Recensione de La camera da ricevere in scena al teatro Due Roma dal 3 all'8 febbraio 2015
"Guarda quante ce ne sono, oh. Milioni di milioni di milioni di stelle. Ostia ragazzi, io mi domando come cavolo fa a reggersi tutta sta baracca. Perché per noi, così per dire, in fondo è abbastanza facile, devo fare un palazzo: tot mattoni, tot quintali di calce, ma lassù, viva la Madonna, dove le metto le fondamenta, eh? Non son mica coriandoli.”
(Aurelio in “Amarcord”, 1973, Federico Fellini)
Superficialmente può sembrare un puro esercizio di stile a metà strada tra italiano e dialetto romagnolo, andando oltre (per non smentirmi) "La camera da ricevere" è molto di più: il racconto della formazione di un'attrice e del nascere e svilupparsi di un personalissimo universo teatrale.
Ermanna Montanari ripercorre la sua vita come donna e come artista partendo dal punto più remoto, la sua infanzia.
Inizia facendoci rivivere il ricordo di questa stanza sempre chiusa, al pianterreno del casolare del nonno dove viveva, che era chiamata la "camera da ricevere" e veniva utilizzata solo due volte all'anno, in occasione del Natale e della Pasqua.