rassegna TREND 2016 con il titolo Ifigenia in Cardiff.

 

26 / 27 / 28 novembre

A BEHANDING IN SPOKANE
(Una mano mozzata a Spokane)
di Martin McDonagh
traduzione Carlo Sciaccaluga
con Andreapietro Anselmi, Alice Arcuri, Maurizio Bousso, Denis Fontanari
scenografie e luci Federica Rigon
regia Carlo Sciaccaluga
produzione ariaTeatro


Al suo debutto a Broadway nel 2010, A Behanding in Spokane, prima opera del pluripremiato drammaturgo britannico Martin McDonagh ad essere ambientata negli Stati Uniti, non ha certo lasciato indifferenti pubblico e critica. Il pubblico ha riso, la critica ha sia applaudito che ferocemente attaccato. La commedia è esilarante a dir poco, e le premesse aiutano: in una camera d'albergo Carmichael, un sicario di mezz'età a cui manca la mano sinistra, lascia un messaggio sulla segreteria telefonica della madre per rassicurarla sulla propria salute. Da questo momento in poi inizia una vicenda claustrofobica (l'azione si svolge nella stessa stanza dall'inizio alla fine), violenta, una dark comedy in pieno stile McDonagh. Il misterioso uomo è alla ricerca della propria mano sinistra da 27 anni. Due giovani innamorati, un ragazzo di colore e una bionda, spacciatori da quattro soldi, tentano di vendergli una mano sottratta al museo di storia naturale, provocando la furia di Carmichael, sotto lo sguardo di uno stralunato e inquietante concierge, ex galeotto, i cui interventi rischiano di far precipitare la vicenda. Le occasioni comiche sono innumerevoli e McDonagh non se ne lascia sfuggire neanche una. La commedia a tratti è cupissima, violenza e morte, razzismo e ignoranza dominano la scena per lunghi tratti, ma è raro non ridere per più di un paio di minuti di fila. In maniera significativa, il violento, ignorante, razzista, comico Carmichael ha subìto un'amputazione da ragazzino. E la storia che racconta per giustificarla appare incredibile. Con ogni evidenza, lo scrittore britannico evoca un'immagine tipica della scienza psichiatrica: chi ha subìto un'amputazione nel corso del processo di formazione della propria identità, e non sa accettarla, riverserà il proprio odio verso il mondo nel tentativo di riattaccare al proprio corpo l'arto perduto. Ma è una lotta impossibile, come dimostra il momento in cui la valigia di Carmichael si apre fortunosamente rivelando il proprio contenuto, decine e decine di vere mani raccolte nel corso di anni di ricerche. Ma McDonagh, e questa è una delle sue grandezze di scrittore (e di cineasta, basti guardare ai piccoli capolavori che sono In Bruges o Tre Manifesti a Ebbing, Missouri), come ha dimostrato ad esempio a meraviglia in The Pillowman, non spiega le sue metafore. Sta a noi, attraverso le suggestioni che l'autore ci regala nella forma dell'azione che si dipana sotto i nostri occhi, arrivare eventualmente alle nostre conclusioni.
Il teatro di McDonagh è teatro. È azione, relazione, incidente, che sia comico o drammatico, non è mai una conferenza sull'uomo. E così, ridendo, sulla via verso casa, dopo aver assistito allo spettacolo, sentiamo con sorpresa che, senza volerci istruire, il genio anglo-irlandese di McDonagh ci ha insinuato qualcosa nello stomaco.

Carlo Sciaccaluga

 


dal 30 novembre al 3 dicembre

HARROGATE
di Al Smith
traduzione Alice Spisa
con Marco Quaglia e Alice Spisa
luci Paride Donatelli
regia Stefano Patti
Argot Produzioni in collaborazione con 369gradi


Un uomo, un padre, un marito, nel corso di un pomeriggio si troverà a confrontarsi con tre donne, tre rappresentazioni carnali della parte più intima e oscura di sé stesso e ad affrontare le sue ossessioni pur di difendere la propria famiglia. Harrogate è un testo che affronta il delicato tema di come ci nascondiamo dietro ad una maschera, di come recitiamo sempre una versione diversa di noi stessi a seconda di chi abbiamo davanti e di come proiettiamo sugli altri variazioni di persone che vorremo vedere pur di accettare chi abbiamo di fronte.
È un trittico sull’ossessione, la repressione e la lussuria.
Lo spettacolo inglese ha debuttato l’11 settembre 2015 all’interno dell’ HighTide Theatre Festival.

