Martedì, 14 Maggio 2024
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Indagine sulla situazione del mondo dell’Opera in Italia: ‘Madamina, il catalogo è questo'

Prima puntata: le parole del Ministro e le scelte della Fenice

 

La pubblicazione di un articolo, qualche settimana fa, sulla futura stagione lirica dell’Arena di Verona ha acceso un ampio ed educato dibattito sulla situazione dell’opera.

Non sono emersi schieramenti precostituiti o posizioni integraliste, ma piuttosto una serie di domande e preoccupazioni che  mostrano come il mondo dell’opera sia motivo di interesse e sul cui futuro tanti vedano addensarsi ombre di tempesta, benchè al tempo stesso gli appassionati auspichino una rinascita autentica, importante.

Senza evocare fantasmi e  fantascientifiche macchinazioni, abbiamo pensato di compiere un semplice lavoro di lettura dei dati dell’ultima stagione delle varie fondazioni, per cercare di avere un’idea un po’ più chiara ed oggettiva sul momento che teatri ed artisti stanno vivendo in Italia.

Senza risposte preconfezionate e speranzosi che il viaggio ci rassereni.

Premessa incoraggiante: quando il Ministro della Cultura, il dottor Sangiuliano, si è insediato, ha tenuto  un’ interessante audizione alla Commissione VII Cultura Camera e Senato, il cui testo è reperibile in rete.

Ha presentato i  fondamenti  del suo programma di lavoro, dal quale emergono alcune questioni rilevanti, che dimostrano come sia stata  compiuta un’analisi attenta e coraggiosa della situazione del teatro dell’opera in Italia.

In particolare si è parlato di “una riforma del FUS cominciando dal nome che dovrà dare risalto alla sua natura di Fondo nazionale per le arti performative e lo spettacolo dal vivo”. 

Il Ministro ha colto alcune criticità del sistema, figlio di una riforma che sicuramente aveva degli intenti risanatori, ma che di fatto  più che guarire i teatri traballanti, ha azzoppato la produzione  di molte fondazioni, che,  sotto la scure del bilancio hanno decapitato  qualità, proposte  realmente innovative, capacità di sperimentazioni. A questo si aggiunga il fatto che, a causa di decisioni prese da precedenti governi, i corpi di ballo sono sostanzialmente spariti ovunque in Italia.

In effetti in questi anni in  tanti, troppi perché non ci sia un fondo di verità da qualche parte,  hanno sottolineato che, guardando alle produzioni di molti teatri, la sensazione era che contasse di più produrre piuttosto che farlo bene. Aprire il sipario era più importante della qualità  di quello che si proponeva.

Fondamentale quello che ha detto Sangiuliano: necessario “rivedere i meccanismi normativi che riguardano l’iter di approvazione dei progetti e l’erogazione dei contributi. Occorre da un lato aumentare i controlli preventivi e successivi su effettivo utilizzo del FUS e, dall’altro, modificare i parametri in ottica premiante. Attualmente il FUS premia la quantità e non la qualità.’

Un’ulteriore affermazione ha fatto sperare che il mondo dell’opera potesse uscire dalle acque stagnanti che lo  caratterizzano da anni: “risulta necessario incentivare produzioni e artisti italiani, restituire identità nazionale alla produzione artistica. Il coinvolgimento di artisti italiani deve essere un elemento qualificante per l’erogazione dei contributi. Dobbiamo pensare a un paradigma diverso: far diventare il Fondo un investimento dello Stato sui propri talenti, con risorse mirate a incrementare una comunità e il suo tessuto artistico nazionale. L’Università e la scuola andranno sostenute in progetti di formazione di figure professionali dello spettacolo (cantanti lirici, maestri collaboratori, direttori d’orchestra, ballerini, tecnici, scenografi, light designer, ecc)”.

“Occorre aumentare il senso di sicurezza sociale di quello che è per sua natura un lavoro precario. Lo Stato deve farsi carico di una maggiore sicurezza sociale e previdenziale per gli artisti, per essere al passo con l’Europa”. 

Questi propositi sono la risposta alla crisi lavorativa, potrebbero rivelarsi il motore per i giovani talenti per entrare coraggiosamente nel mondo del teatro, sono quello che tanti artisti di valore, esasperati dalla difficoltà di trovare una stabilità professionale,  volevano sentirsi dire.

