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Di tanto amore al Teatro Trastevere: Non più di Cechov

Recensione dello spettacolo “Di tanto amore”, in scena al Teatro Trastevere dal 30 al 5 Maggio 2019

 

Maša, rinchiusa in un sanatorio psichiatrico, custodisce in un baule gli abiti che appartennero ai personaggi di una storia dolorosa e ogni giorno li estrae, nell’illusione di far rivivere i giorni in cui amò non riamata e l’uomo oggetto di tanto amore. Irina Nikolaevna Arkadina, Konstantin Gavrilovič Treplev, Nina Michailovna Zarečnaj, Boris Alekseevič Trigorin: i nomi dei suoi fantasmi, che riconducono immediatamente gli amanti del teatro ad una trama eterna e sempre cara.

Quanto amore racchiude “Il gabbiano” di Anton Cechov. Per un altro essere umano o per l’arte. Amore sempre disilluso, ma che, tenace, vuole sopravvivere e, come il candido uccello, librarsi nell’azzurro, sull’acqua e nel cielo; oppure che muore, con le ali spezzate da un proiettile. Maša ama Kostya, che ama Nina, che ama Trigorin, amato da Irina. Amori senza speranza, che si rincorrono senza mai incontrarsi. Ma, trascorso il tempo, versato il sangue, cristallizzato il dolore, cosa rimane di tanto amore?

Questo si domanda Giancarlo Moretti, nella drammaturgia da lui scritta e diretta ed ora proposta nel cartellone del Teatro Trastevere. La sua invenzione del prologo introduce una serie di scene del copione originale, rivissute come flash back separati dalla chiusura del sipario, scelte focalizzandosi, fra i vari temi presenti nell’opera di Cechov, sull’amore, con il proposito di ragionare sulla sua persistenza. Maša, che ha accettato il compromesso di un matrimonio senza amore, è qui rappresentata condotta all’insanità mentale da un sentimento che non accetta resa. Perché se follia fu l’amore, solo la follia può perpetuarlo, al di là della vita, con la potente arma del ricordo, con il sostegno dalle sue reliquie.

Questa tematica, che avrebbe potuto condurre ad uno sviluppo certo ambizioso, ma estremamente stimolante, di un classico del teatro, nella riscrittura di Moretti rimane però solo in embrione, fino ad apparire, al di sotto delle aspettative del regista, come un puro espediente narrativo, atto ad introdurre una semplice riduzione del testo cechoviano. A Maša, interpretata con intensità da Giovanna Cappuccio, e alla sua serena follia, che pur dovevano essere i portavoce della riflessione dell’autore, sono concessi solo spazi ristretti, in apertura ed in chiusura di rappresentazione.

“Di tanto amore” appare quindi, più che una rielaborazione, una riproposizione di “Il gabbiano”; da questo vuole partire, ma su esso, ineluttabilmente, si posa. La scelta delle scene è funzionale al discorso dell’autore, ma questo è affidato comunque alle parole di Anton Cechov.

L’allestimento, condotto con ottima pulizia formale, risulta peraltro godibile per il pubblico, per l’immortale bellezza del testo, sfrondata dalla complessità dell’intreccio, per la sobrietà della regia, che non distrae dall’intensità dei dialoghi e per la bravura degli interpreti, tutti al servizio del copione, senza improprie incursioni sopra le righe. Di questo esercizio di misura si fa forza in particolare Simone Bobini, interprete di un Trigorin untuoso ed algido quanto necessita. Si distingue e si eleva invece, perché chiamata a farlo (è Nina), Ornella Lorenzano, che, pur mantenendo la sua recitazione asciutta, scevra da ogni patetismo, trasmette, evidentemente provenienti dal suo animo, note struggenti al pubblico.

Per nuove parole sull’amore dovremo ancora attendere. E magari verranno proprio dalla penna di Giancarlo Moretti, se anch’essa, come il gabbiano, oserà volare. Di tanto amore possiamo comunque bearci anche oggi, finché le parole di Anton Cechov troveranno, come oggi al  Teatro Trastevere, degna rappresentazione, finché un’attrice saprà trasportare nel suo petto il cuore di Nina.

 

Valter Chiappa

4 maggio 2019

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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