 

 dal 5 all’8 dicembre

GROWTH
(Crescendo)
di Luke Norris
traduzione Enrico Luttmann
con Francesco Aricò, Giulia Trippetta e Pavel Zelinskiy
scene e costumi Katia Titolo
disegno luci Omar Scala
regia Silvio Peroni
produzione Pierfrancesco Pisani

Le grandi tematiche espresse nel tempo dai classici possono essere riviste e riscritte dagli autori contemporanei senza sminuire la loro forza archetipica: le grandi storie d’amore, di vendetta, di crescita possono cambiare nel tempo la loro forma, ma non mutare i contenuti sostanziali. Parlare di teatro contemporaneo significa avvicinare lo spettatore al racconto e farlo identificare agli accadimenti drammaturgici con un linguaggio e delle situazioni vicine alla propria realtà, senza però dimenticare la funzione del teatro di sublimare il quotidiano e la vita che, volendo o meno, è fonte d’ispirazione delle grandi creazioni artistiche di tutti i tempi. Ogni grande autore classico ha scritto le proprie opere per essere rappresentate nella propria epoca e nel proprio contesto sociale; parlando di teatro contemporaneo, però, non si vuole creare un’opposizione o una gerarchia di importanza con il teatro classico bensì creare un contatto attivo con lo spettatore, che è, e deve rimanere sempre, l’obiettivo di ogni messa in scena.
IL TESTO
Giovane, non ancora trent’anni, e già acclamato da critica e pubblico Luke Norris con il suo ultimo testo Growth (crescita) vince il prestigioso Fringe First Award al Fringe Festival di Edimburgo del 2016. 20 anni e qualcosa Tobes è ancora un ragazzo: la madre paga il suo conto telefonico, non si sforza di cercare un lavoro perché non pensa di mantenersi, la sua ragazza lo lascia, la figlia del padrone di casa si avvicina per avvisarlo che se non paga l’affitto deve lasciare l’appartamento, ignora i problemi, sperando che si risolvano da soli; e da due anni sta ignorando un problema particolare: un grumo al testicolo sinistro; ora deve affrontare la possibilità che possa avere o non avere un cancro. Osserviamo le insidie del suo rapporto fallito, il sentimento di inadeguatezza, la mancanza di lavoro e la paura della malattia invasiva che non andrà via. C’è tanta commedia nel testo di Luke Norris ma, come suggerisce il titolo, parla di un giovane immaturo che affronta il fatto che è tempo di crescere e di come la vita e la forza di crescere insistano per farci prendere decisioni e assumerci delle responsabilità. In questo teatro privo di particolari scenografie con un dialogo ritmato e veloce (che richiama alla mente lo stile minimalista di Mike Bartlett), il cast di tre attori, dove solo il ruolo di Tobes è il centro immutabile del racconto, gli altri due interpreti scambiano agevolmente ruoli e posizioni, senza cambi di costume creano una processione di personaggi maschili e femminili che il protagonista incontra durante il suo viaggio fra tragedia e possibile riscatto: l'amico a cui chiede disperatamente di ispezionare i suoi genitali, la dottoressa che trova distrattamente attraente, l'irriverente infermiere della banca del seme, il consulente a cui chiede di dirgli qualcosa di bello… Questa commedia di Luke Norris consolida la carriera di un significativo talento della scrittura che sviluppa semplicemente un argomento così difficile.

 


10 / 11 / 12 dicembre

THE BOGUS WOMAN
di Kay Adshead
traduzione Andrea Peghinelli
con Jasmine Volpi
regia Guglielmo Guidi
GEKON productions Francesco Dainotti