Perché in troppi hanno lasciato le tavole del palcoscenico per andare a fare i camerieri.

Non diamo la colpa al Covid: durante la pandemia i locali erano chiusi come i teatri.

Il problema è adesso, perché, anche se non lo si legge sui giornali, se ascoltassimo  nuove  e vecchie leve, scopriremmo che oggi  entrare nel sistema è difficilissimo e di fatto quasi impossibile rimanerci per coloro che non scelgono la giusta agenzia.

 A tale proposito ricordiamo che in Italia, in teoria, le agenzie non dovrebbero svolgere, neanche a titolo gratuito, attività di mediazione. In definitiva, quando un cantante viene scelto da un teatro, il direttore artistico od il sovrintendente dovrebbero contattarlo direttamente, senza passare per nessun mediatore. Situazione decisamente poco credibile, anche perché basta andare su certi siti  pubblici, come ‘Operabase’, per avere i nomi degli artisti e le agenzie per cui lavorano.

Non è questione da poco. O meglio: non ci sono problemi purchè non ci siano situazioni di prevaricazione di un manipolo di agenzie  sulle altre. Perché se in un teatro ci fosse una agenzia che monopolizza i contratti,  di fatto una fetta di artisti troverebbe le porte di quella fondazione chiusa. Poco male, si dirà: ne trova un’altra disponibile. Certo, purchè la stessa agenzia  non domini anche sui cartelloni di altri teatri.

Perché a quel punto il sistema risulta  tossico, fa bruciare le tappe della carriera a voci di certe ‘scuderie’ ed impedisce ad altri di scalare il successo meritato.

Clamoroso  se questa gestione andasse a colpire anche i ruoli di comprimariato, per i quali non vale neanche la giustificazione che spesso sentiamo: ‘ lavorano gli artisti di certe agenzie perché sono i più bravi’. Se importiamo i Mandarini e Ping per Turandot, Dancairo e Remendado per Carmen, come accade in Arena quest’anno, dobbiamo domandarci se è il sistema che non funziona o se siano, come ipotizzavamo in un precedente articolo, i conservatori da chiudere.

Ecco perché quando il Ministro dice che ‘risulta necessario incentivare produzioni e artisti italiani, restituire identità nazionale alla produzione artistica. Il coinvolgimento di artisti italiani deve essere un elemento qualificante per l’erogazione dei contributi’ non fa, come qualcuno ha voluto vedere, un atto demagogico: si tratta di una presa di posizione profonda, di qualcuno che ha capito il sistema, che ha intuito le criticità e che si propone un’ azione di autentica politica culturale.

Importante capire, a questo punto, come procedono le cose e quanti e quali teatri hanno colto il valore di queste parole importanti.

Si è proceduto in modo molto semplice e lineare: abbiamo analizzato le stagioni in corso, considerando i soli spettacoli lirici e prendendo in considerazione la componente straniera di ogni spettacolo, ovviamente specificando il titolo, perché se va in scena ‘Ariadne auf Naxos’ è ben diverso che se si monta ‘Tosca’. 

Non si sono conteggiati i balletti, perché sull’argomento potrebbe aprirsi un altro baratro e neppure i concerti, più legati alle scelte di avere singoli interpreti, spesso specialisti, quindi potenzialmente connessi  a realtà specifiche.

Chiariamo  che è ovvio che l’arrivo in Italia di grandi interpreti stranieri è un dono, una ricchezza, un’occasione preziosa. Non dimentichiamo il contributo di Sutherland, Caballe’, Nilsson alle  scene del belpaese.

Ma il discorso che si sta facendo è altro. 

Quello che stiamo valutando è la percentuale di voci straniere, l’assegnazione dei ruoli secondari, il peso , eventuale, di alcune agenzie.

Per le parti principali, anche se diciamo da soli che l’indagine avrebbe avuto ancora più senso analizzando tutti gli interpreti, anche quelli minori, si è cercato di individuare l’agente di riferimento, per provare a fotografare la situazione o fare chiarezza, tenendo come unico riferimento la pagina ‘Operabase’, che è fruibile da tutti su internet.

Ancora per chiarezza diciamo che questi sono dati di massima, sia perché alcuni artisti risultano senza agenzia, anche se tutti sanno che invece non è così; sia perché dei cantanti sembrano essere condivisi da più agenti; sia, infine, perché di diversi titoli in cartellone in alcune fondazioni, ancora non sono definiti tutti gli interpreti.

