Recensione dello spettacolo Amadeus in scena al teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 23 ottobre al 2 novembre 2025
Quarant'anni dopo gli otto Oscar vinti dal film di Miloš Forman, Amadeus di Peter Shaffer torna a teatro per la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Un ritorno sensazionale: due ore e mezza di spettacolo, un cast di undici attori, costumi firmati che rievocano un Settecento immaginario. L'ambizione e la cura produttiva sono evidenti. C’è da chiedersi se la sontuosità dell’allestimento e la durata eccessiva siano davvero al servizio del testo o se, paradossalmente, non finiscano per soffocarlo.
Una regia visionaria ma dispersiva
Per il pubblico contemporaneo Amadeus è prima di tutto un film cult. Non tutti sanno che, prima di essere eclissata dalla potenza della trasposizione cinematografica, l’opera di Shaffer debuttò al National Theatre di Londra nel 1979 ricevendo un grande successo di critica e di pubblico. Questa sovrapposizione tra lo spettacolo teatrale e il lungometraggio pone una sfida specifica a chi decide di rimettere in scena il testo, ovvero restituire autonomia teatrale a una storia che lo spettatore ha già visto, sentito, immaginato attraverso il cinema. Bruni e Frongia scelgono la strada della magnificenza visiva e della complessità scenografica, quasi a voler competere in spettacolarità. È una scelta comprensibile ma rischiosa: la forza del teatro deve risiedere nella presenza fisica degli attori, nell'immediatezza dell’azione, nella capacità di restituire il conflitto in presa diretta, non nella fastosità delle immagini. Inoltre, questo è un testo che si alimenta della tensione psicologica legata alla battaglia interiore tra Salieri e il suo Dio, dove Mozart diventa il campo su cui confrontarsi. Questa tensione richiede ritmo, un crescendo emotivo e la capacità di dosare i tempi. Qui, invece, la durata non favorisce sempre la tensione, anzi, si ha spesso la sensazione che lo spettacolo indugi troppo su momenti descrittivi che ne rallentano il ritmo senza aggiungere spessore drammatico.
Salieri vs Mozart: vero punto di forza dello spettacolo
Ferdinando Bruni, oltre a co-firmare la regia e la traduzione, interpreta Antonio Salieri nelle sue varie età della vita: è anziano nel prologo e nell'epilogo, e maturo durante il corpo centrale della vicenda. Nella sua interpretazione, Bruni sceglie di esaltare la dimensione intellettuale e non quella più viscerale: il suo Salieri è prima di tutto un uomo intelligente che sa analizzare spietatamente la propria mediocrità. È certamente una scelta legittima e coerente, che rende il personaggio forse più accessibile al pubblico contemporaneo. Eppure, in questo personaggio, che dovrebbe essere emblema dell’invidia, ci si aspetterebbe meno lucidità e raziocinio e più follia, disperazione e disfacimento totale.
Dal canto suo, Daniele Fedeli affronta la sfida di vestire i panni del genio dando corpo a un Mozart irresistibile, insopportabile e dall’energia travolgente. Il suo è un personaggio fisicamente vivace, vocalmente esuberante, che porta in scena tutta l'irriverenza e la spontaneità del genio inconsapevole della propria grandezza. A volte, però, questa enfasi sull'aspetto caricaturale rischia di sbilanciare il personaggio verso la macchietta, ma è anche vero che il Mozart di Shaffer è un ragazzino volgare e sublime insieme, ridicolo e geniale, insopportabile eppure irresistibile. Il suo Amadeus incarna il perfetto contrappunto alla compostezza di Salieri. Il confronto tra le due energie sceniche è uno dei punti di forza dello spettacolo: due mondi, due linguaggi, due destini che si intrecciano.
Intorno a loro, si muove il resto del cast con professionalità e affiatamento: fresca e reale la Constanze di Valeria Andreanò che bilancia con la sua normalità le nevrosi dei due protagonisti; Riccardo Buffonini e Alessandro Lussiana nei panni dei Venticelli agiscono efficacemente da collegamento narrativo e da moderno coro greco, riportando alle orecchie dello spettatore i pettegolezzi e le voci che circolano a corte. Luca Toracca, Ginestra Paladino, Umberto Petranca e Matteo de Mojana popolano la corte con presenza e competenza, contribuendo a creare una realtà riconoscibile intorno ai protagonisti.
Costumi e scenografia disegnano un nuovo Settecento
Antonio Marras cura i costumi giocando con il Settecento e creando un'epoca ibrida, tra ricostruzione storica e fantasia contemporanea. Sete e broccati dialogano con inserti moderni, materiali inaspettati, soluzioni cromatiche audaci. È un Settecento immaginario e onirico perfettamente coerente con l'approccio visionario dell'allestimento: nel sogno-incubo di Salieri i riferimenti temporali si confondono, si è contemporaneamente nel 1823 e tra il 1786 e il 1791. La scenografia di Marina Conti crea uno spazio elegante ed evocativo, che si presta alle trasformazioni richieste dalla drammaturgia. Le proiezioni contribuiscono a una maggiore suggestione, anche se a volte si ha la sensazione che avrebbero potuto essere usate con maggiore parsimonia.
Conclusioni
Amadeus appare fin da subito una produzione ambiziosa e curata, che testimonia un impegno artistico e produttivo significativo. Bruni e Frongia dimostrano di essere professionisti capaci di affrontare un testo complesso con intelligenza registica e visione personale. Il cast è di livello, i costumi sono ricercati, la scenografia testimonia una ricerca estetica precisa. Ma che fine ha fatto la "vertigine" promessa? Quella sensazione di essere trascinati nell'abisso dell'invidia e della mediocrità? Quel senso di inevitabilità tragica che dovrebbe caratterizzare il confronto tra Salieri e Mozart? Tutto questo fatica a emergere. Si esce dalla sala avendo visto una messinscena sicuramente ben fatta, professionale ed elegante, ma senza aver vissuto un'esperienza spettacolare. E forse, per un testo come Amadeus che dovrebbe insegnarci a guardare la parte più umana, più fragile e invidiosa di noi stessi, questo non basta. Il teatro può essere colto ed elegante, ma dovrebbe anche essere capace di disturbare.
Diana Della Mura
25 ottobre 2025