Capire e sapere hanno sempre significato andare in profondità per raggiungere l’essenza delle cose: è qualcosa che sta morendo. L’essenza delle cose non risiede più in profondità, ma in superficie; non si trova dentro le cose, ma fuori di esse; e dove cominciano? Ovunque. Nel mondo della rete lo chiamano “navigare”: superficie al posto di profondità, viaggio al posto di immersione.
Si potrebbe obiettare: è solo un cambio generazionale o una rivoluzione del sapere. Non è così.
L’Europa sta invecchiando e la popolazione è stagnante. Le migrazioni in Europa di africani, arabi e asiatici segnano il capovolgimento di una tendenza storica. Nell’era coloniale interi continenti furono trasformati in propaggini europee. La posizione dell'Unione europea è che, mentre i rifugiati politici possono chiedere asilo in Europa, i “migranti economici” clandestini devono tornare a casa. Per varie ragioni è improbabile che questo approccio riesca ad arginare i flussi di popolazioni che aspirano ad una vita migliore. Bisogna accettare l'immigrazione dal resto del mondo come inevitabile, e di abbracciarla con tutto il cuore; e non si può pensare, come persino i favorevoli alla causa dell'immigrazione sostengono, che i nuovi arrivati devono accettare “i valori europei”. Una pretesa che potrebbe risultare non realistica; molti immigranti dal Medio Oriente e dall'Africa portano con sé mentalità molto più conservatrici e sessiste. Non basterà, certo, qualche lezione civica per cambiare questa situazione. La grande domanda nei prossimi decenni è come la fede dell'Europa nei valori liberali universali possa resistere all'impatto con l'immigrazione di massa.
La cecità di non vedere la trasformazione in atto, di non volerla comprendere si moltiplica nell’illusione che ci siano “confini” invalicabili che ci vantiamo di difendere, ma che non esistono; c’è solo una mutazione che avanza. Siamo tutti coinvolti, tutti. Alcuni, più evoluti, altri meno; c’è chi è in ritardo e c’è chi non si è accorto di niente; e c’è chi è consapevole, fa finta di non capire e non capirà mai.
La pièce - “kafkiana” - tratta con dovizia quasi documentaristica le sofferenze e le peripezie dei rifugiati che chiedono asilo politico; e racconta la storia di una giovane africana che cerca asilo politico in Inghilterra. La donna, scoraggiata e sconfitta, a seguito dell’omicidio di massa della sua famiglia, viene interrogata all’aeroporto di Heathrow, a Londra. Incapace di spiegare come sia arrivata fin lì, la donna viene rinchiusa nel centro detentivo per i rifugiati, il Campsfield House vicino Oxford. Lì, la ragazza viene coinvolta nelle proteste che porteranno al processo dei cosiddetti: Campsfield Nine, un gruppo di rifugiati accusati, e poi assolti, di insurrezione.
In questo dramma esplosivo la protagonista riveste 48 diversi personaggi.

The Bogus Woman di Kay Adshead, attrice, poetessa e drammaturga inglese che ha fatto dell’impegno sociale e politico la sua priorità, è stato rappresentato per la prima volta al festival di Edimburgo nel 2000.

 

14 / 15 dicembre

YELLOW MOON
di David Greig
traduzione Jacopo Gassman
con Vinicio Marchioni, Marina Occhionero, Luca Tanganelli e Giulia Trippetta
luci Camilla Piccioni
scene Eleonora Ticca
mise en espace a cura di Mario Scandale
produzione Ginkgo Teatro


Yellow Moon racconta la storia di Lee e Leila, due adolescenti che vivono in una piccola città della Scozia. Lee è un ragazzo difficile e violento, ossessionato dal suo berretto da baseball, ultimo regalo del padre prima di abbandonare la famiglia.
Leila, introversa figlia d'immigrati musulmani fuggiti da qualche guerra degli anni '90, è quella che potremmo definire una brava ragazza.
I due si incontrano per caso in un negozio e da lì parte la loro fuga dalla legge. Infatti Lee quella sera ha pugnalato il fidanzato della madre.
Decidono così di fuggire in montagna, seguendo le orme del padre scomparso di Lee.
In questa fuga, Lee e Leila si confronteranno con il loro destino e scopriranno l'amore per la prima volta.
Il testo getta lo sguardo su una realtà degradata, fatta di famiglie inconsistenti e miti televisivi, che rende ancora più difficile la ricerca della propria identità.
Come possiamo sapere chi siamo quando non sappiamo da dove veniamo?
David Greig (Edimburgo, 1969) è un drammaturgo scozzese e regista teatrale. I suoi testi sono stati prodotti in tutto il mondo e rappresentati nelle principali realtà teatrali britanniche, tra cui il Teatro Traverse, il Royal Court Theatre, il Royal National Theatre e la Royal Shakespeare Company.

 

16 dicembre

CONSERVATORY
una lettura a due voci
di Michael West
traduzione Natalia di Giammarco
con Elena Bucci e Marco Sgrosso
cura del suono Franco Naddei e Raffaele Bassetti
lettura a cura di Elena Bucci e Marco Sgrosso
produzione Le Belle Bandiere

LEI: Se pensassi che tu abbia un cuore, ti ci avrei piantato questo ferro da maglia.
LUI: I tuoi artigli, micio, i tuoi artigli.

Rinchiusi nel loro rifugio borghese arredato in modo classico - due poltrone, la credenza, la cesta del cucito e un dizionario -, isolati e ben protetti da chiavistelli da un esterno denso di echi minacciosi – il vento che fa sbattere le porte, il cigolio insistente del cancello, il mostruoso accoppiamento di gatti in calore –, isolati in un tempo sospeso, Lui e Lei… una coppia senza un nome che definisca la loro identità.
Lei fa le parole crociate e lavora a maglia, Lui legge il giornale e cerca senza tregua gli occhiali che sposta da una tasca all’altra. Lei è ferocemente caustica sul passato e sul presente, Lui dolorante e sboccato si gongola in vena di rimembranze, e la conversazione inizialmente innocua assume rapidamente le caratteristiche di un delicato gioco al massacro, eseguito con un’alternanza di affondi reciproci che richiama in causa due figlie anaffettive e troppo adulte per procreare, l’amante di Lui divenuta amica di Lei, le insofferenze di Lei e l’impotenza di Lui. Ma soprattutto, sin dalle prime battute affiora, protagonista, la Morte, che dal paradosso del gatto morto di Schrodinger porta all’elenco di amici e conoscenti oramai defunti, fino all’agghiacciante rivelazione del colpo di scena finale, mentre la grandine sbatte furiosamente sul tetto e l’ultimo appello di tenerezza resta senza risposta.