Abbiamo scelto di non ascoltare i ‘si dice’ che animano il mondo del teatro, spesso contraddittori e comunque tendenzialmente animati da faziosità e schieramenti, perché il fine di questa indagine non è condannare qualcuno in forma preventiva o criminalizzare un mondo, ma molto più semplicemente cercare di fare un po’ di chiarezza, capire quanto dei sussurri che si sentono siano invidia, tentativi di mettere in cattiva luce, o reali criticità e disagi.

Ogni teatro poi potrà, ovviamente fare quello che crede.  Ogni Sovrintendente opererà come ritiene sia corretto ed ogni Direttore artistico sarà responsabile delle sue scelte. Spetterà al Ministero valutare e giudicare.

A noi , come pubblico, importa che i cantanti siano bravi, che abbiano la possibilità di crescere senza bruciare le voci e l’opportunità di farsi conoscere . Vorremmo vedere spettacoli rispettosi della professionalità di tutti, ci importa che la musica abbia  il giusto peso, che la cultura sia il motore per una reale ripartenza.

A noi, come cittadini, piacerebbe che i giovani studenti di conservatorio potessero svolgere, se bravi, la carriera in patria. Per dare un senso ai loro sforzi ma anche ai costi  della loro istruzione.

A noi, come appassionati, importa poter gridare che il ‘re è nudo’, senza sentirci per questo vessati.

Fermo restando, diciamolo ancora una volta, sia che in Arte non esiste una verità assoluta, sia che ci sono tante  motivazioni validissime per giustificare anche le scelte più insolite. 

Sia, soprattutto, che chi scrive è sempre stato dalla parte del Teatro, bene prezioso che vorremmo rimanesse tale.

La prima puntata di questa indagine riguarda la Fenice.

Partiamo da questa fondazione perché il Sovrintendente del teatro veneziano è stato individuato come prossimo Sovrintendente della Scala .

Ortombina ha firmato una stagione con molti titoli: ‘Il Barbiere di Siviglia’ di Rossini, ‘La Boheme’ di Puccini, ‘Maria Egiziaca’ di Respighi, ‘Mefistofele di Boito, ‘Tamerlano’ di Vivaldi, ‘Don Giovanni’ di Mozart, ‘Ariadne auf Naxos’ di Strauss, ‘ La vita è sogno’ di Malipiero, ‘Turandot’ di Puccini, ‘La fabbrica Illumunata’ di Nono, ‘Erwantung’ di Schomberg

Innegabile che a livello di scelta di titoli si sia davanti ad una pianificazione illuminata: nell’anno pucciniano due capolavori del musicista toscano; titoli di cassetta come ‘Barbiere’ e ‘Don Giovanni’; titoli rari come ‘Mefistofele’ e ‘Tamerlano’; una grande attenzione al contemporaneo con Respighi, Nono, Malipiero, Schomberg e Strauss; una presenza molto ‘veneziana’ come Vivaldi.

Il giusto connubio fra popolarità, che assicura il bilancio; recupero culturale, che dà il senso all’istituzione; spettacolarità, che permette un’ utile visibilità sui mass media.

Per quel che concerne gli stranieri, dal cartellone risulta che la loro presenza si attesta attorno al dieci per cento . 

Percentuale del tutto accettabile, oltretutto motivata anche dalla presenza di alcuni grandi nomi delle scene.

Ovvio che non può sfuggire la marcata differenza con l’anfiteatro veronese, nel quale, ricordiamo, la presenza degli italiani  è inferiore alla metà.

Infine, tornando a Venezia, se vogliamo analizzare la questione degli agenti,   fatte salve le considerazioni già espresse e ricordando che abbiamo preso in considerazione solo i ruoli principali, per non ammorbare il prossimo di numeri, emerge che l’agenzia  più presente  è  ‘In Art’, che si colloca attorno ad una percentuale del 25%,  che è decisamente accettabile.

In definitiva la gestione Ortombina sembra dimostrare che le richieste del Ministero erano plausibili, perseguibili e foriere di diversi riscontri positivi.

Vedremo nelle prossime tappe se questa è una voce solitaria o se qualcosa sta cambiando.

Senza anticipare troppo, però, possiamo annunciare una situazione nazionale quanto mai eterogenea e, lasciatecelo dire, oltremodo preoccupante.

 

Gianluca Macovez

25 aprile 2024

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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