Mercoledì, 09 Ottobre 2024
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ADDIO A WILLIAM ORLANDI, MAGO DELLA SCENOGRAFIA

E’ morto William Orlandi, scenografo di talento, che ci ha accompagnato per tanti anni con produzioni di grande gusto, eleganti, raffinate, costruite con professionalità, tenendo conto dei bisogni dei cantanti, delle richieste dei registi, ma prima di tutto del pubblico.

Uno che non aveva bisogno di sottolineare, che non scappava dalle indicazioni della trama solo per far capire che esisteva.

Un autentico artista, in cerca di passione più che di copertine.

L’esordio in un’opera di Menotti a Trieste, nel 1978: ‘L’ultimo selvaggio’. Un battesimo di fuoco, perché il regista era lo stesso compositore. Nel cast, l’esordio di una primadonna come Luciana Serra , la presenza di grandi della scena come Ermanno Lorenzi, caratteristi come Vito Susca, che aveva cantato con la Callas e nomi dal luminoso futuro come Carlo Bini.

Insomma c’era tutto per sentirsi intimoriti.

Invece l’invenzione scenica fu deliziosa, un gioco raffinatissimo e dotto, senza ostentazioni e privo di provocazioni ,anche se lo scenografo riuscì a giocare con naturalezza con le architetture moresche e Piet Mondrian , Ligabue e Rousseau il doganiere. Una tavolozza ricchissima, senza essere mai sfacciata, a dimostrare da subito come fosse Orlandi: generoso, garbato, fantasioso, ma capace di stare al suo posto, inventivo ma mai esagerato.

Giancarlo Del Monaco, che lo ebbe al suo fianco in tanti lavori, compresi  ben sei spettacoli in Estremo Oriente, lo ricorda come un collaboratore affidabile, fedele, onesto eticamente, capace di grandi idee e profondamente corretto.

Da quell’esordio triestino sono passati quasi cinquant’anni, nei quali Orlandi ha lavorato in tutto il mondo. 

Ricordiamo, tanto per fare qualche esempio il trittico strawinskiano alla Piccola Scala, nella Stagione 1981-82, con la regia di Peter Ustinov: ‘The Flood’/ ‘Renard’/ ‘Mavra’.

Ma anche, alla Scala,  nel 1993-94,  con una suggestiva ‘L’incoronazione di Poppea’, nella quale riprese lo schema per piani  paralleli, quasi metateatrali, che aveva utilizzato agli esordi tergestini.

Peter Ustinov lo apprezzava , tanto che lavorarono assieme anche ad Amburgo nel 1987, in ‘Kat’a Kabanova’ di Janaceck.

Firmò scene e costumi della ‘Carmen’ nel 1994allo Sferisterio di Macerata, dove ritornò per ‘Faust’ (1995), ‘Carmen’ (1995), ‘Falstaff’ (1995), ‘Carmen’ (2002). Sue le scene di spettacoli entrati nella storia della musica del secondo Novecento:  il ‘Don Chisciotte’ all’Operà di Parigi con Josè Van Dam (2002), la ‘Semiramide’ con Daniela Barcellona e Darina Takova al ROF  nel 2003, il ‘Rigoletto’ a Zurigo nel 2008 diretto da Nello Santi.

Fu anche magnifico costumista. A lui toccò trasformare in Cleopatra Montserrat Caballé in ‘Giulio Cesare in Egitto’, all’Opera di Roma nel 1985, in una edizione entrata nella storia di quel teatro. 

Impossibile elencare tutti gli altri i teatri dove ha lavorato: dal San Carlo di Napoli al  Colon di Buenos Aires, dal Grand Theatre di Ginevra ed i teatri di Berlino,  dal Teatro Real di Madrid al NCPA di Beijing, passando per Barcellona, Tokyo, Zurigo, Londra. Ha trionfato all’Arena di Verona, al Teatro Massimo di  Palermo, all’ Opera di Helsinki,  senza mai montarsi la testa. 

 

Con  Trieste  il rapporto su fitto, almeno per un po’ di anni: ‘Il Principe Igor’ nel 1980 e nel 1983; una indimenticabile ‘Dinorah’ nel 1993, protagonista Luciana Serra;  una ‘Aida’ con la contestata regia di Puecher, ma dalle scene possenti nel 1988; le operette, prima fra tutte una ‘Vedova Allegra’ talmente di successo da essere ripresa nella stagione lirica seguente ( 1988 ), ma anche ‘Il Paese del Sorriso’ (1990);  sua la scena per il balletto ‘La Strada’ coreografato da Gino Landi nel 1989.

Poi gli impegni internazionali lo terranno un po’  lontano, ma tornò ogni volta che gli venne offerta la possibilità: una indimenticabile ‘Tosca’ (2003) protagonista Fiorenza Cedolins; ‘I due Foscari’ con Salsi e la Siri nel 2011; l’agile ‘Andrea Chenier’ del 2019 con la regia di Sarah Schinasi; fino al recente ‘Nabucco’ (2024) in  un allestimento  che purtroppo fu costellato di tensioni e polemiche, che in qualche modo impedirono di festeggiare il suo lavoro come avrebbe meritato e che lo amareggiarono.

Uno di quegli artisti profondamenti autentici, capaci di fare magie con qualche pezzo di stoffa, un po’ di polistirolo e dei pennelli.

Sembra quasi scontato dire che avrebbe meritato di più. In realtà ebbe trionfi e soddisfazioni. Siamo noi che avremmo avuto bisogno che il suo lavoro fosse messo più in evidenza, ci sarebbe piaciuto conosce i segreti di questo raffinato artista artigiano, cogliere ancora meglio gli aspetti del suo talento, avremmo  voluto conoscere il segreto di tanta determinazione nella coerenza, in un tempo in cui trionfano scorciatoie e compromessi. 

Ma  troppo spesso i meccanismi del marketing schiacciano talenti e meriti ed agli appassionati lasciano rimpianti e bocca amara.

Per fortuna gli allestimenti di Orlandi continueranno a vivere nei teatri di tutto il mondo, regalando la giusta immortalità ad un artista autentico ed ad un uomo di luminosa coerenza.

 

Gianluca Macovez

13 luglio 2024

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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