Fermi, al leggio, cerchiamo di evocare con voce e musica gli spazi, le relazioni e le possibili intuizioni necessarie ad un’ideale futuro allestimento. Creiamo il disegno preparatorio, lo schizzo, coniugando la nostra immaginazione con quella del pubblico, così da creare mille diverse coppie, storie, case, strade, città perse nel buio della sera.


Elena Bucci e Marco Sgrosso

 


17 / 18 / 19 dicembre

THE PRUDES
di Anthony Neilson
traduzione Natalia di Giammarco
con Carlotta Proietti e Gianluigi Fogacci
scene e costumi Susanna Proietti
regia Gianluigi Fogacci
produzione Politeama srl


Chi sono i Prude? James si presenta al pubblico come James Prudes, ma subito viene corretto da Jessica che tiene a rettificare che loro non sono sposati e che quindi loro non sono i Prudes come recita il titolo, parola che in inglese significa puritani, moralisti, di morigerati costumi, che hanno in odio scandalizzare..
Tuttavia questa strana coppia si presenta sul palcoscenico di un teatro pieno di spettatori per inscenare o vivere, non ci è dato sapere, il loro dramma di coppia, come una seduta terapeutica collettiva. Al centro di questo dramma il calo di desiderio di James che non riesce più ad avere rapporti con la sua amata Jessica da molto tempo e che se fallirà anche questa ultima chance, cioè consumare un rapporto davanti ad una platea, nel più puro spirito esibizionistico, sarà abbandonato da Jessica che non intende passare il resto della sua vita senza sesso. Ecco che l’ironia del titolo si affaccia prepotentemente non appena al pubblico verrà spiegata la situazione, ma come si può facilmente prevedere l’espediente scelto non darà i frutti sperati. Ecco che inizia allora un gioco al massacro, dove emergono vecchie ruggini, cose non dette che feriscono, giochi di travestimenti e colpi di scena che fanno via via dubitare di chi siano veramente queste persone o personaggi.
E se fossero due attori che cercano nuove ispirazioni attraverso un anomalo materiale drammaturgico, guidati da un’invisibile regia? E che ruolo ha il pubblico che viene continuamente coinvolto, come se i personaggi sul palco cercassero di tirare a sé le sue simpatie e un giudizio favorevole, come in una moderna e borghese agorà? IL gioco teatrale o meta teatrale che dir si voglia si fa sempre più sofisticato, esplora anche i meandri linguistici che caratterizzano le due differenti personalità, fino a farci pensare che sia proprio questo il motivo del calo del desiderio, e il finale invero farsesco non ci deve trarre in inganno sulla durezza dello scontro e sulla profondità della riflessione sulle problematiche di coppia.

 

20 / 21 / 22 dicembre

LUNGS
di Duncan Macmillan
traduzione Matteo Colombo
con Federico Zanandrea e Francesca Fioretti
scenografie Pierluigi Piantanida
costumi Rosaria Giacomino
regia Federico Zanandrea
produzione Il Mecenate

 

Lui e Lei sono all’Ikea quando, senza preavviso, lui pensa che sia il momento giusto per pensare ad un figlio. Questo è il primo respiro, che gonfia i polmoni. Il dialogo serrato, scomposto, tra Lui e Lei è una fucina di spunti ed ecco stelle e pianeti nascere e morire quando l’idea di mettere al mondo un figlio conduce a calcolare il suo impatto ecologico sul pianeta, quando i due iniziano a domandarsi come farà una nuova vita a farsi spazio in un mondo pieno di brutture, quando la coppia si lascia contagiare dall’ansia globale per il terrorismo, la guerra e l’instabilità politica. Un lungo dialogo, esilarante a tratti, che ripercorre tutta la vita di questo Lui e di questa Lei; un dialogo poetico e magico, una riflessione comica sulla vita e sulla morte. Un’opera assolutamente contemporanea che scorre veloce, come un soffio, in un unico grande respiro.

