Sabato, 03 Maggio 2025
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Recensione dello spettacolo Crisi di nervi – tre atti unici in scena al teatro Quirino dal 29 Aprile al 11 Maggio 2025

 

Tre atti unici che corrispondono a vaudeville, dal gusto di commedia francese, scritti dal grande drammaturgo russo ottocentesco Anton Cechov, opere minori rispetto ai suoi capolavori teatrali, ma di grande portata e successo come ci mostra il regista Peter Stein che ne ha curato anche l'adattamento con Carlo Bellamio. 

Il pubblico è via via sempre più coinvolto e divertito dalla comicità di situazione, da semplici battute che diventano esilaranti per la bravura di questi attori eccezionali e in “splendida forma scenica”, dalla loro freschezza, sarcasmo e capacità di portare in fondo all'abisso, all'estremo stati d'animo e fisicità ingombranti, buffe e imbarazzanti che si riducono così al grottesco. 

Accomuna queste tre opere la paradossalità delle situazioni che finiscono per essere assurde ma credibili, la testardaggine della maggior parte dei personaggi e la loro conseguente nevrastenia. Arriva poi un malessere che colpisce puntualmente qualcuno dei personaggi che si sente prossimo alla morte.

Recensione delle recite di ‘Lucia di Lammermoor ‘ al Verdi di Trieste

‘Lucia di Lammermoor’ ritorna a Trieste ad otto  anni dall’ultimo allestimento.

Lo spettacolo brilla della presenza di una fuoriclasse come Jessica Pratt, per la prima volta al Verdi, della bacchetta di Oren e di numerose presenze eccellenti nel cast e soffre di una regia latitante, con costumi e scene deludenti.

Ma andiamo con ordine.

Partiamo dall’allestimento, proveniente da l’Opera di Las Palmas de Gran Canaria.

Le scene di Carmen Castanon ed i costumi di Claudio Martin hanno fatto un lungo viaggio e francamente non abbiamo capito perché, vista la povertà dell’insieme.

Il teatro ha in deposito un bell’allestimento di Pier Paolo Bisleri che certamente avremmo rivisto ancora una volta con  più interesse di questo,  sostanzialmente costituito da una panchina, una coppia di tavoli, delle sedie, una tomba ed una bara, collocate in uno spazio definito da un fondale con delle proiezioni e delle quinte trasparenti e mobili.

Peggio va con la regia di Bruno Berger- Goski, che affianca staticità  a momenti imbarazzanti, come quando Lucia canta salendo su una panchina e vacillando come fosse Amina e, peggio, molto peggio, quando durante la festa delle nozze tre giovani fanno  il trenino come fossimo a capodanno, fino a chiudere con un feto rotante durante l’aria conclusiva di Lucia ed una teoria di monaci che quando Edgardo prima si dispera e poi si uccide sulla tomba di Lucia, si mette di spalle a sepolcro ed innamorato piangente.

Recensione dello spettacolo “Il medico dei maiali” in scena al Teatro Quirino di Roma dal 23 al 27 aprile 2025

“Il teatro non è il luogo dove si va a guardare. È il luogo dove si va a capire.”
— Bertolt Brecht

Quando dei lenti e significativi cambiamenti avvengono all’interno del tessuto sociale, è inevitabile che gli artisti, siano essi scrittori, drammaturghi, attori, ne percepiscano le avvisaglie e sentano il bisogno di condividere con il pubblico storie che, seppure superficialmente surreali e fantasiose, nascondano significati ben più profondi. È così per Il medico dei maiali, pièce scritta e diretta da Davide Sacco, che vuole raccontare una storia scomoda per scuotere le menti e gli animi del pubblico in platea, e lo fa in modo grottesco, lucido e visionario per far sì che lo spettatore sia il primo a mettersi in discussione.

La storia che qui si narra è quella della morte di un non ben identificato re d’Inghilterra, avvenuta all’improvviso con modi che si renderanno pian piano noti grazie al coinvolgimento del veterinario Alfred Scott, intervenuto in assenza del medico ufficiale. Tramite l’autopsia, Alfred confermerà l’avvelenamento del sovrano inglese avvenuto da parte dei suoi consiglieri, interpretati da David Sebasti e Mauro Marino, per instaurare sul trono il principe Eddy, uno stupido fantoccio manovrabile che sarà utile a restaurare la monarchia assoluta. Questo piano, ben escogitato, non andrà come sperato proprio a causa del medico dei maiali.

Ambientato in un mondo immaginario eppure familiare, il testo di Sacco appare tagliente, mai autoreferenziale, immediato e d’azione: i dialoghi sono a tratti ironici, ma sempre di una spietata lucidità e, per questo loro crudo realismo, feriscono come un pugno nello stomaco. Si comprende che lo scopo sia quello di mettere a nudo le contraddizioni che contraddistinguono anche il nostro presente come l’adorazione per l’autorità e il potere o la paura del pensiero critico.

Probabilmente proprio per questo la scelta registica mira alla sottrazione più che alla spettacolarizzazione: la scenografia di Luigi Sacco è asciutta e semplice perché si punta sulla forza evocativa del testo e sul ritmo della narrazione. L’uso sapiente e chirurgico delle luci curate da Luigi Della Monica carica di tensione le parole e i gesti per sottolineare la claustrofobia di un sistema malato, mentre il ritmo serrato sostenuto da un cast d’eccezione rende palpabile una sensazione di inquietudine tra il pubblico. I due antagonisti, Luca Bizzarri nei panni di Alfred e Francesco Montanari in quelli del principe Eddy, funzionano in modo alternato come vittima e carnefice in un meccanismo scenico ben oleato. All’inizio il rapporto tra i due è disteso e informale, ma quando il principe assapora il piacere del potere e si trasforma diventandone dipendente, la relazione si rovescia e il medico diventa l’ennesimo capro espiatorio.

Alla fine della messinscena, si esce dalla sala con la certezza di aver assistito a una parabola surreale che racconta il potere, la corruzione, la paura e, soprattutto, l’assuefazione in un modo spietato al punto da costringere il pubblico a guardarsi dentro, a interrogarsi su ciò che è diventato l’uomo oggi e sulla deriva delle responsabilità individuali all’interno del sistema, tra obbedienza cieca, paure collettive e normalizzazione della disumanità.

 

Diana Della Mura

25 aprile 2025

Recensione dello spettacolo Ho paura torero, in scena al teatro Argentina dal 3 al 17 Aprile 2025

 

Lino Musella disegna un personaggio dolce e ribelle, emarginato e colorato, alias “la Fata dell'angolo”, un travestito che sopravvive negli anni duri e controversi della dittatura del generale Pinochet in Cile.

Quest'ultimo, interpretato qui da Mario Pirrello, sale al potere dopo il governo Allende nel 1973, attuando una politica di repressione e provocando moti di ribellione a Santiago che sono capitanati dal “Movimento di liberazione Rodrigo Martinez”. Questo è lo sfondo in cui si muovono lo spettacolo e la nostra protagonista, tra atti di guerriglia, proteste di piazza per i “desaparecidos”, repressione dell'esercito, fughe, riunioni nascoste e caccia all'uomo.

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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