Martedì, 14 Maggio 2024
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Arena di Verona - Brava la Gasdia, però…

Alcune considerazioni sulla prossima stagione dell’Arena di Verona, della quale è stato annunciato il cast

 

L’Arena di Verona ha presentato i cast della nuova stagione e sarebbe ingiusto non riconoscere alla Sovrintendente Cecilia Gasdia un grande talento nell’articolare una proposta accattivante,  che sposi cast prestigiosi e titoli di cassetta.

Ci saranno grandi allestimenti, ormai entrati nella storia, come il più volte ripreso ‘Barbiere di Siviglia’ firmato da De Ana; la celeberrima edizione di ‘Aida’ del 1913; la controversa versione dello stesso titolo ideata da  Poda, che tanto ha fatto parlare la scorsa estate; i grandi classici: ‘Carmen’ e ‘Turandot’ negli allestimenti di Zeffirelli ;una ‘Boheme’,  con un nuovo allestimento e la regia di Signorini; ’Carmina Burana’ in una edizione  grandiosa; ‘Zorba il Greco’ e ‘ Roberto Bolle and friends’ per la danza; la IX sinfonia diretta da Battistoni; una serata speciale dedicata a Vivaldi ed un evento d’apertura con la presenza sul podio di Riccardo Muti.

Ci sarà anche l’ennesima serata Domingo, con un cast ancora da definire.

Insomma si preannuncia una nuova estate di successi, con trionfi ai botteghini, vip televisivi e qualche dinosauro che viaggia  con uno stuolo di fedelissimi.

Detto questo, inevitabili anche alcune riflessioni, che non sono critiche ma solo spunti, alle volte un po’ amari, sullo stato della lirica, che paiono contrastare con il titolo della serata inaugurale: La Grande Opera Italiana patrimonio dell’Umanità.

Prima di tutto  guardando i cast viene da dire che forse in Italia andrebbero chiusi i Conservatori.

La percentuale dei cantanti italiani, infatti, è minima.

Se consideriamo le parti principali ( per capirci Turandot, Liù e Calaf, Figaro, Rosina e Conte, Mimi, Musetta,Rodolfo , Marcello, Aida, Amneris, Radames, Amonasro, Tosca, Cavaradossi, Scarpia, Carmen,Micaela, Don Jose ed Escamillo ed i cantanti della IX e dei Carmina Burana) e tenuto presente il numero delle repliche, otteniamo che nella stagione lirica sono presenti 149 ruoli. Di questi solo 43 spettano a cantanti italiani.

 Peggio va se scendiamo nel dettaglio.

La Pirozzi è l’unica italiana a cantare, per una sera ciascuna, Turandot e l’Aida nell’edizione storica. Non ci sono Amneris italiane in nessuna delle due edizioni, nonostante esistano magnifici mezzosoprani nostri connazionali, inseguite dai teatri di mezzo mondo. Su 15 esibizioni complessive, l’unico Amonasro italico è, per una sola sera, Luca Salsi. L’Italia sembrerebbe non avere, guardando il cartellone,  nessuno in grado di cantare Rosina, Tosca, Cavaradossi. Non ci sono tenori per il Conte d’ Almaviva, non esistono Carmen e non abbiamo più neppure Mimì. 

Non si creda che sia un discorso autartico: se in Italia non sappiamo più preparare i cantanti, al punto che il massimo teatro estivo deve ricorrere a cast così marcatamente stranieri, bisogna domandarsi cosa non funzione: la preparazione?  La motivazione? Il sistema?  I criteri con cui si organizzano le stagioni? Le agenzie?

Certo fa caso vedere Rados, sul quale lo scorso anno si sono lette lodi sperticate, cantare Parpignol; Nicolo Ceriani, interprete dalla voce possente e dalle spiccate capacità sceniche che fa Fiorello, Sciarrone, Benoit, un mandarino, ruolo nei quali certamente saprà declinare la sua arte, ma che ci paiono stargli stretti.

Ci sono tantissimi master, scuole di specializzazione, corsi di perfezionamento ma pare  che la stragrande maggioranza dei nostri connazionali cantanti lirici possa aspirare al massimo al comprimariato

Il destino degli studenti dei nostri conservatori è il coro?  Ruolo di non poca importanza, che dà molte soddisfazioni e che è determinante per il successo di una serata.

Ma va detto con chiarezza. Per non illudere nessuno. Per non azzoppare l’entusiasmo e non imbavagliare il talento. 

Così come bisognerebbe domandarsi cosa c’è che non va negli agenti. Ci deve essere una ragione per cui su 192 ingaggi/giornata per direttori e protagonisti, almeno 83 fanno capo alla stessa agenzia. Peraltro i dati sono tratti da Operabase, pagina internet pubblica, nella quale alcuni cantanti sembrano fare parte di più scuderie ed altri parrebbero arrivare in Arena senza essere seguiti da nessuno. Questo per dire che i numeri riportati sono orientativi. Potrebbero essere 80, oppure , più probabilmente,  attorno ai 90 . 

In definitiva la domanda è:  cosa ci vuole per poter cantare nei nostri teatri? Evidente che qualcuno lo ha capito ed altri no. 

Prendiamone atto e facciamo in modo che queste competenze diventino pubbliche, inseriamole nei corsi universitari.

Facciamo in modo che da questa evidente criticità si possa imparare, rendiamo comune e pubblico il criterio con cui  una brava agenzia si deve muovere e facciamo in modo  che i talenti possano rispondere alle aspettative.

Così magari ci saranno più giovani cantanti che troveranno spazio, vedremo finalmente maggiori nomi nuovi fra i direttori d’orchestra, si ricomincerà a puntare  sugli emergenti, si svecchierà un modo che potrebbe essere soffocato dalla autorefernzialità.

Il teatro   dell’opera è passione, dialogo, coinvolgimento, fatica, impegno, attitudine. 

Doti preziose e certamente guardando i cartelloni dei teatri è inevitabile pensare che nel tanto decantato sistema Italia, qualcosa si è rotto.

Questo è il tempo per una riflessione seria delle istituzioni. Profonda, vera, radicale, in grado di rispondere alle aspettative dei giovani talenti, ma anche di dimostrare che lo stato crede nella Cultura, nell’Arte.

Se non è così, forse più che i Conservatori sarebbe meglio chiudere i teatri.

 

 

Gianluca Macovez

5 aprile 2024

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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