NOTE DI REGIA

“…Ho voluto immergere questo testo nei colori. Perché il racconto di una vita, a mio avviso, non può che essere colorato e i segni lasciati su quelle pareti dipinte dagli interpreti, diventano simboli; simboli del tempo che passa, delle idee che cambiano con il passare degli anni, del dolore, della gioia, della nascita. Ogni sera lo spettacolo è diverso e l’opera finale non verrà mai identica, sarà sempre imperfetta, così come la vita”.

 

 

CICLO PROIEZIONI DIGITAL THEATRE

proiezioni in lingua originale senza sottotitoli
ingresso gratuito

25 ottobre ore 18.00

BEAUTIFUL THING
di Jonathan Harvey
con Zaraah Abrahams, Jake Davies, Oliver Farnworth,
Danny-Boy Hatchard, Suranne Jones
regia Nikolai Foster

A Thamesmead quartiere operaio a Sud di Londra, Jamie è un adolescente solitario che vive con la madre Sandra e nasconde la propria omosessualità. Ste vive con il fratello, uno spacciatore, e con il padre alcolista; una notte il fratello lo picchia così tanto che Sandra è mossa a compassione e decide di tenerlo in casa con sé per qualche giorno. Tra i due ragazzi si instaurerà un rapporto conflittuale che porterà Jamie a dover confessare la propria sessualità a sua madre. Produzione ripresa dal Digital Theatre presso l’Art Theatre di Londra.

L’autore: JONATHAN HARVEY
Nato il 13 giugno 1968 è un drammaturgo inglese, le cui opere hanno vinto molti premi. E’ nato a Liverpool, e la sua prima opera risale al 1987, The Cherry Blossom Tree, vincitrice del National Girobank Young Writer of the Year. Tra le sue opere ricordiamo Mohair (1988), Wildfire (1992) e Babies (1993). Nel 1993 la sua opera Beautifil Thing, spettacolo a tema gay trasformatosi in film ha vinto il prestigioso John Whiting Award. Dal 2013, partecipa alla scrittura della serie per BBC Radio What Does the K Stand For?, basata sulla vita del comico Stephen K.Amon nella Londra degli anni ’80.

 

26 ottobre ore 18.00

PARLOUR SONG
di Jez Butterworth,
con Toby Jones, Amanda Drew e Andrew Lincoln
regia Ian Rickson

Ned e Joy sono sposati. Lui è un esperto in demolizioni, lei è una casalinga. Vivono in una casa che confina con quella di Dale e con altre 78 case come le loro. Di tanto in tanto si divertono a giocare a scarabeo. Ma Ned ha un sogno ricorrente e un problema ricorrente: gli oggetti continuano a sparire. Questa commedia esplora cosa accade quando due persone normali scoprono di odiare ciò che sono diventati in un mondo in cui niente è quello che sembra. Produzione ripresa all’Almeida Theatre di Londra.

 

 


L’autore: JEREMY “JEZ” BUTTERWORTH
Nato a Londra nel marzo 1969 è un drammaturgo, sceneggiatore e regista britannico. Dopo la laurea al St John's College di Cambridge, Butterworth ha cominciato l'attività da drammaturgo, lanciata dalla commedia Mojo in scena al Royal Court Theatre di Londra nel 1995; la piece vinse il Laurence Olivier Award e l'Evening Standard Award alla migliore opera teatrale. Nel 2009 il suo dramma Jerusalem andò in scena a Londra e a Broadway con Mark Rylance e fu candidato al Tony Award alla migliore opera teatrale. Nel 2018 vince il Laurence Olivier Award alla migliore opera teatrale per The Ferryman.

 

 

27 ottobre ore 18.00

A DISAPPEARING NUMBER
di Simon McBurney
con David Annen, Firdous Bamji, Paul Bhattacharjee, Hiren Chate,
Divya Kasturi, Chetna Pandya, Saskia Reeves
regia Simon McBurney


Vincitore dell'Olivier Award 2008 come miglior nuovo spettacolo, A Disappearing Number racconta la vera storia della straordinaria collaborazione tra il professore di Cambridge G.H. Hardy e il matematico autodidatta Srinivasa Ramanujan. Lo spettacolo mantiene due linee narrative, insieme ad un forte impatto visivo e di teatro fisico. Si intrecciano il rapporto intellettuale tra Hardy e Ramanujan, ambientato nel passato, e la relazione attuale tra Ruth, un’insegnante inglese di matematica, e suo marito, un uomo d’affari Indioamericano.

L’autore: SIMON MONTAGU MCBURNEY
Ordine dell'Impero Britannico (Cambridge, 25 agosto 1957), è un attore, doppiatore, regista e scrittore britannico. Egli è stato fondatore e direttore artistico del Théâtre de Complicité in Inghilterra, conosciuto attualmente solo come Complicite. Ha diretto, inoltre, le loro produzioni Street of Crocodiles (1992), The Three Lives of Lucie Cabrol (1994), Mnemonic (1999) e The Elephant Vanishes (2003). La produzione A Disappearing Number, concepita e diretta dallo stesso McBurney, prende come ispirazione la storia della collaborazione tra due dei più grandi matematici del XX secolo, il povero Brahmin dell'India meridionale Srinivasa Ramanujan e il rampollo di Cambridge GH Hardy. Nell'autunno del 2008 lo spettacolo è stato messo in scena al Barbican Arts Centre, e successivamente è andato in tour internazionalmente.
Gli Autori

Marina Carr
Marina Carr nasce il 17 Novembre del 1964 nella contea di Offaly e studia all’University College di Dublino. La Carr è cresciuta con l’Abbey Theatre di Dublino, e le sue opere sono un misto tra la tragedia domestica dell’Irlanda rurale e la riscrittura di classici. Nel 1997 ha vinto il Susan Smith Blackburn Prize. Tra le sue opere ricordiamo The Mai (1994), che ha vinto come Best New Play al Dublin Theatre Festival; Portia Coughlan (1996); On Raftery’s Hill (2000); Ariel (2002); Woman and Scarecrow (2006). Nel febbraio della 2009 Carr ha presentato le sue due ultime opere a Dublino: Marble (all’Abbey Theatre), e l’opera per bambini The Giant Blue Hand.

Anna Reynolds e Moira Buffini
Anna Reynolds, nata l’1 giugno 1968 è una scrittrice, drammaturga e sceneggiatrice britannica. Nel 1986, all’età di 17 anni, ha ucciso nel sonno sua madre con un martello. Condannata all’ergastolo nella prigione di Durham, dopo due anni è stata scagionata dopo che le è stato diagnosticato uno squilibrio ormonale. E’ stata così mandata ad un istituto di igiene mentale a Northampton.
Moira Buffini, è una drammaturga, regista e attrice nata il 29 maggio 1965 nel Cheshire, da genitori irlandesi. Con lo spettacolo Jordan, scritto a quattro mani con Anna Reynolds nel 1992, ha vinto un Time Out Award e un Writers’ Guild Award.

Geraldine Aron
Geraldine Aron (nata nel 1951) è una drammaturga irlandese. Nata nel Galway ha vissuto in Zambia, nello Zimbabwe, in Sud Africa e ora vive a Londra.
La sua prima opera Bar and Ger, rappresentata allo Space Theatre di Cape Town nel 1975, ha vinto premi e continua ad essere rappresentata internazionalmente. La sua opera My Brilliant Divorce, rappresentata all’Apollo Theatre nel West End di Londra è stata nominata nel 2004 ad un Laurence Olivier Award. Da allora è stato rappresentato in 28 paesi, e ne è stato realizzato un film interpretato e diretto dall’attrice francese Michèle Laroque dal titolo Brillantissime, uscito il 17 gennaio 2018.

Hattie Naylor
Tra le opere di Hattie Naylor ricordiamo Ivan and The Dogs, The Night Watch, Going Dark, As the Crow Files. Ivan and the Dogs è stato nominato ad un Olivier Award, ha vinto un Tinniswood Award, ed è stato acclamato a livello internazionale.
L’adattamento cinematografico dell’opera Lek and the Dogs, diretto da Andrew Kotting, è stato presentato al London Film Festival di quest’anno. The Night Watch, il suo adattamento teatrale del romanzo di Sarah Water per il Manchester Royal Exchange è stato nominato dal The Observer miglior spettacolo teatrale del 2016. Ha studiato danza alla Nottingham Trent University prima di studiare Arte alla Stlade School of Art specializzandosi in suono e performance. Attualmente insegna drammaturgia alla Sheffield Hallam University.

Stuart Slade
Stuart Slade è nato a Bristol e ora vive a Londra. E' il Direttore Artistico del Kuleshov Theatre e il direttore creativo di Ivanov Films. Il suo spettacolo Cans è andato in scena per la prima volta nel novembre del 2004 presso il Theatre503, ed è stato nominato agli Offies (The Off West End Theatre Awards) come Miglior Spettacolo e Miglior Drammaturgo Più Promettente. Ha scritto inoltre Deep Roots, Of Mice and Len, Pain is Weakness Leaving the Body.

Samuel Beckett
Samuel Beckett, (Dublino, 13 aprile 1906 – Parigi, 22 dicembre 1989) è stato uno scrittore, drammaturgo, poeta, traduttore e sceneggiatore irlandese. Considerato uno degli scrittori più influenti del XX secolo, Beckett, il cui capolavoro è Aspettando Godot, è senza dubbio la più significativa personalità (insieme a Eugène Ionesco, Arthur Adamov e al primo Harold Pinter) del Teatro dell'assurdo. Ma la sua produzione artistica va intesa in senso più ampio, in quanto fu autore complesso anche nel campo radiofonico e televisivo e cinematografico. Autore di romanzi e di poesie, nel 1969 Beckett venne insignito del Premio Nobel per la letteratura «per la sua scrittura, che - nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma - nell'abbandono dell'uomo moderno acquista la sua altezza».

Caryl Churchill
Nata a Londra il 3 settembre 1938 è una drammaturga britannica. Viene riconosciuta tra le maggiori drammaturghe di lingua inglese ed è a oggi una delle più celebri tra le scrittrici contemporanee. I suoi lavori giovanili furono influenzati dalle tecniche moderniste del teatro epico brechtiano. Il suo primo testo per il palcoscenico è Owners, prodotto a Londra nel 1972. Tra il 1974 e il 1975 lavora come drammaturgo stabile al Royal Court Theatre. Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo la commedia Drunk Enough To Say I Love You.

Katie Bonna
Katie Bonna è una poetessa, attrice e scrittrice per il teatro e il cinema. Il suo monologo sulla scienza della menzogna, All The Things I Lied About, è stato selezionato come finalista al premio OFFIE nella categoria Miglior Drammaturgo Più Promettente. Lo spettacolo è andato in scena nel 2016 al Fringe Festival di Edimburgo e nel 2017 al Soho Theatre. La sua opera poetica Dirty Great Love Story, scritta insieme a Richard Marsh, ha vinto un Fringe First Award al Fringe Festival di Edimburgo del 2012, e lei è stata nominata come Miglior Attrice. Il suo ultimo lavoro Paper.Scissors.Stone è attualmente in lavorazione presso il Live Theatre Newcastle.

Gary Owen
Nato nel 1972 è un drammaturgo gallese, vincitore nel 2003 del Meyer-Whitworth Award per le nuove scritture teatrali. Dal 1998 al 2000 è stato script editor alla BBC Wales Drama, e tra il 2001 e il 2002 è stato scrittore residente al Paines Plough. I suoi spettacoli sono stati rappresentati in tutta la Gran Bretagna, da Londra all’ Edinburgh Fringe Festival, ma anche all’estero come in Canada, in Australia e in Germania. Il suo ultimo lavoro, Mary Twice, è stato premiato al Porthcawl Pavilion, nel sud del Galles, nel 2008.

Martin McDonagh
Nato a Camberwell da genitori irlandesi il 26 marzo 1970 è un regista, sceneggiatore e drammaturgo inglese. Vive la sua gioventù a Londra, ma rimane fortemente legato alla sua terra di origine tanto da ambientarvi tutti i suoi lavori teatrali. Con la sua prima opera, The Beauty Queen of Leenane, ottiene numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui l'Evening Standard Award come miglior commediografo emergente. Il successo ottenuto lo induce a scrivere i due episodi successivi della storia, A Skull in Connemara e The Lonesome West, dando vita così ad una trilogia, The Leenane Trilogy. Nel 1997, a soli 27 anni, ben quattro dei suoi spettacoli vengono rappresentati simultaneamente nei teatri del West-End di Londra Tra le altre opere ricordiamo The Pillowman (2003), che ottiene un Laurence Olivier Award.

Al Smith
Al Smith è uno scrittore inglese. Tra i suoi lavori per il teatro ci sono Harrogate (HighTide Festival / Royal Court Theatre), Diary of a Madman (Traverse Theatre / Gate Theatre), The Astronaut Wives Club(Soho Theatre), Radio (Underbelly / 59E59) and Enola (Underbelly). Per la televisione ha fatto parte del team di scrittori di Holby City e EastEnders. Per BBC Radio ha realizzato The Postman of Good Hope, Life in the Freezer, Everyday Time Machines, Dangerous Visions: Culture and Life Lines. Ha vinto un BFI/Wellcome Trust Screenwriting Prize per la sua sceneggiatura HalfLife, e un BBC Radio Award per la serie radio Life Lines.

Luke Norris
Luke Norris scrive per il teatro e per il cinema. La sua opera Growth è stata rappresentata all’Edinburgh Fringe Festival del 2016, dove ha vinto ed è partita per un tour dell’Inghilterra. Al momento sta scrivendo per il Bush Theatre e per il National Theatre. Rispetto alla sua opera di debutto Goodbye to all that il Telegraph ha commentato: “Siamo senza dubbio in presenza di un nuovo promettente drammaturgo”. Per la televisione ha scritto sia commedie che drammi televisivi, come Lovely Day e Hat Trick, e ha realizzato per BBC Radio 4 l’opera radiofonica The Coming Tide.

Kay Adshead
Attrice, poetessa e drammaturga inglese che ha fatto dell’impegno sociale e politico la sua priorità. Ha ottenuto importanti riconoscimenti con The Bogus Woman, messo in scena al Festival di Edimburgo nel 2000, questo testo “kafkiano” tratta con dovizia quasi documentaristica le sofferenze e le peripezie dei rifugiati che chiedono asilo politico. Con Bites, rappresentato nel 2005 al Bush Theatre di Londra, la Adshead porta in scena le contraddizioni del ricco e opulento occidente – che si materializza nel modello del cowboy texano – inconciliabile con le necessità dei paesi vittime della disuguaglianza globale – rappresentati dal contesto dell’Afghanistan. In una serie di brevi quadri, in cui le tematiche e i personaggi si dipanano e si intersecano, l’autrice contrappone gli eccessi dell’uno con le privazioni dell’altro.

David Greig
David Greig, nato nel 1969 a Edimburgo, è un drammaturgo e regista teatrale scozzese. Cresciuto in Nigeria e tornato a Edimburgo da adolescente ha studiato Drammaturgia alla Bristol University. Le sue opere sono state rappresentate nei più grandi teatri britannici, come il Traverse Theatre, il Royal Court Theatre, il Royal National Theatre, il Royal Lyceym Theatre e il Royal Shakespeare Company, e rappresentate in tutto il mondo. Nei primi due decenni della sua carriera ha realizzato più di 50 tra spettacoli, testi, adattamenti, traduzioni e libretti.

 

Michael West
Nato a Dublino nel 1967 è un drammaturgo e traduttore. Ha collaborato a lungo con la Corn Exchange Theatre Company, diretta da Annie Ryan, per cui ha scritto molti spettacoli originali e adattamenti, tra cui Dublin by Lamplight, l’adattamento di Dubliners di James Joyce, Man of Valour e Freefall. Ha tradotto molti testi, tra cui le Nozze di Figaro, e alcuni testi di Molière, Marivaux e Calderón. Nel 2014 ha presentato in prima mondiale all’Abbey Theatre Conservatory. Ha realizzato anche spettacoli per bambini, per la radio e ha adattato una storia di Oscar Wilde per l’English National Ballet.

Anthony Neilson
Nato nel 1967 a Edimburgo è un drammaturgo e regista scozzese. Il suo lavoro è caratterizzato dall’esplorazione di sesso e violenza, e viene comunemente associato al movimento in-yer-face-theatre, come viene chiamato il filone inglese degli anni ’90 di cui i tre grandi esponenti vengono appunti individuati in Sarah Kane, Mark Ravenhill e Anthony Neilson. Ha studiato al Royal Welsh College of Music and Drama e ha cominciato la sua carriera al Finborough Theatre.

Duncan Macmillan
Scrittore e regista, ha scritto moltissimo per il teatro, oltre a lavorare per la radio, per il cinema e la televisione, soprattutto per la BBC. Ha vinto l’UK Theatre Award come Miglior Regista per lo spettacolo 1984 dal romanzo di George Orwell, Miglior Nuovo Spettacolo all’Off West End Awards nel 2014 ed il suo lavoro è stato selezionato al Festival di Avignone. Sia 1984 che People Places and Things hanno ricevuto una nomination all’Olivier Award come Miglior Nuovo Spettacolo. Ha diretto le sue opere sia a Londra che a New York. Vive a sud di Londra.

 

 

 

redazione

17 ottobre 2018

 

informazioni 

 

Si ringraziano:

Arcadia & Ricono
per Marina Carr, Anna Reynolds e Moira Buffini, Geraldine Aron,
Stuart Slade, Gary Owen, Martin McDonagh,
Al Smith, Kay Adshead, Anthony Neilson

Agenzia Danesi Tolnay
per Caryl Churchill, Katie Bonna, Luke Norris,
David Greig, Duncan Macmillan

Antonia Brancati
per Michael West

Agenzia D’Arborio
per Samuel Beckett

 


TREND
nuove frontiere della scena britannica
XVII edizione


Direzione Artistica: Rodolfo di Giammarco
Organizzazione Generale: Carlo Emilio Lerici
Ufficio Stampa: Paola Rotunno
Promozione e Comunicazione: Serena Antinucci
Segreteria Organizzativa: Caterina Botti e Emiliana Palmieri
Direttore Tecnico: Daniele Compagnone
Progetto grafico: Carlo Mangiafesta


Orario spettacoli tutte le sere alle ore 21
Prezzo posto unico € 10
Carnet 10 ingressi € 50

Informazioni e prenotazioni 06 5894875
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www.teatrobelli.it

Teatro Belli – piazza Sant'Apollonia, 11a – (Trastevere)

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L'iniziativa è parte del programma di Contemporaneamente Roma 2018 promossa da Roma Capitale-Assessorato alla Crescita culturale
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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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